Garanzia propria e garanzia impropria: categorie giuridiche prive di effetti ?

Francesco Bartolini
10 Giugno 2016

In caso di chiamata in causa in garanzia dell'assicuratore della responsabilità civile, l'impugnazione giova anche al soggetto assicurato, senza necessità di una sua impugnazione incidentale.
Massima

In caso di chiamata in causa in garanzia dell'assicuratore della responsabilità civile, l'impugnazione - esperita esclusivamente dal terzo chiamato avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda principale, di affermazione della responsabilità del convenuto e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, sia quella di garanzia da costui proposta - giova anche al soggetto assicurato, senza necessità di una sua impugnazione incidentale, indipendentemente dalla qualificazione della garanzia come propria o impropria, che ha valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell'applicazione degli artt. 32, 108 e 331 c.p.c., dovendosi comunque ravvisare un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale non solo se il convenuto abbia scelto soltanto di estendere l'efficacia soggettiva, nei confronti del terzo chiamato, dell'accertamento relativo al rapporto principale, ma anche quando abbia, invece, allargato l'oggetto del giudizio, evenienza, quest'ultima, ipotizzabile allorché egli, oltre ad effettuare la chiamata, chieda l'accertamento dell'esistenza del rapporto di garanzia ed, eventualmente, l'attribuzione della relativa prestazione.

Il caso

Una impresa di servizi, evocata in giudizio dal committente per il risarcimento di asseriti danni, aveva chiamato in garanzia la società assicuratrice.

Nei confronti di entrambe era stata pronunciata sentenza di condanna al risarcimento.

La società garante aveva impugnato, con appello, la sentenza nel capo che aveva affermato la sussistenza della responsabilità della convenuta, sua assicurata, ed aveva ottenuto una pronuncia di insussistenza del fatto generatore di tale responsabilità.

Non aveva, invece, appellato l'impresa assicurata, limitatasi ad aderire alle ragioni di impugnazione formulate dall'appellante: e il giudice del gravame aveva affermato che, in difetto di un appello incidentale, nei di lei confronti la sentenza di primo grado, di condanna al risarcimento, «restava».

Con uno dei motivi di ricorso per cassazione, l'impresa ha denunciato la violazione degli artt. 102 e 336 c.p.c. e 1917 c.c., sull'assunto per cui, in forza del rapporto di litisconsorzio processuale necessario creato dalla chiamata in garanzia, la decisione favorevole al terzo assicuratore doveva intendersi estesa anche al garantito.

La questione

La III sezione della Corte di cassazione ha chiesto la pronuncia delle Sezioni Unite su due aspetti della vicenda, tra loro collegati:

  • uno concerne il fondamento della distinzione tra garanzia propria e impropria, che comporta, secondo la corrente interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, differenza di effetti, quanto alla possibilità di estendere la sentenza d'appello, favorevole al terzo chiamato appellante, anche al garantito non appellante (effetto estensivo che si nega alla garanzia impropria e che, in genere, si attribuisce alla garanzia propria);
  • l'altro riguarda la stessa attitudine della garanzia propria a comportare i detti effetti estensivi, in un assetto normativo nel quale occorre sempre che sia il convenuto garantito a chiamare in causa il terzo, così rendendosi intermediario indispensabile, con l'esercizio della sua azione di garanzia, tra l'attore e il terzo.

Le soluzioni giuridiche
  • Le ragioni per dubitare delle conseguenze pratiche di una distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria

La sezione remittente ha evidenziato che la giurisprudenza più recente concorda nell'attribuire natura di garanzia propria alla garanzia cui è tenuto l'assicuratore in forza dell'art. 1917 c.c..

Tuttavia, una regola che da questa fattispecie si volesse astrarre e rendere generale incontrerebbe numerose eccezioni, tra esse quella costituita dalla garanzia dovuta dall'assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, considerata quale esempio tipico di garanzia impropria, e che non consente un effetto estensivo della sentenza favorevole d'appello alla parte che non abbia, a propria volta, impugnato la decisione affermativa della responsabilità per danni.

Inoltre, con alcune decisioni in tema di giurisdizione internazionale, le Sezioni Unite della Corte di cassazione già avevano affermato che la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria era del tutto irrilevante e priva di effetti sul processo.

