Il (poliedrico) regime dell'avvertimento al debitore nell'espropriazione forzata

12 Dicembre 2016

Dato costante delle riforme che nell'ultimo decennio hanno interessato l'espropriazione forzata è rappresentato, per un verso, dalla stringente limitazione dei poteri e delle facoltà del debitore; per altro verso, dal tentativo di riequilibrare un processo sbilanciato a favore del creditore, onerando quest'ultimo soggetto di inserire nell'atto di precetto e in quello di pignoramento una serie di avvertimenti.
Premessa

Dato costante delle riforme che nell'ultimo decennio hanno interessato l'espropriazione forzata è rappresentato, per un verso, dalla stringente limitazione dei poteri e delle facoltà del debitore; per altro verso, dal tentativo di riequilibrare un processo sbilanciato a favore del creditore, onerando quest'ultimo soggetto di inserire nell'atto di precetto e in quello di pignoramento una serie di avvertimenti.

Il legislatore però non si è mai preoccupato di chiarire quali conseguenze derivino dalla violazione di tali prescrizioni; in particolare, dalla lettera della legge non è dato comprendere se l'omissione del singolo avvertimento potrebbe costituire una mera irregolarità oppure integrare una nullità tale da riverberarsi sugli atti successivi, se tempestivamente dedotta. Di qui il fiorire di una serie di opposizioni che finiscono per rallentare la definizione dei creditori.

Va ancora segnalato che, a favore della tesi della mera irregolarità, milita sia l'art. 156 c.p.c., in materia di rilevanza delle nullità; sia l'orientamento della Corte di Cassazione riguardo all'omesso avvertimento sulla facoltà del debitore di accedere alla conversione del pignoramento, a fronte dell'esplicita introduzione della preclusione di cui all'art. 495 c.p.c. da parte del legislatore del 2005. Discorso in parte diverso deve invece essere fatto per l'avvertimento di cui al novellato art. 480, 2° comma, c.p.c., a causa della natura concorsuale delle procedure di sovraindebitamento; nonché per l'avvertimento al terzo pignorato che, nell'espropriazione presso terzi, riveste in concreto il ruolo di parte.

Le diverse tipologie di “avvertimento” presenti nel processo di espropriazione forzata

Per rendere più efficiente e veloce l'espropriazione forzata, il legislatore degli ultimi anni ha potenziato la tutela del creditore, limitando significativamente le facoltà del debitore. Ad un tempo, per informare il debitore delle conseguenze determinate da eventuali decadenze e preclusioni, il creditore è stato onerato di inserire specifici “avvertimenti” nell'atto di precetto e nell'atto di pignoramento.

Il modello di riferimento è quello proprio del n. 7 del comma 3° dell'art. 163 c.p.c. in forza del quale il convenuto, nel processo ordinario di cognizione, deve essere avvertito dall'attore delle conseguenze derivanti della mancata, tempestiva costituzione.

Soluzioni simili si riscontrano nei riti speciali. Si tratta, in particolare, del comma 1° dell'art. 641 c.p.c. in forza del quale il decreto ingiuntivo deve contenere l'avvertimento al debitore sulla possibilità di proporre opposizione e sulle conseguenze della mancata opposizione; e dell'art. 660, comma 3°, c.p.c., ove si prevede che il locatore con la citazione per la convalida di sfratto deve avvertire l'intimato che se non comparisce (o comparendo non si oppone), il giudice convalida la licenza o lo sfratto.

Analogamente, anche nel processo di espropriazione, il comma 3° dell'art. 492 c.p.c., novellato dal legislatore del 2005, ha stabilito che il debitore deve essere edotto, mediante l'atto di pignoramento, della possibilità di avvalersi della conversione ex art. 495 c.p.c., prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione.

Non solo. Per informare il debitore della preclusione di cui all'art. 615 c.p.c., il legislatore del 2016 ha ulteriormente ampliato il comma 3° dell'art. 492 c.p.c.: oggi l'atto di pignoramento deve contenere l'ulteriore avvertimento che l'opposizione all'esecuzione è inammissibile se successiva al provvedimento di cui agli artt. 530, 552 e 569 c.p.c., sempre che non attenga a fatti sopravvenuti o che non sia stata proposta per cause non imputabili all'opponente della preclusione.

