La competenza per valore del giudice di pace sulla domanda riconvenzionale dell'opposto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

Francesco Bartolini
15 Settembre 2017

La pronuncia in commento si occupa di affrontare le conseguenze, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al giudice di pace, della domanda riconvenzionale dell'opposto, che però ecceda i limiti di valore della competenza del giudice adito.
Massima

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al giudice di pace, ove venga proposta dall'opposto domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del giudice adito, questi non è tenuto a separare le due cause, trattenendo quella relativa all'opposizione e rimettendo l'altra al tribunale, in quanto detta domanda è inammissibile e, pertanto, inidonea a incidere sia sulla competenza per valore del giudice adito sia sulle sorti del processo.

Il caso

Nel giudizio dinanzi al giudice di pace per opposizione a decreto ingiuntivo, la società opposta ha proposto una domanda riconvenzionale eccedente, per valore, la competenza del giudice adito. Nel costituirsi, essa ha anche eccepito la conseguente e sopravvenuta incompetenza per valore del giudice adito. Questi ha ritenuto che la domanda principale e quella in riconvenzione dovevano essere esaminate in un medesimo processo: e ha dichiarato la propria incompetenza, con trasmissione degli atti al tribunale, richiamandosi agli artt. 36 e 40, comma 6° e 7°, c.p.c..

Il tribunale, con istanza pronunciata in prima udienza, ha chiesto alla Corte di cassazione il regolamento di competenza, sul duplice assunto:

  • della riserva del giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo alla competenza funzionale dello stesso giudice di pace che ebbe a pronunciare il provvedimento;
  • della inammissibilità della riconvenzionale proposta dall'opposto, anziché dall'opponente.

La Corte ha dichiarato la competenza funzionale del giudice di pace che aveva emesso il decreto monitorio.

La questione

Il giudice di pace ha ritenuto applicabili gli ultimi due commi dell'art. 40 c.p.c. dai quali si desume il principio per cui la connessione così detta “forte” (artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.) tra domande rientranti in competenze (per materia o per valore) diverse comporta la riunione delle cause dinanzi al giudice superiore. Nel procedimento davanti a lui era stata formulata una riconvenzionale eccedente la sua competenza per valore: così che parevano sussistere i presupposti per l'applicazione doverosa delle norme ricordate. Nel caso specifico, tuttavia, il giudice di pace non aveva tenuto conto delle due circostanze sopra evidenziate. Egli aveva pronunciato il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione e per il conseguente giudizio era dunque competente funzionalmente. Il simultaneus processus presso il tribunale non era, dunque, consentito, in quanto, in primo luogo, inosservante della competenza funzionale del giudice di pace. In quella stessa vicenda processuale, inoltre, la domanda riconvenzionale non era stata proposta dall'opponente, bensì da colui che aveva ottenuto il provvedimento di ingiunzione. E si poneva la questione di stabilire se la riunione delle cause prevista dalle disposizioni sopra ricordate poteva comunque valere anche nell'insolito caso della domanda in riconvenzione proveniente da un soggetto diverso da quello cui si riferisce l'art. 36 c.p.c. Qual'era la natura da attribuire a questa domanda e quali erano gli effetti da riferirle, sotto il profilo della competenza da assegnare all'uno o all'altro giudice?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione , con una succinta pronuncia, ha confermato la presa di posizione che emergeva dalla motivazione della richiesta del tribunale di regolare la competenza. La Corte ha ricordato essere principio consolidato l'affermazione della competenza funzionale e inderogabile del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo per il caso di opposizione avverso il provvedimento: principio che vale anche quando il provvedimento è assunto dal giudice di pace. Una siffatta competenza riservata comporta che, se è proposta una domanda riconvenzionale eccedente la competenza del giudice di pace, di questa debba conoscere il tribunale, ferma la competenza del giudice di pace. Ma la regola della conseguente separazione delle cause vale soltanto nel caso in cui la riconvenzionale provenga dalla parte opponente, che nel giudizio di opposizione riveste il ruolo del convenuto. La domanda che, per contro, è formulata dall'opposto proviene da un soggetto non legittimato, che deve intraprendere un separato giudizio. Una tale domanda è inidonea a incidere sulla competenza per valore del giudice adito e sulle sorti del processo. Ne segue che quella stessa domanda non produce la necessità che, in sede di regolamento di competenza, si separino le due domande per indirizzare ciascuna di esse al giudice competente a deciderne il merito.

