L'inammissibilità della testimonianza assunta per la prova di un contratto che richiede la forma scritta ad substantiam non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione

10 Giugno 2016

I limiti di ammissibilità della prova testimoniale sull'esistenza di un contratto soggetto a forma scritta "ad substantiam" sono dettati da ragioni di ordine pubblico.
Massima

I limiti di ammissibilità della prova testimoniale sull'esistenza di un contratto soggetto a forma scritta "ad substantiam" sono dettati da ragioni di ordine pubblico, sicché l'inammissibilità della prova assunta oltre quei limiti in primo grado non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata, la quale può eccepire il vizio con motivo di appello.

Il caso

Il proprietario di un terreno con sovrastante fabbricato ricorreva al Pretore esponendo che i proprietari del confinante terreno (anch'esso con sovrastante fabbricato), nell'edificare il loro fabbricato, avevano deformato, modificandolo, il piano di campagna, al punto da realizzare il loro fondo a un livello più elevato rispetto a quello del ricorrente stesso il quale chiedeva, quindi, la sospensione di ogni ulteriore lavoro.

L'adito Pretore, rilevato che i lavori erano terminati, rimetteva le parti innanzi al Tribunale competente per il giudizio di merito.

Il ricorrente/attore incardinava, quindi, il giudizio citando i convenuti a comparire dinanzi al Tribunale competente per sentirli condannare all'abbattimento dei manufatti illegittimamente costruiti e al conseguente ripristino dello status quo ante del piano di campagna alterato. Si costituivano in giudizio i convenuti, resistendo alla domanda dell'attore. A seguito dell'istruttoria, il Tribunale rigettava la domanda.

Avverso la suddetta sentenza l'attore proponeva gravame. Gli appellati proponevano appello incidentale condizionato. La Corte d'appello, in parziale accoglimento dell'appello e in parziale riforma della pronuncia impugnata, condannava gli appellati all'abbattimento dei manufatti e alla riduzione dell'altezza del muro di cinta a quella di tre metri da calcolarsi rispetto alla quota originaria del terreno, ponendo a carico degli appellati le spese processuali sostenute dall'appellante nei due gradi di giudizio. Quanto all'appello incidentale condizionato diretto ad ottenere la condanna dell'appellante al risarcimento dei danni sul presupposto che le opere furono eseguite in buona fede con il suo consenso, la Corte territoriale l'ha giudicato infondato, in quanto dall'accordo verbale, nullo, non poteva conseguire alcun effetto.

Gli appellati proponevano ricorso per cassazione della sentenza della Corte d'appello sulla base di cinque motivi. L'originario attore non svolgeva attività difensiva.

La questione

Tra i cinque motivi di ricorso per cassazione assume particolare rilievo la doglianza con cui i ricorrenti per cassazione deducono che la Corte d'appello non aveva la facoltà e il diritto di rilevare ex officio, in assenza di corretta e tempestiva opposizione della parte interessata, l'inammissibilità della prova testimoniale ammessa e assunta in primo grado, al fine di provare il consenso all'esecuzione delle opere per le quali lo stesso richiedeva la demolizione. A detta dei ricorrenti per cassazione, quindi, il giudice di secondo grado non poteva dichiarare l'inutilizzabilità/nullità della prova testimoniale assunta.

Con tale doglianza viene, pertanto, sottoposta al vaglio della Suprema Corte la seguente questione di natura processuale: l'inammissibilità della prova testimoniale assunta per la prova di un contratto che richiede la forma scritta ad substantiam è suscettibile di essere sanata dalla mancata tempestiva opposizione della controparte, oppure può essere utilmente eccepita in ogni stato e grado essendo rilevabile anche d'ufficio?

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso per cassazione articolato in vari motivi viene rigettato.

Con specifico riferimento alla questione processuale suindicata, la Corte di cassazione ritiene corretta la decisione adottata dalla Corte d'appello. In particolare, i giudici di legittimità affermano che i limiti di ammissibilità della prova testimoniale avente ad oggetto l'esistenza di un negozio per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam sono dettati da ragioni di ordine pubblico. L'inammissibilità della prova, pertanto, per contrasto con la norma (art. 2725 c.c.) che la vieta non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata. Conseguentemente, la relativa eccezione può essere utilmente formulata anche dopo l'espletamento della prova vietata, e quindi con la proposizione di uno specifico motivo di appello a fronte di un'assunzione avvenuta in primo grado, essendo tale inammissibilità rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Al fine di ben comprendere la soluzione fornita dalla sentenza in commento alla questione su evidenziata, occorre comprendere la ratio sottesa alle limitazioni normativamente previste per la prova testimoniale.