Sebbene riferite ad una questione di giurisdizione, le dette pronunce (segnatamente, la decisione n. 8404 del 2012) sembravano indicare uno specifico indirizzo di svalutazione della detta distinzione, con possibili ricadute sulla struttura del processo e sui diritti processuali delle parti del rapporto sostanziale.

  • Le argomentazioni svolte dalle sezioni unite in ordine alla garanzia propria e impropria

Le Sezioni Unite hanno preso in considerazione gli artt. 32, 106 e 108 c.p.c., quali norme recanti la disciplina del rapporto di garanzia e della chiamata del terzo in giudizio per averne da questi la manleva.

Hanno osservato che la prima disposizione non entra in gioco, se il convenuto si limita a chiedere che gli effetti per lui sfavorevoli si riversino sul terzo, perché in tal modo la sua chiamata di terzo non comporta uno spostamento di competenza.

In questo caso, l'esercizio dell'azione di garanzia si risolve nell'estensione al terzo della veste di parte nel giudizio, con tutti i poteri a contraddirvi e difendersi; nessuna conseguenza può essere attribuita al fatto che l'azione esercitata abbia natura di garanzia propria, invece che quella di garanzia impropria.

Analogamente, anche quando il convenuto chiede, con una apposita domanda, che sia accertato il rapporto di garanzia contro il garante, non ha alcun rilievo che la pretesa garanzia abbia natura propria o impropria, posto che il terzo assicuratore assume nel processo una posizione identica a quella del caso precedente.

In entrambe le situazioni la distinzione tra le due fattispecie di garanzia è priva di effetti pratici. Nell'una, la competenza rimane la stessa ed è inutile richiamare sia l'art. 32 che la detta distinzione. Nell'altra, il convenuto aggiunge una domanda, la quale resta, pur sempre, dipendente e pregiudicata dall'accertamento del rapporto principale.

Il cumulo di domande che consegue alla chiamata in giudizio ai sensi dell'art. 106 deve previamente rispettare il disposto dell'art. 32, ma può anche prescinderne.

Infatti, se il convenuto chiama il terzo garante per riversare su di lui gli effetti sfavorevoli della pronuncia, sul semplice assunto che esista il rapporto di garanzia, la sua chiamata conferisce al terzo la legittimazione processuale a contraddire e impugnare, senza che abbia rilievo la natura propria, o meno, della garanzia invocata.

Se il convenuto chiede anche l'accertamento del rapporto di garanzia (avendone interesse, per evitare la risoluzione del rapporto o per valersene in altre questioni), la posizione del garante non muta e resta irrilevante la natura della garanzia da accertarsi.

Analoghe considerazioni sono svolte a proposito dell'art. 108, relativo all'estromissione del garantito.

Le Sezioni Unite osservano, inoltre, che non esistono indici normativi che giustifichino l'attribuzione di conseguenze giuridiche diverse, dipendenti dalla distinzione tra garanzia propria e impropria. Anche per questo motivo, la detta distinzione va mantenuta soltanto a livello descrittivo delle varie fattispecie e deve essere abbandonata a livello di conseguenze applicative.

  • Il litisconsorzio processuale in appello

Per la Corte, la distinzione tra garanzia propria e impropria è priva di rilievo di conseguenze anche per quanto concerne gli effetti della sentenza favorevole d'appello nel rapporto tra convenuto assicurato e terzo assicuratore chiamato nel giudizio.

La chiamata dà luogo ad un litisconsorzio processuale necessario, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., indipendentemente dalla natura della garanzia.

Se è affermata la sussistenza del rapporto principale (cioè la causazione del danno da risarcire all'attore), la pronuncia legittima sia il convenuto che il terzo all'impugnazione, da notificarsi anche all'attore.

Ma il ritenere che l'eventuale pronuncia favorevole d'appello resti limitata alla sola parte impugnante è in contraddizione con l'inscindibilità del rapporto, sia che nel processo sia stata chiesta la sola estensione soggettiva della domanda attrice e sia che, invece, il convenuto abbia chiesto, in aggiunta, l'accertamento del rapporto di garanzia.

Per venire alla vicenda di specie, La Corte ha affermato che erroneamente il giudice di merito aveva dichiarato dovesse restar “ferma” la condanna nei confronti del garantito, sull'assunto che questi non aveva interposto appello a sua volta.

n siffatto appello non era necessario, potendo gli effetti favorevoli della pronuncia ottenuta dal garante estendersi al garantito anche nei casi di sua inerzia o di contumacia.