Stesso discorso va fatto per l'atto di precetto dopo le riforme apportate dal d.l. n. 83 del 2015 al comma 2°; dell'art. 480 c.p.c. L'esecutato deve, infatti, essere avvertito della possibilità di avvalersi degli strumenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento, con il conseguente beneficio della c.d. esdebitazione.

Resta sullo sfondo il n. 4 del comma 2° dell'art. 543 c.p.c., ove, a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 132/2014 si stabilisce che l'atto di pignoramento deve contenere l'avvertimento al terzo che il credito pignorato, in caso di mancata dichiarazione, si considera non contestato. In questa ipotesi, come si dirà meglio infra, l'avvertimento svolge una funzione peculiare perché rivolto al debitor debitoris, e non invece al debitore esecutato.

Le conseguenze del mancato avvertimento ed il regime delle nullità

Caratteristica comune a tutte le fattispecie di avvertimento che caratterizzano l'atto di precetto e quello di pignoramento è che il dato normativo non chiarisce se la violazione di tali prescrizioni integri:

  1. una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull'efficacia del pignoramento e sulla regolare prosecuzione dell'espropriazione;
  2. una nullità del pignoramento tale da invalidare gli atti esecutivi successivamente compiuti, sempre che tempestivamente dedotta ex art. 617 c.p.c..

Il legislatore ha così determinato, nelle corti di merito, incertezze e guasti di non poco conto.

La soluzione del problema sembra riposare sul dettato dell'art. 156, comma 1°, c.p.c., che esclude la pronuncia della nullità non espressamente comminata dalla legge, lasciando intendere che il mancato avvertimento integri una mera irregolarità.

Gli ultimi due commi della disposizione, tuttavia, aggiungono che la nullità può pronunciarsi anche quando l'atto manca dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo. Non così, invece, se l'atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato. È l'interprete a valutare, caso per caso, se la violazione attenga ad un requisito formale dell'atto, indispensabile per il raggiungimento dello scopo cui era preordinato in una precisa sequenza procedimentale.

Al riguardo va considerato che, da sempre, lo scopo del pignoramento è assicurare i beni alla garanzia dei creditori, imprimendo sui beni un vincolo che, ai sensi dell'art. 2913 c.c., rende inefficaci gli atti di disposizione giuridica pregiudizievoli ai creditori. Se questo è vero, il mancato avvertimento sulla preclusione di cui al novellato art. 615 c.p.c. o sul termine per la conversione non sembra affatto integrare un requisito formale indispensabile ai sensi del comma 2° dell'art. 156 c.p.c.

Analogo discorso va fatto per il mancato avvertimento, ex art. 480, comma 2°, c.p.c., sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento, posto che lo scopo del precetto è e rimane quello di invitare l'intimato all'esatto adempimento di un determinato obbligo, affinché eviti l'esecuzione ed il relativo aggravio di spese. In definitiva, si deve ritenere che l'avvertimento di cui agli artt. 480, comma 2°, e 492, comma 3°, c.p.c., non integra affatto un requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell'art. 156, comma 2°, c.p.c. Discorso in parte diverso, invece, se manca l'avvertimento al terzo pignorato nell'atto di cui all'art. 543, comma 2°, n. 4, c.p.c.. Ma su tale problematica si dirà meglio infra.

La particolare natura dell'avvertimento di cui all'art. 480, comma 2°, c.p.c.

In tutte le ipotesi in cui il legislatore prescrive l'avvertimento non si limita ad enunciare le facoltà della controparte, ma persegue uno scopo ulteriore: chi subisce una determinata azione (esecutiva e non) deve essere tempestivamente informato delle conseguenze negative di specifiche condotte processuali.

Un'eccezione a questo principio è costituita dall'avvertimento di cui all'art. 480, comma 2°, c.p.c., se solo si considera che l'accesso alle procedure di sovraindebitamento è privo di termini, non è impedito dal compimento di determinati atti esecutivi, né richiede forme particolari. In questo stato di cose il debitore non può, dunque, essere avvertito di preclusioni o decadenze di sorta determinate dall'inizio e dallo svolgimento dell'esecuzione forzata singolare, ma solo informato di questa facoltà (che peraltro si presume già nota, in quanto oggetto di specifica prescrizione normativa).

A ben guardare, l'unica limitazione che potrebbe compromettere l'esdebitazione del debitore civile è di tipo esterno all'esecuzione singolare, vale a dire una sopraggiunta dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 12, comma 5°, l. sovraind., sempre che ricorrano i presupposti richiesti dalla legge fallimentare.

