Patrocinio a spese dello Stato: per iniziare l'esecuzione forzata occorre una nuova istanza?

Mauro Di Marzio
10 Aprile 2017

La parte già ammessa al patrocinio a spese dello Stato in relazione ad un giudizio di cognizione, deve fare una ulteriore istanza per ottenere una (nuova) ammissione al beneficio qualora voglia agire in executivis in forza del titolo ottenuto all'esito del precedente giudizio?

La parte già ammessa al patrocinio a spese dello Stato in relazione ad un giudizio di cognizione, deve fare una ulteriore istanza per ottenere una (nuova) ammissione al beneficio qualora voglia agire in executivis in forza del titolo ottenuto all'esito del precedente giudizio?

La soluzione (resa necessaria dall'unico precedente di legittimità in materia, sebbene discutibile, come si dirà) è la seguente: sì, occorre una nuova istanza la quale documenti:

  1. che il processo di cognizione si è concluso con una decisione che ha dato luogo alla formazione di un titolo riconducibile all'art. 474 c.p.c.;
  2. che il soggetto passivo dell'esecuzione è il medesimo nei cui confronti si è formato il titolo in sede di cognizione;
  3. che la parte istante fornisca elementi idonei a ritenere la non manifesta inutilità dell'esecuzione che intende intraprendere, e cioè la sua fruttuosità.

La materia è regolata dal D.P.R. 30 maggio 2002, n.115, recante il testo unico sulle spese di giustizia, che disciplina, tra l'altro, il patrocinio a spese dello Stato.

L'art. 75, sotto la rubrica «ambito di applicabilità», stabilisce al comma 1 che: «L'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse».

Si tratta di una previsione estremamente ampia, che comprende qualsiasi attività giudiziale potenzialmente onerosa per la parte, sicché dall'ambito di applicazione del patrocinio a spese dello Stato rimane in buona sostanza esclusa la sola attività stragiudiziale (v. su questo Trib. Firenze, sez. II, 13 dicembre 2016). Ora, la latitudine di tale previsione, letta isolatamente, indurrebbe a credere che, una volta ottenuta l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in vista del processo di cognizione, essa dispieghi i propri effetti anche nella susseguente fase esecutiva, volta alla realizzazione coattiva del diritto consacrato nel titolo conseguito all'esito del giudizio di cognizione: e che, dunque, non occorra una nuova istanza di ammissione al patrocinio.

Tuttavia, per la soluzione del quesito occorre considerare anche il comma 2 dello stesso art. 75, il quale soggiunge che: «La disciplina del patrocinio si applica, in quanto compatibile, anche nella fase dell'esecuzione … sempre che l'interessato debba o possa essere assistito da un difensore o da un consulente tecnico». Dopodiché, deve essere osservato che, in materia civile, opera una regola parzialmente diversa da quella dettata dall'art. 75. E cioè, la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato in primo grado può avvalersi dell'ammissione nei gradi successivi se vincitrice, non se soccombente. Regola, quest'ultima, sancita dall'art. 120, secondo cui: «La parte ammessa rimasta soccombente non può giovarsi dell'ammissione per proporre impugnazione …». Sicché, qualora sia rimasta soccombente, la parte che intende avvalersi del patrocinio a spese dello Stato può proporre impugnazione soltanto se quest'ultima risulti non manifestamente infondata, e, cioè, in presenza del fondamentale requisito per l'ammissione al patrocinio, sancito dal comma 2 dell'art. 74. Dunque occorre in tal caso una nuova istanza di ammissione formulata in conformità all'art. 122, secondo cui: «L'istanza contiene, a pena di inammissibilità, le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere …». Ed occorre un nuovo conseguente provvedimento di ammissione.