Osservazioni

La sentenza che si annota è di notevole articolazione e dettaglio; la sintesi che precede è, per necessità, molto riduttiva dell'ampia argomentazione con la quale la Corte ha dato conto della sua decisione. Può dirsi subito che non esistono motivi per non concordare sulle conclusioni raggiunte a proposito dell'effetto estensivo del risultato favorevole dell'impugnazione, proposta dal terzo chiamato, nei confronti del convenuto garantito (e viceversa). Prima ancora di inoppugnabili ragioni giuridiche, militano in tal senso esigenze di logica e di buon senso. Una decisione che affermi, su istanza del terzo garante, la non sussistenza del fatto lesivo, in ordine al quale è richiesta la sua garanzia, non può, a pena di una palese quanto ingiustificata contraddizione interna, lasciare che “resti” una condanna, per il garantito, che presuppone la sussistenza di quello stesso fatto lesivo. Ove ciò venisse ritenuto ammissibile, si avrebbe un risultato equivalente a quello che si verificherebbe in esito a una domanda totalmente diversa, ove venisse dichiarato che non sussiste il rapporto di garanzia. Anche in questo caso il garante sarebbe assolto dalla richiesta di prestare la garanzia; ma nell'altro caso egli propone una domanda diversa e ottiene dalla decisione di appello una pronuncia ben più radicale, che tocca non solo il rapporto di garanzia ma quello che costituisce il presupposto per la sua operatività, costituito dal rapporto principale tra convenuto e attore.

La Corte ha motivato la sua decisione con argomentazioni di ordine giuridico che hanno evidenziato la veste normativa del principio di buon senso qui richiamato. Senza dubbio, la stretta connessione di cause, principale ed accessoria, operata dalla chiamata in garanzia, crea tra le parti del giudizio di impugnazione un vincolo di inscindibilità e di comunanza idoneo a trasmettere effetti favorevoli tra i soggetti aventi in comune il rapporto di garanzia. La novità che si coglie nella pronuncia concerne l'irrilevanza assegnata alla distinzione tra garanzia propria e impropria che, secondo giurisprudenza ricorrente (ora confutata), produceva conseguenze diverse, quanto ai detti effetti estensivi. Solo la garanzia propria poteva giustificarli e produrli, mentre la garanzia impropria, si affermava, non dava luogo ad una fattispecie di inscindibilità di cause, con necessità di integrazione del contraddittorio (in tal senso ancora Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 2013, n. 24132).

In contrario afferma, ora, la Corte che la questione esaminata «… si pone e deve essere risolta negli stessi termini con riguardo a qualsiasi figura di garanzia, sia essa propria o sia essa impropria; il rilievo della distinzione tra le due tipologie di garanzia scompare anche riguardo al problema in esame, al contrario di quanto in passato si era ritenuto…».

È questo l'effetto estensivo della legittimazione conferita dalla chiamata al garante: legittimazione a contraddire, anche con riferimento all'accertamento del rapporto principale.

L'affermazione per cui vanno negate conseguenze applicative alla distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria non può essere accolta senza una qualche perplessità.

La Corte ha affermato che quella distinzione non riposa su alcuna indicazione normativa e la circostanza risponde, indubbiamente, a un dato di facile accertamento.

Se bastasse questa considerazione, la questione non avrebbe alcuna necessità di porsi ulteriormente e troverebbe una soluzione attendibile nel principio per cui ciò che non è nella norma di diritto positivo non esiste come regola cui attenersi. In tal modo, però, non si spiegherebbe perché, dal codice del 1865 in poi, dottrina prevalente e giurisprudenza conforme si siano costantemente richiamate alla detta distinzione per farne discendere effetti applicativi diversi, in tema soprattutto di competenza e di litisconsorzio.

Per verità, nelle affermazioni che avevano ad oggetto queste diversità di effetti si coglieva un tono di pronuncia apodittica, che dava per scontato presupposti dei quali si riteneva non necessario fornire di volta in volta la dimostrazione. Si è sempre ripetuto, ad esempio, che, quando l'invocata garanzia era, nel caso di specie, impropria, la relativa domanda non poteva essere proposta al giudice della domanda principale, nel caso di diversa competenza territoriale; oppure che il litisconsorzio, che ne seguiva tra le parti, era meramente facoltativo.

