Giudizio divisorio: inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il rigetto del reclamo

11 Aprile 2017

L'ordinanza di rigetto del reclamo proposto avverso l'atto del notaio delegato dal giudice per le operazioni di divisione non è impugnabile mediante ricorso straordinario per cassazione.
Massima

L'ordinanza con la quale il Tribunale rigetta il reclamo proposto dai uno dei condividenti avverso l'atto del notaio delegato dal giudice per le operazioni di divisione non è impugnabile mediante ricorso straordinario ex art. 111 Cost., perché non si tratta di un provvedimento decisorio su diritti.

L'art. 790 c.p.c. prevede che, in caso di contestazioni in ordine alle operazioni di vendita, il notaio rediga apposito verbale che trasmette al giudice istruttore, il quale decide su di esse con ordinanza. Contro quest'ultimo provvedimento è data opposizione agli atti esecutivi.

Il caso

Il tribunale di Pisa ha dichiarato inammissibile con ordinanza il reclamo proposto da uno dei condividenti avverso un atto del notaio delegato alle operazioni di vendita, affermando che l'attività del notaio delegato ha natura amministrativa e che sulle contestazioni sorte nel corso delle operazioni deve provvedere il giudice delegante, previa trasmissione del relativo verbale da parte del professionista delegato.

Contro l'ordinanza viene proposto ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost., affermando come motivo a supporto dell'impugnazione «la ritenuta inammissibilità del reclamo... costituisce... negazione del diritto di difesa, sancito come inviolabile dalla Carta Costituzionale».

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, perché il provvedimento impugnato non è decisorio su di un diritto: nel caso di specie non è stato neppure dedotto che la denunciata violazione del termine abbia avuto concrete conseguenze sullo svolgimento delle operazioni di vendita del bene e, quindi, sulle posizioni di diritto soggettivo del ricorrente.

La questione

La pronuncia in esame è interessante perché fornisce delucidazioni intorno alla natura della fase del giudizio di divisione in cui si procede all'individuazione delle porzioni da assegnare ai condividenti, operazione che il giudice può delegare ad un professionista.

Il giudice di legittimità da preziose indicazioni per interpretare il dato legislativo ed, in particolare, per capire i termini del rinvio alla disciplina dell'esecuzione forzata da parte degli artt. 787 e 788 c.p.c., evidenziandone i limiti.

Le soluzioni giuridiche

Il giudizio di divisione viene introdotto come un processo ordinario, ma si prevede la possibilità di abbreviarlo, grazie alla scomposizione dell'oggetto della controversia in ogni suo snodo fondamentale (il passaggio alle operazioni di divisione, la disposizione delle operazioni di vendita o assegnazione, l'approvazione del progetto di divisione e dell'attribuzione delle quote), in caso di non contestazione sui singoli punti (V. Bussola Divisione giudiziale).

La prima fase ha ad oggetto le eventuali contestazioni al diritto alla divisione, superate le quali si deve passare alle operazioni di divisione. Queste possono essere dirette dal giudice stesso ovvero delegate ad un notaio (art. 786c.p.c.) o ad altro professionista, per analogia con quanto disposto dall'art. 791-bis, comma 1c.p.c. sulla “divisione a domanda congiunta” e per evitare perciò disparità di trattamento.

Il professionista è scelto dal giudice senza che sia necessario il consenso delle parti. Egli assume funzioni e responsabilità di un ausiliario di giustizia, senza che sia investito di poteri decisori. Se sorgono contestazioni o difficoltà che non siano meramente modali o di dettaglio, infatti, egli deve rimettere le parti davanti al giudice (art. 790c.p.c.).

D'ufficio, su istanza del professionista o di uno degli interessati, il giudice può nominare un esperto per la formazione della massa da dividersi e delle quote (art. 194 disp. att. c.p.c.).

Qualora non sia possibile la formazione di porzioni in natura (v. L. Di Cola, Divisione endoesecutiva), ovvero quando ci siano debiti della massa e non ci sia denaro per pagarli, si deve procedere alla vendita dei beni (art. 787 e 788 c.p.c.), disposta con ordinanza ovvero con sentenza, se sorgono contestazioni sulla necessità della vendita.