Osservazioni

Il giudice di pace ha applicato una regola di per sé rispondente a correttezza ma della quale nella vicenda di specie non sussistevano i presupposti necessari a richiamarla. La regola è nel senso che nel procedimento davanti al giudice di pace, qualora siano proposte una domanda principale rientrante nella sua sfera di competenza e una riconvenzionale, connessa ex art. 36 c.p.c., eccedente la sua competenza, non può il giudice medesimo separare la riconvenzionale e rimettere essa sola al giudice superiore, dovendo, viceversa, rimettere al tribunale l'intera causa, ai sensi dell'art. 40, sesto e settimo comma, c.p.c., in modo che la domanda principale e la riconvenzionale siano trattate in simultaneus processus (Cass. civ., II, n. 1848/2013; nello stesso senso, tra le altre, Cass. civ., I, n. 6520/2007). La regola suddetta non era appropriata alla fattispecie in esame per due ragioni, non rilevate dal giudicante:

  • egli aveva competenza funzionale sulla domanda principale, costituita da una opposizione a decreto ingiuntivo da lui stesso pronunciato;
  • la domanda riconvenzionale, di competenza per valore del giudice superiore, non era stata proposta dall'opponente ma proveniva dal soggetto contro il quale l'opposizione era formulata (cioè, lo stesso creditore ingiungente).

Sul primo punto la Corte di cassazione, nel decidere il regolamento di competenza, si è limitata a ricordare, come orientamento ormai consolidato, l'indirizzo interpretativo per il quale l'art. 645 c.p.c., nell'indicare come competente a conoscere dell'opposizione lo stesso giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, configura siffatta competenza come funzionale e inderogabile. L'inderogabilità vale anche nei casi di litispendenza, di continenza e di connessione tra domande. Questo orientamento si è mantenuto costante almeno da Cass. civ., lav. n. 3443/1984 a Cass. civ., VI, n. 16454/2015 («In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento è inderogabile anche per ragioni di litispendenza, continenza o connessione»). La conseguenza dell'inderogabilità consiste nel divieto al giudice che ha pronunciato il provvedimento monitorio di spogliarsi della sua competenza adducendo a ragione la sussistenza di rapporti di connessione con un'altra domanda che gli è stata formulata. E' infatti evidente che una rimessione di entrambe le domande a diverso giudice viene a privare di significato la natura funzionale e non derogabile della competenza assegnata dal citato art. 645. La competenza funzionale costituisce, pertanto, una deroga alla regola generale che sopra si è ricordato: la rimessione al giudice superiore va effettuata soltanto quando essa non viene a interferire con una così rigorosa sfera di attribuzioni qual è la competenza funzionale del giudice sotto ordinato.

Il fatto di rimettere al giudice superiore entrambe le domande, principale e riconvenzionale, quando ricorre per quella principale la competenza funzionale, assume l'implicito significato della declinatoria di tale competenza funzionale (Cass. civ., III, n. 10374/2005; Cass. civ., III, n. 4793/1998). Ne segue l'invalidità del decreto ingiuntivo, per essere stato emesso da giudice incompetente e che, sia pure implicitamente, ha fatto constare la propria incompetenza (Cass. civ., III, n. 10206/2001: “L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario e autonomo giudizio di cognizione nel quale la pronuncia di incompetenza del giudice che ha emesso il decreto opposto comporta, quale conseguenza necessaria, l'invalidità dello stesso”). Ancor prima, la competenza del giudice che pronuncia il provvedimento monitorio è condizione di ammissibilità del provvedimento stesso (Cass. civ., III, n. 16744/2009).

Nella vicenda processuale cui si riferisce la sentenza della Corte di cassazione che si annota, il Supremo collegio era investito di una richiesta di regolamento necessario di competenza. La richiesta si fondava su una regola applicativa di norme certamente ineccepibile: «Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora a seguito della domanda riconvenzionale dell'opponente il giudice adito abbia dichiarato la propria incompetenza per valore e rimesso l'intera causa al giudice superiore, questi può richiedere il regolamento di competenza a norma dell'art. 45 c.p.c., giacchè la declaratoria di incompetenza per valore del giudice primieramente adito comporta implicitamente la soluzione in senso negativo della questione relativa alla propria competenza funzionale e inderogabile, determinando, così, i presupposti di un conflitto virtuale di competenza» (Cass. civ., III, n. 3730/2000; nello stesso senso Cass. civ., III, n. 15506/2006; Cass. civ., III, n. 3475/1999). Regola, tuttavia, solo apparentemente calzante nella vicenda di specie, posto che la domanda riconvenzionale proveniva, nel caso specifico, non dall'opponente ma dall'opposto: tanto da essere considerata inammissibile sia dal tribunale che dalla Corte di legittimità. Al riguardo la Corte non si è diffusa in motivazioni. Essa, premesso che la riconvenzionale era da ritenere inammissibile, ha ritenuto sufficiente per regolare la competenza ricordare il principio generale che assegna il compito di conoscere dell'opposizione al decreto ingiuntivo al medesimo giudice che ebbe a rilasciarlo. Nessuna trattazione è stata svolta in ordine alla diversità della situazione concreta rispetto a quella archetipa della vera riconvenzionale, suscettibile di incidere sulla competenza.