Si riproponevano le indicazioni assunte a fondamento della distinzione (identità dei titoli delle domande o loro connessione oggettiva, per la garanzia propria; diversità di titoli o connessione soltanto di fatto o occasionale, per la garanzia impropria) ma senza indicare quali ragioni giustificassero il porsi di una siffatta distinzione e perché questa distinzione dovesse ripercuotersi in conseguenze applicative difformi. Verosimilmente, fatta, a monte, una classificazione concettuale, da essa si traevano conseguenze coerenti con questa costruzione concettuale, ma prive di una base di giustificazione concreta.

Le Sezioni Unite si sono addentrate in una motivazione intesa a dimostrare, partendo dal piano degli effetti, l'inutilità della cennata distinzione. Negandosi la diversità di conseguenze, infatti, si deve giungere a negare, prima ancora, l'importanza stessa della differenziazione che dovrebbe produrle. Ma, a parere di chi scrive, anche in questa occasione le argomentazioni si risolvono in una esposizione didascalica e non totalmente esaustiva. Se si afferma, ad esempio, che, a dar luogo ad un effetto di estensione soggettiva di legittimazione al contraddittorio, anche a contraddire sul rapporto principale, è indifferente che la chiamata sia in garanzia propria o in garanzia impropria, bisogna anche spiegare il perché di questa indifferenza, contrariamente a quanto era stato sempre ritenuto, non essendo sufficiente la semplice affermazione in proposito. E, se è pur vero che, una volta inserita la chiamata in garanzia nel processo attraverso l'art. 106, si forma tra le parti un litisconsorzio processuale necessario (implicante in appello l'inscindibilità della causa), bisogna spiegare perché si è sempre ritenuto che, prima di giungere a quell'inserimento, era necessario rispettare l'art. 32, interpretato nel senso che consentisse quell'inserimento soltanto alla domanda di garanzia propria, ove occorresse uno spostamento di competenza.

Forse la miglior risposta al quesito resta quella per cui una differenza di effetti derivante dalla diversità tra la garanzia propria e la garanzia impropria non si giustifica in quanto non riposa su alcun indice normativo. Come si è accennato, la pretesa differenza di effetti risponde, in realtà, ad una simmetria di categorie tutta dogmatica e concettuale: se può farsi una distinzione tra due situazioni, questa deve pur produrre conseguenze corrispondentemente diverse.

Tale asserita diversità di conseguenze, risulta essere una implicazione soltanto logica, priva di riscontro nei fatti. D'altra parte, non è neppure vero che la diversità tra garanzia propria e garanzia impropria conduca sempre a conseguenze processuali diverse.

Si legga, ad esempio, la seguente massima, a proposito di quella garanzia impropria che non dovrebbe creare, secondo l'assunto, un vincolo di inscindibilità e di estensione di effetti favorevoli tra terzo garante e convenuto garantito: «In tema di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli l'impugnazione proposta dall'assicuratore in relazione alla misura del concorso di colpa della vittima giova anche al conducente non proprietario che non abbia, a sua volta, proposto gravame, in quanto tale soggetto riveste, ai sensi dell'art. 1904 c.c., la qualità di assicurato unitamente al proprietario e alle altre persone indicate nell'art. 2054, comma 3, c.c., sicchè la sussistenza e la misura della sua responsabilità costituiscono presupposto e limite di quella dell'assicuratore verso il terzo danneggiato» (Cass. civ., sez. VI-3, ord., 14 ottobre 2015, n. 20766).

In ogni caso, l'insegnamento delle Sezioni Unite è molto reciso: se si può continuare a rilevare una diversità tra le fattispecie di garanzia, questa diversità vale su un piano ricognitivo di singole situazioni ma deve essere abbandonato il principio che da tale diversità faceva discendere effetti applicativi diversi sul processo.

Dalla chiamata in garanzia deve essere, come è noto, tenuta distinta la chiamata in giudizio di un terzo al quale, per il convenuto, deve essere unicamente imputato il fatto generatore della responsabilità. In tal caso, nel giudizio di appello non è necessaria l'integrazione del contraddittorio al terzo, ex art. 331 c.p.c., ove non sia oggetto di censura il capo della sentenza che abbia escluso la sua responsabilità, perché in questa situazione si forma il giudicato sul punto e il terzo non ha alcun interesse da tutelare in giudizio nè ricorre l'esigenza di evitare possibili contrasti di giudicato (Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2016, n. 1049).

Guida all'approfondimento

B. GAMBINERI, Garanzia e processo, 1, II, Milano, 2002, 145 ss., 170 ss. 218 ss.

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