Procura alle liti «con ogni facoltà»? L'avvocato può chiamare qualunque terzo

Mauro Di Marzio
28 Giugno 2016

La procura alle liti conferita in termini ampi ed omnicomprensivi (nella specie, «con ogni facoltà») è idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le iniziative atte a tutelare l'interesse del proprio assistito, ivi inclusa la chiamata del terzo in garanzia cd. impropria.
Massima

La procura alle liti conferita in termini ampi ed omnicomprensivi (nella specie, «con ogni facoltà») è idonea, in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale attuativa dei principi di economia processuale, di tutela del diritto di azione nonché di difesa della parte ex artt. 24 e 111 Cost., ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le iniziative atte a tutelare l'interesse del proprio assistito, ivi inclusa la chiamata del terzo in garanzia cd. impropria.

Il caso

Un condominio propone ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti di due condòmini morosi nel pagamento di spese condominiali. I condòmini spiegano opposizione e propongono domanda riconvenzionale, lamentando danni subiti a causa di infiltrazioni provenienti dal lastrico solare. Il condominio, avvalendosi della procura alle liti rilasciata sull'originario ricorso per ingiunzione, chiede ed ottiene, al fine di essere garantito, autorizzazione a chiamare in causa l'appaltatore dei lavori di ristrutturazione del lastrico solare dal quale le infiltrazioni si sono generate. L'appaltatore formula (ma solo in conclusionale) eccezione di inammissibilità della chiamata per difetto, in capo al condominio chiamante, di una idonea procura alle liti.

L'eccezione è disattesa sia in primo che in secondo grado.

La Corte di cassazione, investita della causa, ne chiede la rimessione alle Sezioni Unite, ravvisando un contrasto sulla questione se la formulazione dell'eccezione di difetto di procura in conclusionale sia tardiva (come ritenuto dai giudici di merito) oppure no.

Le Sezioni Unite, come subito vedremo, e come direbbe un giocatore di tressette, chiamate a coppe, rispondono a bastoni: e cioè si pronunciano non sul tema che aveva indicato la sezione remittente, ma sulla sussistenza stessa del potere del difensore di chiamare in causa il terzo in garanzia impropria.

La questione

Il quesito al quale le Sezioni Unite rispondono si può riassumere così: qual è la latitudine dei poteri del difensore officiato con procura speciale alle liti? E tali poteri si estendono alla chiamata in causa del terzo in garanzia impropria?

Le soluzioni giuridiche

La risposta delle Sezioni Unite a quest'ultima domanda è: sì. La pronuncia in esame contiene una complessiva disamina dei poteri spettanti al procuratore alle liti, disamina nel corso della quale viene rammentato che, secondo la giurisprudenza della SC, al difensore è interdetto «di introdurre una nuova e distinta controversia eccedente l'ambito della lite originaria» nonché «di esperire contro il terzo azioni fondate su un titolo autonomo e distinto, implicanti un'estensione dell'ambito della lite».

Nondimeno, la pronuncia — capovolgendo di fatto il precedente orientamento — pone l'accento sulla considerazione che i poteri del difensore discendono direttamente dalla legge, da ciò traendo il corollario, che la procura, ove risulti conferita in termini ampi e comprensivi («con ogni facoltà»), «in base a un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa nonchè di economia processuale (artt. 24 e 111 Cost.) deve intendersi come idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell'interesse della parte assistita. Ivi ricompresa, pertanto, l'azione di garanzia c.d. impropria».

Osservazioni

Colpisce ancora l'immancabile tormentone dell'interpretazione costituzionalmente orientata, agevole scorciatoia motivazionale che consente all'interprete di far dire alla norma ciò che più gli aggrada, non già sulla base di una stringente analisi del dato normativo, bensì sulla base di valori che l'interprete, nella sua personale visione, ritiene meritevoli di essere perseguiti.

Questi i termini della questione.

Nell'ambito dei poteri che dal mandato alle liti derivano al difensore, questi gode della massima autonomia nell'effettuazione delle scelte della difesa tecnica, quali che siano le eventuali indicazioni provenienti dal cliente: il difensore, cioè, deve operare per lo scopo del conseguimento del risultato perseguito dal mandante con riguardo al rapporto controverso, ma, nel fare ciò, ha ampio margine di individuazione delle più opportune soluzioni tecniche da adottare. A fronte di ciò la parte non ha alcun potere di condizionare le scelte tecniche del difensore, ma può soltanto revocare la procura e sostituirlo con altro difensore, ex art. 85 c.p.c.

Il mandato ad litem attribuisce così al procuratore, a norma dell'art. 84 c.p.c., la facoltà di proporre tutte le domande che siano comunque ricollegabili con l'originario oggetto, restando escluse dai poteri del procuratore soltanto le domande con le quali si introduce una nuova e distinta controversia eccedente l'ambito della lite originaria (Cass. civ., 26 luglio 2005, n. 15619). In quest'ottica, spetta al difensore di proporre anche le domande riconvenzionali, atteso che esse, anche quando introducono un nuovo tema di indagine e mirano all'attribuzione di un autonomo bene della vita, restano sempre fondamentalmente connotate dalla funzione difensiva di reazione alla pretesa della controparte (Cass. civ., 7 aprile 2006, n. 8207; Cass. civ., 7 aprile 2000, n. 4356; Cass. civ., 7 febbraio 1995, n. 1394), indipendentemente dall'atto su cui è apposta la procura, e cioè anche se in calce o a margine della copia notificata della citazione (Cass. civ., 11 maggio 1998, n. 4744). Nella stessa prospettiva le sezioni unite hanno qualche tempo fa riconosciuto che la procura speciale alle liti abilita il difensore, in appello, a proporre impugnazione incidentale (Cass. civ., sez. un., 14 settembre 2000, n. 19510).

