Il terzo trasportato è incapace a testimoniare anche se il suo diritto al risarcimento del danno è prescritto

11 Giugno 2016

La vittima di un sinistro stradale è incapace a deporre nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata, in conseguenza del medesimo sinistro.
Massima

La vittima di un sinistro stradale è incapace ex art. 246 c.p.c. a deporre nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro, a nulla rilevando che il testimone abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento o che il relativo credito sia prescritto.

Il caso

La vittima di un sinistro stradale evocava in giudizio il responsabile del danno e la compagnia assicuratrice dello stesso, al fine di chiedere l'accertamento dell'esclusiva responsabilità del primo nella causazione del sinistro stradale occorso e, di conseguenza, la condanna dei convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti. L'istante chiedeva, altresì, l'ammissione della prova testimoniale della persona trasportata e danneggiata nel medesimo sinistro.

Si costituivano entrambi i convenuti, i quali contestavano la domanda attorea e, in via istruttoria, eccepivano l'incapacità a testimoniare del teste indicato dalla persona danneggiata.

Il Tribunale adito, in accoglimento dell'eccezione di parte convenuta, riteneva sussistente l'incapacità a testimoniare del teste, terzo trasportato al momento del sinistro e, pertanto, riteneva nulla la deposizione testimoniale già resa dal predetto testimone; accoglieva in parte la domanda, accertando un concorso di colpa dei conducenti nella causazione del sinistro stradale e liquidando, in favore dell'istante, i danni subiti nella misura del 50%, con compensazione tra le parti delle spese di lite.

Avverso la suddetta sentenza la danneggiata proponeva gravame, lamentando l'erronea decisione del giudice di prime cure nel dichiarare nulla la deposizione dell'unico teste oculare dell'incidente stradale, chiedendo la declaratoria dell'esclusiva responsabilità del responsabile del sinistro, con condanna delle parti appellate al pagamento, a titolo di risarcimento danni, del residuo importo di 219.960,69 Euro, già detratti gli importi percepiti a titolo di acconto.

Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto del gravame. La Corte territoriale investita del gravame rigettava l'appello con compensazione tra le parti delle spese del secondo grado di giudizio.

La danneggiata proponeva ricorso per cassazione, articolato in tredici motivi, avverso la sentenza della Corte di merito, cui resisteva con controricorso la compagnia assicuratrice del responsabile del sinistro,il quale, invece, non svolgeva attività difensiva.

La questione

I tredici motivi articolati dalla ricorrente per cassazione denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 246 c.p.c. e attengono prevalentemente alla tematica dell'incapacità a testimoniare del soggetto vittima di un sinistro stradale in quanto terzo trasportato. Nello specifico, la questione giuridica di rilievo al vaglio della Suprema Corte è la seguente: la persona vittima di un sinistro (nella specie, il terzo trasportato), il cui diritto al risarcimento del danno sia prescritto, può essere ritenuta capace a testimoniare nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altro soggetto danneggiato in conseguenza del medesimo sinistro?

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso per cassazione articolato in tutti i motivi suindicati viene rigettato.

In sostanza, la ricorrente deduce che la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto l'incapacità a testimoniare del terzo trasportato nel sinistro, atteso che lo stesso non aveva interesse al giudizio, poiché non aveva mai agito giudizialmente per lo stesso fine e perché il suo diritto al risarcimento del danno era, al momento della deposizione testimoniale, prescritto.

La Suprema Corte non ritiene di accogliere le doglianze della ricorrente. In particolare, il Supremo Collegio evidenzia anzitutto che il giudizio sulla capacità a testimoniare, sull'attendibilità dei testi e sulla rilevanza delle deposizioni involge apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito, il quale è tenuto ad indicare in modo congruo e logico le ragioni del proprio convincimento in ordine al contenuto di tali deposizioni e alla qualità di chi le ha rese (Cass. civ., sez. III, sent., 15 marzo 2004, n. 5232).

Ribadisce poi la Corte di Cassazione, richiamando molteplici precedenti (ex multis Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2011 n. 16499), il consolidato principio per cui chi è privo della capacità a testimoniare, perché titolare di un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio nel quale deve rendere la testimonianza, non riacquista tale capacità per l'intervento di una fattispecie estintiva del diritto che potrebbe fare valere, quale la prescrizione o la transazione. L'incapacità a testimoniare deve, infatti, essere valutata ex ante, prescindendo dalle vicende che rappresentano un posterius rispetto alla configurabilità dell'interesse a partecipare al giudizio. Conseguentemente, la fattispecie estintiva non può impedire la partecipazione al giudizio del titolare del diritto che ne è colpito e non può renderlo carente dell'interesse previsto dall'art. 246 c.p.c. come causa di incapacità a testimoniare.

Osservazioni

Al fine di poter meglio esaminare l'iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte nella sentenza che si commenta, occorre ripetere alcune brevi e preliminari considerazioni in ordine alla prova testimoniale.

La prova testimoniale consiste nella narrazione dei fatti della causa compiuta al giudice da soggetti che sono terzi, ovvero che non sono parti nel processo stesso. Non tutti però possono assumere la qualità di testimone in un giudizio civile, poiché la legge prevede alcuni limiti e divieti, a garanzia della genuinità di detta prova, al fine di escludere quei soggetti che, per ragioni diverse, possono essere interessati all'esito del giudizio. Per tale ragione l'art. 246 c.p.c. dispone che non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

Si precisa che l'interesse a partecipare al giudizio appena menzionato si identifica, per costante giurisprudenza, con l'interesse a proporre la domanda o a contraddirvi di cui all'art. 100 c.p.c. e deve, pertanto, essere giuridico, concreto ed attuale (Cass. civ., sez. lav., sent., 12 maggio 2006 n. 11034).

Orbene, nella fattispecie oggetto della pronuncia de qua il soggetto indicato come unico teste dalla danneggiata era anch'egli vittima del sinistro stradale, poiché terzo trasportato nel veicolo della ricorrente.

Secondo la sentenza in esame, il teste, se incapace a testimoniare, lo sarà sempre, rimanendo esclusa qualsiasi causa “riabilitativa”.

Tale soluzione, a parere di chi scrive, sembra rispettosa del dato normativo e idonea a eliminare situazioni di incertezza processuale e sostanziale.

In conclusione merita di essere evidenziata la precisazione che la Suprema Corte effettua, per mera completezza, con riferimento alla distinzione tra le nozioni di incapacità e di attendibilità del testimone. La capacità a testimoniare di cui all'art. 246 c.p.c. dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre l'attendibilità afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (precisione, completezza, contraddizioni) e soggettiva (credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti).

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