Esecuzione forzata o attuazione dei provvedimenti possesori

13 Settembre 2017

Il punto affrontato nel provvedimento in commento è se l'ordinanza «che accoglie la domanda», ai sensi dell'art. 703, comma 2, e 3, c.p.c., una volta inutilmente decorso il termine di cui al comma 4 del predetto articolo, possa costituire titolo esecutivo ed essere, quindi, oggetto di esecuzione forzata ex art. 612 c.p.c.
Massima

L'ordinanza di accoglimento della domanda possessoria, confermata in sede di reclamo, pur dopo che sia inutilmente decorso il termine per la prosecuzione del giudizio di merito, non costituisce titolo esecutivo e non può quindi essere oggetto di esecuzione forzata ai sensi dell'art. 612 c.p.c., quanto di attuazione ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c..

Il caso

Il Tribunale di Milano, adito in sede di opposizione all'esecuzione, accoglie l'istanza di sospensione della procedura esecutiva per obblighi di fare o di non fare, intrapresa per un provvedimento possessorio, confermato in sede di reclamo e non seguito da tempestiva richiesta di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito.

La questione

Il punto affrontato nel provvedimento in commento è se l'ordinanza «che accoglie la domanda», ai sensi dell'art. 703, comma 2, e 3, c.p.c., una volta inutilmente decorso il termine di cui al comma 4 del predetto articolo, possa costituire titolo esecutivo ed essere, quindi, oggetto di esecuzione forzata ex art. 612 c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Milano osserva come la sentenza resa al termine della fase di merito del giudizio possessorio debba essere posta in esecuzione nelle forme dell'art. 612 c.p.c., laddove l'ordinanza interdittale emessa ai sensi dell'art. 703, commi 2 e 3, c.p.c. debba essere attuata nelle forme di cui all'art. 669-duodecies c.p.c., costituendo l'attuazione di un provvedimento possessorio una fase dell'unitario procedimento cautelare, del tutto autonoma dal processo esecutivo disciplinato nel libro III del c.p.c., che invece è manifestazione di tutela ordinaria.

D'altro canto, osserva il Tribunale, mentre nell'esecuzione di un ordine di fare il giudice deve conformarsi integralmente a quanto disposto nel titolo esecutivo, in forza dell'art. 669-duodecies c.p.c., il giudice dell'attuazione cautelare «dà con ordinanza i provvedimenti opportuni», di tal che quest'ultimo ha un potere più pregnante di “calibrare” l'esecuzione del provvedimento cautelare al caso di specie, potere che, invece, manca al giudice dell'esecuzione, stante l'intangibilità da parte sua del titolo esecutivo.

Così, decidendo sulla questione prima evidenziata, l'ordinanza in commento evidenzia come, in assenza di uno specifico dato normativo in tal senso, al provvedimento possessorio si potrebbe attribuire valore di titolo esecutivo solo in via interpretativa. Tuttavia, alla stregua della ricostruzione data dalla giurisprudenza di legittimità alle caratteristiche dell'ordinanza interdittale possessoria, il Tribunale di Milano nega la sua qualificazione come titolo esecutivo e quindi pure la praticabilità del procedimento ex art. 612 c.p.c..

Osservazioni

Il Tribunale di Milano ricorda come la Corte di Cassazione, seppur con riferimento al provvedimento possessorio emesso nel corso del giudizio petitorio, abbia affermato la natura esclusivamente interinale dello stesso, giacché destinato ad essere assorbito dalla pronuncia che conclude il procedimento a cognizione piena nel quale è stato emesso. Ciò ha indotto ad escluderne l'assoggettabilità ad esecuzione forzata, trovando esclusiva applicazione il procedimento di attuazione regolato dall'art. 669-duodecies c.p.c., proponibile davanti al giudice che ha emesso l'interdetto (Cass. 16 giugno 2008, n. 16220).

Parimenti, sempre partendo dal presupposto che per procedere all'esecuzione dei provvedimenti possessori di natura sommaria non deve essere seguita la disciplina normativa dell'esecuzione forzata relativa agli obblighi di fare stabilita negli artt. 612 - 614 c.p.c., si è esclusa la necesssità della notificazione del precetto, bastando la notifica del titolo esecutivo, mentre, in caso di contestazione relativa alle modalità di attuazione del provvedimento, deve essere proposto ricorso, ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c., allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento sommario (Cass. 12 marzo 2008, n. 6621).