In tema di chiamata in causa del terzo le regole da applicare — coerenti ai principi appena indicati — possono riassumersi in ciò, che il difensore può effettuare quelle chiamate che non determinano l'instaurazione di una nuova controversia e non eccedono i limiti della lite originaria, ma si collocano in stretto collegamento con l'oggetto in contesa già introdotto. Non occorre dunque un'apposita procura alle liti ai fini dell'integrazione necessaria del contraddittorio nei confronti di litisconosorte pretermesso (Cass. civ., 30 marzo 1979, n. 1839): e questo è intuitivo. Vi è poi la chiamata — da ricondursi all'ipotesi della comunanza di cause di cui all'art. 106 c.p.c. — che il convenuto indirizza nei confronti del soggetto indicato come effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore: caso, quest'ultimo, che la SC ha ampiamente esaminato dall'angolo visuale dell'estensione della domanda dell'attore nei confronti del terzo chiamato, domanda che automaticamente si estende ad esso senza necessità di una istanza espressa, costituendo oggetto necessario del processo, nell'ambito di un rapporto oggettivamente unico, l'individuazione del soggetto effettivamente obbligato (Cass. civ., 8 giugno 2007, n. 13374; Cass. civ., 1 giugno 2006, n. 13131). Anche in tale ipotesi è da ritenere che la procura alle liti conferita dal convenuto conferisca al suo difensore il potere di chiamare in causa il terzo quale esclusivo responsabile di quanto dedotto dall'attore (Cass. civ., 17 ottobre 2001, n. 12672).

Maggiori difficoltà, con qualche contrasto ed incertezza della giurisprudenza, si incontrano con riguardo alla chiamata in garanzia, cui pure si riferisce il già citato art. 106 c.p.c.. Occorre rammentare, sull'argomento, che la giurisprudenza ha mantenuto ferma la distinzione (che in buona misura è utilizzata tuttora) tra garanzia propria e garanzia impropria, distinzione che è stata approfondita essenzialmente in relazione al dettato dell'art. 32 c.p.c., il quale stabilisce che la domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale. In estrema sintesi può dirsi, approssimativamente, che la garanzia propria ricorre quando la domanda principale e quella accessoria di garanzia si basano sullo stesso titolo o quando ricorre una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande, mentre si versa in caso di garanzia impropria quando il convenuto intenda riversare su un terzo le conseguenze della propria condotta, in base a un titolo diverso e autonomo da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base a un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto. Volendo dunque semplificare, per i fini che qui interessano, nell'ipotesi di garanzia propria vi è un rapporto giuridico tendenzialmente unico, quantunque complesso, mentre nell'ipotesi di garanzia impropria ricorrere una pluralità di rapporti: e dunque la chiamata in garanzia propria non eccedere i limiti della lite originaria, mentre il contrario accade con la chiamata in garanzia impropria.

La distinzione così delineata ha trovato applicazione, sia pure non sempre perfettamente consapevole ed orientata, anche con riguardo alla delimitazione dei poteri spettanti al difensore: in caso di garanzia impropria è stato così affermato, in coerenza con la distinzione tra l'una all'altra forma di garanzia, che la chiamata è nulla se effettuata da procuratore sfornito di apposita procura alle liti (Cass. civ., 29 settembre 2009, n. 20825). La giurisprudenza, dunque, fino alla pronuncia che stiamo commentando, riconosceva — sia pur con qualche dubbio applicativo — al difensore il potere di effettuare la chiamata in garanzia propria, ma non quella impropria, salvo non si munisse allo scopo di un'apposita procura.

Il rilievo della questione era ridotto, peraltro, in applicazione di due ulteriori regole enucleate dalla giurisprudenza. È stato più volte ribadito, difatti, che sussiste il potere di effettuare la chiamata in garanzia qualora vi sia prova che la parte, nel rilasciare la procura, abbia inteso autorizzare il difensore a rappresentarla anche nel giudizio da promuovere mediante la chiamata del terzo (Cass. civ., 29 settembre 2009, n. 20825; Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12241; Cass. civ., 17 marzo 2005, n. 5768; Cass. civ., 21 maggio 1998, n. 5083). La SC ha anche più volte affermato che il terzo chiamato in causa da un difensore sfornito della procura a proporre istanze eccedenti l'ambito originario della lite, il quale si costituisce in giudizio accettando il contraddittorio sul merito, non può dedurre la nullità dell'atto di chiamata (Cass. civ., 5 ottobre 2001, n. 12293; Cass. civ., 11 marzo 1992, n. 2929).

Oggi la stessa distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria è stata radicalmente rimessa in discussione, essenzialmente per la difficoltà di una sua armonizzazione nello spazio giuridico europeo. Le Sezioni Unite hanno cioè manifestato il proprio « fermo convincimento ... che, sia pur soltanto ai fini di una corretta individuazione del giudice competente quoad iurisdictionis, la distinzione tra garanzia propria e impropria debba essere definitivamente superata » (Cass. civ., sez. un., 12 marzo 2009 n. 5965). E più di recente è stato detto che la distinzione tra garanzia e impropria, ha valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell'applicazione degli artt. 32, 108 e 331 c.p.c. (Cass. civ., sez. un., sent., 4 dicembre 2015, n. 24707).

Alla soluzione raggiunta dalle Sezioni Unite — soluzione che ha se non altro il pregio di semplificare — poteva dunque probabilmente pervenirsi per altra via, senza scomodare l'interpretazione costituzionalmente orientata.

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