Come noto la legge, diffidando della prova testimoniale, pone importanti limitazioni alla sua ammissibilità e la sottopone, per lo stesso motivo, alla libera valutazione del giudice.

Tali limitazioni sono dettate dalla normativa sostanziale negli artt. 2721-2726 c.c..

In particolare, la norma che viene in rilievo nell'analisi della questione risolta dalla sentenza in commento è l'art. 2725 c.c.. Tale norma costituisce una regola fondamentale in materia di esclusione della prova testimoniale dei contratti per i quali la legge richiede la forma scritta. Risulta evidente come la finalità di tale divieto si rinvenga nell'esigenza di evitare che il contraente possa, per tale via, superare la nullità derivante dall'inosservanza della forma prescritta.

La stessa norma nei suoi due commi distingue, però, l'ipotesi in cui la prova venga richiesta per negozi per i quali legge richiede la forma scritta ad probationem da quella per cui la forma scritta è richiesta per la validità stessa del negozio (ad substantiam). Nonostante la previsione separata delle fattispecie, in realtà entrambi i commi dell'art. 2725 c.c. consentono la prova per testimoni del negozio per il quale sia richiesta la forma scritta (ad substantiam o ad probationem) soltanto al verificarsi della circostanza indicata nell'art. 2724 n. 3 c.c., i.e. quando il contraente interessato alleghi e dimostri di aver smarrito il contratto senza sua colpa.

Osservazioni

L'orientamento affermato dalla S.C. nella pronuncia in esame è da approvare, poiché la Corte attribuisce opportuna rilevanza, ai fini del regime del rilievo dell'inammissibilità, alla distinzione effettuata dall'art. 2725 c.c., nei suoi due commi, tra contratti per i quali la forma è prescritta ai fini di prova e contratti in cui la stessa è richiesta ad substantiam.

Invero, nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte ribadito che l'inammissibilità della prova testimoniale dei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad probationem, non attenendo all'ordine pubblico bensì alla tutela di interessi privati, non possa essere rilevata d'ufficio ma debba essere eccepita dalla parte interessata entro il termine previsto dall'art. 157, comma 2, c.p.c., nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi. Per converso, in materia di atti e contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad substantiam, l'inammissibilità della prova testimoniale dell'esistenza del negozio può essere dedotta in ogni stato e grado del giudizio ovvero rilevata anche d'ufficio, essendo posta a tutela dell'ordine pubblico (Cass. civ., sez. II, sent., 8 gennaio 2002 n. 144; Cass. civ., sez. III, sent., 12 maggio 1999 n. 4690).

Orbene, nella fattispecie all'esame della Suprema Corte, la prova testimoniale era stata ammessa e assunta nel primo grado di giudizio al fine di provare la costituzione verbale di una servitù prediale; la controparte non aveva tempestivamente dedotto l'inammissibilità di tale prova, inammissibilità che, invece, veniva eccepita e conseguentemente rilevata d'ufficio dal giudice soltanto in appello.Alle stregua della giurisprudenza su richiamata, nonché al fine di soddisfare la richiesta di tutela dell'ordine pubblico, sottesa alla previsione normativa che determinati contratti rivestano la forma scritta ad substantiam, la S.C. ha ritenuto che la Corte d'appello abbia correttamente scrutinato la tematica relativa alle prove testimoniali di cui l'appellante aveva lamentato la nullità, atteso che le stesse tendevano a comprovare la costituzione verbale di una servitù prediale in spregio alla fattispecie di cui all'art. 1350 c.c..

Pertanto, l'inammissibilità della testimonianza assunta per la prova di un contratto per il quale la forma scritta sia richiesta ad substantiam non solo non è “sanata” dalla mancata tempestiva opposizione della parte legittimata a farla valere, ma la parte interessata può dedurla in ogni stato o grado del giudizio così come il giudice (anche d'appello) può rilevarla d'ufficio, essendo tale inammissibilità dettata per ragioni di ordine pubblico.

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