Né potrebbe impedire l'accesso del debitore alle procedure di sovraindebitamento, l'operatività dell'art. 187-bis disp. att. c.p.c. sull'intangibilità degli atti esecutivi compiuti a favore dei terzi di buona fede; in caso di aggiudicazione, le somme versate dall'acquirente non potranno, difatti, essere distribuite ai creditori che hanno promosso l'esecuzione ma – sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 107, sesto comma, l. fall. – saranno ripartite tra tutti i creditori della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, come conferma l'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 14-novies, l. sovraind.

Se queste considerazioni sono esatte, si può già raggiungere una prima conclusione: l'avvertimento di cui all'art. 480, comma 2°, c.p.c. costituisce una mera informativa per il debitore precettato che – in qualsiasi momento – può depositare un ricorso per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, senza incorrere in decadenze o preclusioni di sorta (in questo senso la maggior parte delle corti di merito tra cui si segnala Trib. Frosinone, 28 gennaio 2016 che per prima ha contraddetto Trib. Milano, 23 dicembre 2015 per aver qualificato l'omissione dell'avvertimento come un'ipotesi di nullità del precetto, censurabile a norma dell'art. 617 c.p.c.. Per questa ragione il Giudice meneghino aveva altresì disposto la sospensione dell'esecuzione e condannato alle spese il creditore opposto. Le ordinanze sono edite in www.ilcaso.it e in Dir. fall., 2016, pp. 928 ss., con nota di Parisi). Di qui l'ulteriore convinzione che il comma 2° dell'art. 480 c.p.c., persegua il mero scopo di favorire la diffusione delle procedure di cui alla l. n. 3 del 2012, finora poco utilizzate.

A riprova della correttezza delle superiori considerazioni e dell'approssimazione del legislatore del 2015, va segnalato che nessun esonero dall'avvertimento è previsto per l'atto di precetto che anticipa un'esecuzione in forma specifica che - non avendo ad oggetto una situazione di sovraindebitamento – difficilmente potrà essere scongiurata dall'accesso dell'intimato alle procedure di cui alla l. n. 3 del 2012.

Il rimedio: opposizione agli atti esecutivi e prova della limitazione del diritto del debitore

Per comprendere quali siano in concreto gli strumenti a disposizione del debitore per contestare il mancato avvertimento occorre muovere dall'orientamento della giurisprudenza di legittimità, che non sembra disposta a tutelare in assoluto l'interesse del debitore alla mera regolarità formale del processo esecutivo.

Innanzitutto va segnalato che, in materia di invalidità del pignoramento per omesso avvertimento sulla conversione, l'omissione di quest'ultimo avvertimento, in difetto di espressa sanzione, non inficia il pignoramento: la Corte ha, difatti, escluso che si tratti di vizio censurabile ex art. 617 c.p.c., qualora il debitore risulti tempestivamente informato, anche con atto successivo al pignoramento, della facoltà e dei termini di cui all'art. 495 c.p.c. (Cass. 23 maggio 2011, n. 6662). Pertanto, in caso di mancato avvertimento, il vizio – seppure tempestivamente opposto ex art. 617 c.p.c - rimane sanato se da altro atto emerge che il debitore è a conoscenza della preclusione. Così pure, può configurarsi sanatoria se il debitore non fornisca la prova che - informato per tempo della preclusione - avrebbe evitato (la prosecuzione del)l'espropriazione.

In secondo luogo, ulteriore conferma che il mancato avvertimento non determina la nullità del pignoramento è fornita da altro analogo orientamento della giurisprudenza, in forza del quale il debitore non è titolare di un interesse alla mera regolarità formale del processo esecutivo.

In particolare, l'interesse a denunciare la violazione di una norma processuale sussisterebbe solo in presenza di un concreto pregiudizio che il debitore ha l'onere di dedurre, indicando le attività che gli sono state precluse, nonché i danni derivanti dall'inosservanza delle norme sulla regolarità formale (V., ex multis, Cass. 9 marzo 2012, n. 3712). In altre parole, l'opposizione agli atti esecutivi che denuncia l'irregolarità formale (nel caso di specie si trattava dell'omissione dell'avvertimento di cui all'art. 492, comma 3°, c.p.c.) va rigettata; eccezion fatta per l'ipotesi che il debitore non deduca e dimostri che il vizio abbia in concreto leso o comunque ridotto le proprie facoltà (Cass. 30 giugno 2014, n. 14774; Cass. 13 maggio 2014, n. 10327).