L'ordinanza con le quali il giudice istruttore dispone la vendita contiene una duplice determinazione: l'una con la quale il giudice, nell'ambito del giudizio di divisione, secondo la specifica previsione normativa, accerta che occorre procedere alla vendita del bene comune e, quindi, decide di provvedere ex art. 534 e ss. o 570 ss, c.p.c.; l'altra, con la quale, sulla base di tale premessa, stabilisce le modalità della vendita. Quest'ultima determinazione, già al di fuori dell'ambito della disciplina del giudizio di divisione, è soggetta, in virtù del richiamato rinvio, alla disciplina dell'esecuzione forzata al pari di tutti gli atti successivi (Cass., S.U., n. 181859/2013). Solo se l'ordinanza dovesse essere emessa in presenza di contestazioni espresse sarebbe soggetta al rimedio dell'appello perché, in applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, avrebbe la sostanza di sentenza (V. Bussola Giudizio di divisione).

Gli artt. 787 e 788 richiamano rispettivamente le disposizioni proprie della vendita mobiliare ed immobiliare.

In proposito la Cassazione (Cass., Sez. Un. n. 18185/2013) ha specificato: «invero, la finalità del procedimento di vendita dei beni immobili non è diversa nel giudizio divisorio o nel procedimento esecutivo e le scelte legislative degli ultimi lustri, con l'esplicito rinvio, contenuto nell'art. 788 c.p.c., a norme del processo esecutivo, sono la manifestazione di un richiamo ad esse che va inteso come sistematico». Il principio enunciato dal giudice di legittimità può ritenersi sicuramente riferito anche al caso in cui oggetto della divisione siano beni mobili.

Anche se questa fase ha natura prettamente esecutiva, bisogna tener presente che si inserisce in un giudizio di cognizione, con una disciplina sua propria. Non a caso nella sentenza in commento viene precisato: « … ciò non significa tuttavia che non debbano trovare applicazione le disposizioni specificamente dettate per lo scioglimento della comunione che non contraddicano tale "richiamo sistematico" e, in particolare, che la previsione di cui all'art. 790 c.p.c. debba ritenersi abrogata o comunque "superata" (in via interpretativa) per effetto dell'applicazione generalizzata dell'art. 591-ter c.p.c., che prevede appunto la possibilità di reclamo al giudice dell'esecuzione avverso il decreto dallo stesso adottato a seguito di difficoltà segnalate dal professionista delegato o - direttamente - avverso gli atti del professionista medesimo».

L'art. 790 c.p.c. prevede che, in caso di contestazioni in ordine alle operazioni di vendita, il notaio rediga apposito verbale da trasmettere al giudice istruttore. Quest'ultimo fissa con decreto un'udienza per la comparizione delle parti per esaminare le contestazioni e deciderle con ordinanza.

Con questa disposizione il legislatore ha escluso l'applicazione dell'art. 591-ter c.p.c., quindi, che sia dato avverso gli atti del professionista incaricato reclamo al giudice, da decidersi con decreto.

Contro l'ordinanza, dato il vuoto legislativo da riempire ancora una volta con ricorso alle disposizioni dell'esecuzione forzata, è data opposizione agli atti esecutivi (Cass., Sez. Un. n. 18185/2013).

Osservazioni

Grazie a quest'ultima pronuncia ed alle Sezioni Unite 18185/2013, la Corte ha ricostruito la disciplina di una fase del giudizio di divisione rimasta abbastanza lacunosa, nonostante i recenti interventi legislativi, fornendo all'avvocato un percorso ben preciso nel caso in cui voglia muovere contestazioni alle operazioni di divisione.

Oltre alla strada tracciata dalla Corte, rimane la possibilità di far valere le eventuali nullità procedimentali anche dopo la chiusura di questa fase. Nel caso in cui l'intero giudizio sia concluso con sentenza, la nullità potrebbe essere fatta valere solo con i mezzi di impugnazione; tuttavia, nell'eventualità in cui il giudizio sia terminato con ordinanza ex art. 789 c.p.c., se si accoglie la tesi della Cassazione che vuole il provvedimento non decisorio ma di omologazione di un accordo, contro questa deve essere data quaerela nullitatis. Tale azione può essere proposta in ogni tempo, proprio perché non c'è il limite del giudicato, né della prescrizione civilistica, trattandosi di rimedio di carattere processuale per cui non è prevista alcuna decadenza se il provvedimento impugnato non è decisorio.

Infine, la Corte ribadisce l'impossibilità di configurare la violazione di un diritto di carattere processale, quale il diritto al ricorso, come motivo per ricorrere in cassazione ex art. 111 Cost., perché non siamo davanti ad un diritto soggettivo autonomamente tutelabile

Guida all'approfondimento
  • Lombardi, R., Contributo allo studio del giudizio di divisione, Napoli, 2009;
  • Di Cola, L., L'oggetto del giudizio di divisione, Milano, 2011.

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