Il disegno voluto dal legislatore è chiaro. La regola generale, in materia civile, è che il provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio presuppone che la pretesa sia non manifestamente infondata e vale dall'inizio alla fine: non occorre cioè un singolo provvedimento per ogni grado, fase o incidente che sia. Resta fermo che il beneficiario dell'ammissione è tenuto a comunicare le sue eventuali variazioni reddituali che gli facciano perdere il beneficio e che, in ogni caso, il giudice può sempre revocare l'ammissione ex post ai sensi dell'art. 136. Se, però, la parte ammessa al beneficio perde, non può proporre impugnazione: se ha perso, evidentemente, la sua domanda non può essere considerata così e semplicemente non manifestamente infondata. Al contrario, essendo stata respinta, essa è infondata fino a prova contraria. E, dunque, occorre in questo caso, secondo una logica pienamente lineare, un nuovo provvedimento di ammissione.

Ebbene, nell'interpretare il combinato disposto delle richiamate norme, la Cassazione ha recentemente affermato il seguente principio: «In tema di patrocinio a spese dello Stato, l'art. 75 del d.P.R. n. 115/2002 prevede che la relativa disciplina si applichi, nella fase dell'esecuzione, "in quanto compatibile", sicché, ove la richiesta di ammissione sia formulata con riferimento al processo esecutivo, occorre, ex art. 122 del medesimo d.P.R., valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intenda far valere, verificando, da un lato, l'esistenza effettiva del titolo esecutivo (cioè di un documento che rientri tra quelli previsti dall'art. 474 c.p.c., o di una sentenza di condanna non generica, o di un titolo ottenuto nei confronti della stessa persona nei cui confronti si voglia agire), e, dall'altro, la possibile fruttuosità dell'esecuzione, ossia che la parte istante fornisca elementi idonei a ritenerne la non manifesta inutilità» (Cass. 22 dicembre 2015, n. 25791).

Secondo tale pronuncia: «Il chiaro riferimento all'applicazione della normativa, "in quanto compatibile", anche al processo di esecuzione, priva di fondamento in radice la prospettazione … di un'ammissione al patrocinio nel processo esecutivo discendente automaticamente dall'ammissione al patrocinio nel giudizio di cognizione». La Suprema Corte, dunque, ritiene che l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per il giudizio di cognizione non operi automaticamente per il giudizio susseguente di esecuzione forzata. La pronuncia richiama poi l'art. 122 del medesimo d.P.R., secondo cui, come si è visto, l'istanza di ammissione al patrocinio «contiene, a pena di inammissibilità, le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere». Ebbene, l'applicazione della normativa dettata in materia di ammissione al patrocinio a spese dello Stato al processo di esecuzione «in quanto compatibile» comporta secondo la Cassazione anche l'applicazione del citato art. 122, da intendersi, però, in modo adeguato alle caratteristiche proprie del processo esecutivo: è cioè considerando la non manifesta infondatezza quale non manifesta infruttuosità, sicché la parte che richiede l'ammissione al patrocinio in funzione dell'esecuzione deve fornire elementi idonei a ritenere la non manifesta inutilità dell'esecuzione.

Come si diceva, la soluzione è discutibile: ciò che rende necessaria una nuova istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è la soccombenza dell'istante, per l'ovvia considerazione che la pretesa (o la resistenza) di chi ha perso non può essere ritenuta non manifestamente infondata. Ma nel caso in discorso l'istante ha vinto, tant'è che ha ottenuto la formazione del titolo esecutivo, sicché dovrebbe valere la regola generale secondo cui l'ammissione al patrocinio è valida per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, procedure tra le quali sembra doversi senz'altro considerare anche la fase esecutiva, tanto più alla luce del precetto secondo cui il patrocinio a spese dello Stato si applica anche all'esecuzione.

Tuttavia, il precedente della Suprema Corte è quello che è. Il quesito è stato dunque sciolto nel senso precedentemente indicato per ovvie ragioni prudenziali. Resta altrimenti la strada di rimettere in discussione la questione, sollecitando una decisione in contrasto con il precedente giurisprudenziale richiamato.

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