Se così è, la violazione di cui all'art. 480, comma 2°, c.p.c., al pari di quella di cui all'art. 492, comma 3°, c.p.c. non costituisce una nullità relativa, opponibile ai sensi dell'art. 617 c.p.c., trattandosi di mera irregolarità, inidonea ad incidere sulla legittimità dei successivi atti esecutivi. Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del creditore di integrare l'atto di precetto (o di pignoramento), notificando un atto che contenga soltanto l'avvertimento, sempre che da altri atti esecutivi il debitore non risulti già informato della preclusione.

Il singolare avvertimento contenuto nell'atto di pignoramento presso terzi: brevi cenni

Un'eccezione al regime poc'anzi ricostruito, anche alla luce dei risultati raggiunti dalla Corte di Cassazione, è costituita dall'art. 543, comma 2°, n. 4 , c.p.c., dopo le modifiche apportate dall'art. 19, comma 1°, lett. e), l. n. 162 del 2014, nella parte in cui stabilisce che il terzo pignorato deve essere subito edotto delle conseguenze negative derivanti dalla sua mancata collaborazione con il creditore procedente e con il giudice dell'esecuzione.

La particolare funzione di questa modifica normativa impone diverse riflessioni.

Innanzitutto va considerato che il legislatore riserva al terzo, che pure è soggetto estraneo al processo di espropriazione forzata, lo stesso trattamento solitamente destinato alla parte in tutte le ipotesi di avvertimento contemplate nel nostro ordinamento processuale. Ciò in quanto il debitor debitoris, anche se non assume formalmente la qualifica di soggetto passivo dell'azione esecutiva, subisce in concreto gli effetti del provvedimento di assegnazione.

In secondo luogo occorre segnalare che il legislatore, onerando il creditore di tale attività, sembra aver voluto scongiurare il rischio di incostituzionalità dell'art. 543 c.p.c. per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. come denunciato dalla dottrina.

Se così è, si deve ritenere che, in questa particolare ipotesi di omesso avvertimento, la mancata comunicazione della dichiarazione del terzo e la successiva mancata comparizione all'udienza non consentono al giudice di ordinare l'assegnazione del credito o la vendita dei beni indicati nell'atto di pignoramento. Ciò non significa che viene messa in discussione la stabilità degli effetti dell'atto di pignoramento ma, più semplicemente, che il giudice dell'esecuzione, constatata l'omissione dell'avvertimento, deve imporre al creditore di notificare al terzo un nuovo atto che contenga l'avvertimento, ad integrazione dell'atto di pignoramento già notificato. Laddove poi il giudice, nonostante l'irregolarità, ordini l'assegnazione delle somme, il terzo può legittimamente proporre l'opposizione degli atti esecutivi, senza dover dimostrare di aver concretamente subito un pregiudizio.

Osservazioni conclusive

È appena il caso di osservare che la rigorosa soluzione invalsa nella giurisprudenza di legittimità è, in realtà, dettata dall'esigenza di bilanciare i guasti ed i ritardi dovuti non solo alla incompletezza ed approssimazione del dato normativo, ma anche alla reazione del debitore sempre più in difficoltà ogni volta che la procedura esecutiva raggiunge il momento della vendita. In altre parole è affidato alla giurisprudenza il compito di delimitare, volta per volta, le conseguenze del mancato avvertimento, e di fare fronte all'aumento del contenzioso provocato dalle opposizioni formali, con inevitabile decisione sulla sospensione ex art. 624 c.p.c. ed eventuale introduzione del giudizio di merito, determinando un ulteriore ritardo nella definizione delle procedure esecutive.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema:

  • Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile4, Torino 2016, p. 224;
  • Farina, La nuova funzione del precetto: sponsor delle procedure di composizione del sovraindebitamento o intimazione al debitore perché adempia?, in corso di pubblicazione su Giust. civ.;
  • Id., L'espropriazione presso terzi, in Il processo civile sistema e problematiche. Le riforme del quinquennio 2010-2014, a cura di Punzi, Torino 2015, p. 512;
  • Parisi, Nullità del precetto per mancanza dell'avvertimento relativo alla procedura da sovraindebitamento,in Diritto fall.,2016, 3-4, pp. 928-938;
  • Tota, Individuazione ed accertamento del credito nell'espropriazione forzata presso terzi, Napoli 2014,232 s.

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