Sul termine c.d. lungo per proporre impugnazione per revocazione delle sentenze della S.C.

09 Giugno 2016

L'art. 391-bis c.p.c., laddove fissa in un anno il termine lungo per impugnare con revocazione ordinaria le pronunce della Corte di cassazione, ha carattere eccezionale e non è inciso dalla modifica apportata dall'art. 46, comma 17, della l. n. 69 del 2009 alla norma generale.
Massima

L'art. 391-bis c.p.c., laddove fissa in un anno il termine lungo per impugnare con revocazione ordinaria le pronunce della Corte di cassazione, ha carattere eccezionale, ex art. 14 delle preleggi, sicché non è inciso dalla modifica apportata dall'art. 46, comma 17, della l. n. 69 del 2009 alla norma generale di cui all'art. 327, comma 1, c.p.c., che ha dimidiato il termine per proporre le impugnazioni ordinarie, né è suscettibile di interpretazione analogica.

Il caso

Il fallimento di una società commerciale impugnava per revocazione una sentenza della Corte di cassazione che aveva accolto il ricorso contro un ex socio accomandatario della società in bonis avverso la sentenza della Corte d'appello di rigetto del reclamo proposto contro la decisione del Tribunale che ne aveva dichiarato il fallimento in estensione.

Il ricorso per revocazione si fondava sull'estrema laconicità della sentenza, priva di qualsivoglia riferimento «fattuale, circostanziale o documentale», nonché sulla circostanza che la decisione della S.C. si basava sull'erronea presupposizione che le obbligazioni in forza delle quali la società era stata fallita sarebbero sorte in data successiva alla trasformazione della stessa, momento nel quale la parte resistente aveva perso la qualità di socio.

Nel costituirsi in giudizio, la controparte eccepiva in via pregiudiziale l'inammissibilità del ricorso per revocazione in quanto proposto oltre sei mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione e, quindi, quando era già decorso il termine lungo per impugnare come stabilito dall'art. 327, comma 1, c.p.c. In subordine, il resistente deduceva in ogni caso l'inammissibilità del ricorso ex art. 391-bis c.p.c. essendo la sentenza di legittimità fondata sull'unica considerazione in diritto che ai sensi dell'art. 147, comma 1, l. fall. egli aveva perso la qualità di socio illimitatamente responsabilità della società in accomandita semplice da oltre un anno quando era stato dichiarato il fallimento della società sicché non poteva esserne dichiarato il fallimento in estensione.

La questione

La questione processuale esaminata dalla pronuncia in commento è la seguente: la riduzione a sei mesi del termine c.d. lungo per impugnare da parte della l. 18 giugno 2009, n. 69, che ha modificato l'art. 327 c.p.c., trova applicazione anche per l'impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha ritenuto che la previsione dell'art. 391-bis c.p.c., laddove prevede che il ricorso per revocazione c.d. ordinaria delle pronunce della Corte di Cassazione possa essere proposto, nell'ipotesi di mancata notifica delle stesse, entro il termine di un anno dalla pubblicazione, ha carattere eccezionale ai sensi dell'art. 14 disp. prel. c.c., sicché non trova applicazione per la proposizione di tale ricorso il termine semestrale previsto in generale dall'art. 327 c.p.c., a seguito delle modifiche apportate dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, termine peraltro applicabile anche qualora sia proposta impugnazione per revocazione di sentenze pronunciate da organi diversi dalla Corte di Cassazione ex art. 395 c.p.c.

Nell'aderire, con le succinte motivazioni ora indicate, fondate pressoché esclusivamente sulla formulazione letterale dell'art. 391-bis c.p.c. - non modificata contestualmente alla norma generale di cui all'art. 327 c.p.c., da parte della richiamata l. n. 69 del 2009 - la Corte di legittimità sembra discostarsi dalla propria giurisprudenza tradizionale sulla medesima questione.

Invero, non può trascurarsi, in questa sede, che in una precedente decisione la S.C., pur non ritenendo tardivo il ricorso per revocazione proposto oltre il termine semestrale dalla pubblicazione della sentenza, abbia espressamente precisato che ciò dipendeva solo dalla circostanza che l'art. 327, comma 1, c.p.c., come modificato dalla l. n. 69 del 2009, non era nella specie applicabile ratione temporis, poiché il giudizio era iniziato in primo grado prima della data del 4 luglio 2009 (cfr. Cass. civ., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 20734).

Sotto altro profilo, quest'ultima pronuncia si era ricondotta all'orientamento tradizionale affermato sulla questione dalla Corte di Cassazione, in virtù del quale ai fini della proposizione del ricorso per revocazione avverso le sentenze rese in sede di legittimità ex art. 391-bis c.p.c. trova applicazione l'art. 327 c.p.c. nel suo complesso (Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2005, n. 26261).

Osservazioni

La soluzione della Corte, sebbene appaia la più lineare in ragione della formulazione letterale dell'art. 391-bis, comma 1, c.p.c., non persuade pienamente per le conseguenze che l'adesione a tale tesi può avere sul piano sistematico.

Invero, la tesi volta a ricondurre la disciplina dei termini per la proposizione del ricorso per revocazione avverso le decisioni della S.C. a quella generale dettata, rispettivamente per il termine breve e per quello lungo ad impugnare, dagli artt. 325 e 327 c.p.c., consente di ritenere applicabile, come ha chiarito la richiamata sentenza n. 26261 del 2005, quest'ultima disposizione nel suo complesso (Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2005, n. 26261).

In particolare, è stato evidenziato che, anche al ricorso per revocazione proposto avverso una sentenza della Corte di cassazione, si applica l'art. 327 c.p.c., sicché la parte ricorrente non decade dalla facoltà di proporre tardivamente l'impugnazione, in applicazione del secondo comma di tale norma, se dimostri la nullità della citazione o della notificazione di essa e di non aver avuto conoscenza del processo a causa di tale nullità, precisando che la prova di quest'ultima circostanza può essere fornita anche a mezzo di presunzioni, purché esse siano gravi, precise e concordanti (Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2005, n. 26261).

In sostanza, volendo seguire il ragionamento compiuto dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame, coerenza vuole che, dall'eccezionalità del disposto dell'art. 391-bis rispetto a quello dell'art. 327 c.p.c., deve trarsi anche l'impossibilità che, ai fini della proposizione dell'impugnazione per revocazione delle pronunce di legittimità, trovi applicazione la disciplina dettata dal comma 2 dell'art. 327 c.p.c.

Peraltro, non sarebbe peregrino sul piano sistematico continuare a sostenere la tesi tradizionale, rilevando, piuttosto, che un'eccezionalità dell'art. 391-bis c.p.c. in parte qua non potrebbe ricondursi ad una volontà del legislatore, atteso che tale norma è stata emanata prima della riforma di cui alla legge n. 69 del 2009 quando anche il termine lungo per impugnare dettato dall'art. 327, comma 1, c.p.c., era pari ad un anno e che, pertanto, la «dimenticanza» del legislatore (i.e. il mancato contestuale intervento sul primo comma dell'art. 391-bis c.p.c.) non impedirebbe di fare applicazione dei termini generali per impugnare nell'ipotesi di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione.

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