Come si è accennato (e questo è il secondo punto: la riconvenzionale proposta dall'opposto, anzichè dall'opponente), sia il tribunale che la Corte hanno dato per scontato che la domanda proposta dal creditore, nel costituirsi nel giudizio di opposizione, fosse inammissibile. La valutazione in tal senso è giustificata dal dettato dell'art. 36 c.p.c. che descrive la riconvenzionale come una domanda che il convenuto oppone all'attore: nella vicenda di specie, invece, essa costituiva una domanda che il creditore-attore ingiungente aggiungeva a quella fatta valere con l'ottenuto decreto ingiuntivo, approfittando del fatto di doversi costituire nel giudizio di opposizione. Mancano, sulla conseguente questione di ammissibilità, precedenti giurisprudenziali editi; e la ritenuta inammissibilità costituisce la presa di posizione nuova, introdotta dalla sentenza in esame. In difetto di diffuse spiegazioni, verosimilmente si è argomentato che, se la domanda del creditore opposto non è conforme ai canoni e ai presupposi che condizionano quella prevista dall'art. 36, essa è, all'evidenza, da non ammettersi al vaglio del giudice; e che, se essa non è ammissibile a costituire materia del decidere, è come se non esistesse e per tale ragione non può incidere né sulla competenza né sulle sorti del processo. Quella domanda presentata come riconvenzionale, ma che riconvenzionale non può essere, non è neppure valutabile sotto il profilo di un conseguente cumulo soggettivo, di domande proposte contro la stessa parte, che possono essere condotte dinanzi allo stesso ufficio. Infatti, il cumulo soggettivo non avrebbe comunque la forza di spostare la competenza diversa da quella per territorio derogabile (art. 33 c.p.c.). E la domanda del creditore opposto non è altro che una istanza formulata dopo la costituzione del convenuto opponente e dunque una domanda nuova, modificatrice dei termini della materia del decidere e, come tale, non consentita.

Non possono sussistere dubbi in ordine all'intrinseca inammissibilità della domanda che si è voluto introdurre nel processo di opposizione sotto forma di una riconvenzionale. Qualche perplessità si manifesta, per contro, per un aspetto della vicenda sul quale poteva essere fatta chiarezza.

La domanda considerata inammissibile (in modo talmente palese da non meritare commenti motivazionali) è pur sempre una domanda rivolta al giudice: la quale richiede una risposta. L'istanza al giudice crea per lui l'obbligo della pronuncia, la quale può essere nel merito o limitata al rito ma comunque satisfattiva del compito assegnato al magistrato giudicante, la cui violazione è sanzionata come omessa decisione. Nella vicenda di specie il giudizio di opposizione è stato restituito al giudice di pace, senza che si sia provveduto a dichiarare formalmente quella inammissibilità della “riconvenzionale” che si è data quale circostanza scontata ed evidente. Spetta al giudice di pace pronunciarsi su questa domanda che, a rigore, appartiene alla competenza del tribunale? La sua dichiarazione di inammissibilità non è già la manifestazione di un potere decisorio (in rito) che appartiene al giudice superiore? O deve ritenersi che sulla detta “riconvenzionale” non v'è alcuna necessità di pronuncia, perché essa è stata ritenuta, con un apprezzamento incidentale e tranciante, neppure presentabile alla cognizione del giudice?

Pare di comprendere dalla pronuncia della Corte di cassazione che quella domanda è, in radice, inidonea a determinare la competenza di un giudice nonchè a incidere sulle sorti del processo nel quale era stata proposta. Dunque, se la dichiarazione di inammissibilità proverrà (se proverrà) dal giudice di pace, non si porranno questioni di competenza inosservata o superata.

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