In realtà, la giurisprudenza, nella disciplina anteriore alla Riforma del codice di procedura civile del 1990, si era in un primo momento orientata nel senso che il provvedimento di reintegrazione nel possesso fosse un titolo esecutivo, la cui attuazione non potesse realizzarsi che nelle forme dell'esecuzione forzata (Cass. 19 febbraio 1957, n. 603), per poi mutare indirizzo, in maniera da escludere che l'attuazione dell'interdetto possessorio richiedesse l'osservanza delle forme proprie del procedimento esecutivo (Cass. 29 aprile 1965, n. 778; Cass. 24 febbraio 1970, n. 438; Cass. 6 dicembre 1972, n. 3520; Cass. 15 marzo 1976, n. 955 ; Cass. 27 aprile 1979, n. 2460).

Invero, in astratto è certo che l'esecuzione di una sentenza o di altro provvedimento di condanna per violazione di obblighi di fare o di non fare debba essere attuato, in difetto di spontaneo adempimento, nelle forme previste dagli artt. 612 e 613 c.p.c., le quali demandano esclusivamente al giudice dell'esecuzione la concreta determinazione delle modalità dell'esecuzione e il potere di dirimere le contestazioni che al riguardo dovessero sorgere. Tuttavia, l'esecuzione di provvedimenti interinali, quali sono quelli di reintegrazione o manutenzione del possesso, si colloca al di fuori del processo di esecuzione previsto e regolato dal libro terzo del codice di rito ed è soggetta ad una diversa disciplina (Cass. 30 agosto 1991, n. 9276).

La natura e la funzione proprie degli interdetti possessori consistono nel fatto che gli stessi sono diretti a soddisfare in via temporanea ed urgente l'esigenza di tutelare il possessore dagli attentati, in forma di spoglio o di turbativa, che il suo potere di fatto sulla cosa abbia subito o stia subendo. Essi sono, pertanto, modificabili o revocabili dallo stesso giudice che li abbia emessi, per effetto del mutare della situazione di fatto o di una diversa valutazione della esistenza dei presupposti di invocabilità della tutela possessoria, a differenza dei provvedimenti oggetto dell'esecuzione regolata dagli artt. 612 e 613 c.p.c., caratterizzati dalla definitività del comando contenuto nel titolo esecutivo. Da ciò consegue che anche il meccanismo procedimentale volto ad assicurarne l'attuazione deve essere improntato ad un'estrema semplicità ed elasticità di forme, incompatibili con quelle proprie dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare - consistenti nella previa notifica del precetto, nel ricorso al giudice per la fissazione delle modalità della esecuzione, nell'audizione della parte obbligata e nella determinazione delle indicate modalità da parte del giudice - e caratterizzato dalla stessa speditezza cui è improntato il giudizio possessorio nella fase di cognizione (Cass. 16 aprile 1997, n. 3277).

Viceversa, alla sentenza conclusiva del giudizio di merito possessorio instaurato ai sensi dell'art. 703 c.p.c. si applica la disciplina dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c. (Cass. 8 agostgo 2014, n. 17845). Trovano altresì applicazione in tale fattispecie i limiti delle statuizioni contenute nella sentenza di condanna al facere o al non facere, propri del procedimento di esecuzione coattiva disciplinato nell'art. 612 c.p.c. (Cass. 23 marzo 2011, n. 6665).

Anche a proposito dell'ordinanza resa in sede di reclamo nel procedimento possessorio a struttura eventualmente bifasica, delineata dall'art. 703 c.p.c., come modificato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 80, la Corte di Cassazione ha affermato che, in caso di prosecuzione del giudizio di merito, l'ordinanza possessoria rimane assorbita nella sentenza, unico provvedimento decisorio, mentre, in caso contrario, essa acquista una stabilità puramente endoprocessuale, inidonea al giudicato, o determina una preclusione "pro iudicato" da estinzione del giudizio (Cass. 17 febbraio 2014, n. 3629; Cass. 23 marzo 2017, n. 7565).

In dottrina, ad avviso di M. De Cristofaro, in Codice di procedura civile commentato, diretto da Consolo, IV ed., sub art. 704 c.p.c., Milano, 2010, 904-905, la soluzione che l'esecuzione dei provvedimenti interinali debba collocarsi al di fuori del procedimento esecutivo rimane valida, nel sistema vigente, ove il giudizio prosegua per il merito possessorio, operando l'art. 669-duodecies c.p.c., mentre si renderebbe necessario il ricorso alle norme sull'esecuzione forzata ove il giudizio possessorio si esaurisca con la pronuncia dell'interdetto. In senso analogo, C. Cecchella, Il nuovo processo possessorio, in Cecchella, Amadei, Buoncristiani, Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, Milano, 2006, 142 ss. Per la soluzione propensa all'estraneità dell'esecuzione dei provvedimenti possessori al processo di esecuzione disciplinato dal Libro III del c.p.c., e per l'assoggettamento della stessa all'art. 669-duodecies c.p.c., G.G.Poli, L'attuazione dei provvedimenti possessori, in AA.VV., I procedimenti possessori, diretto da Carratta, Bologna, 2015, 257 ss.

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