Eccezione di compensazione ed eccezione di inadempimento, il diverso regime probatorio

Francesco Bartolini
16 Gennaio 2017

Nel caso in cui la parte deduca come fonte del diritto di credito, opposto in compensazione, il diritto al risarcimento del danno dovuto dall'inadempimento della controparte, si configura un'eccezione di inadempimento e non di compensazione. Pertanto, sarà onere del soggetto tenuto alla prestazione dimostrare l'avvenuta ed esatta esecuzione dell'obbligazione.
Massima

Nel caso in cui la parte deduca come fonte del diritto di credito, opposto in compensazione, il diritto al risarcimento del danno dovuto dall'inadempimento della controparte, si configura un'eccezione di inadempimento e non di compensazione. Pertanto, sarà onere del soggetto tenuto alla prestazione dimostrare l'avvenuta ed esatta esecuzione dell'obbligazione.

Il caso

La società L.B. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo che l'aveva condannata a pagare alla B. AG una rilevante somma, a titolo di prezzo ancora dovuto per la fornitura di merce da adoperare nella lavorazione di un suo prodotto. Con l'atto, la detta società ha asserito che il materiale fornitole presentava vizi che ne avevano impedito l'utilizzo, tempestivamente denunciati. Contestualmente ha eccepito la compensazione con un proprio credito, avente ad oggetto l'importo del risarcimento dei danni subiti, del quale ha domandato il riconoscimento. La Bayer si è costituita ed ha chiesto il rigetto dell'opposizione. La decisione di primo grado ha accolto l'eccezione della società opponente, ha revocato il decreto ingiuntivo, ha condannato la Bayer al risarcimento del danno e ha operato la compensazione tra i rispettivi crediti delle parti. La pronuncia è stata fondata sulla, asserita, raggiunta prova dei vizi, risultata da alcune deposizioni testimoniali e dalla consulenza tecnica d'ufficio.

Il giudice d'appello ha pronunciato in senso difforme. Con la sentenza ha rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo, ha dichiarato dovuto il pagamento delle forniture e ha respinto la domanda di compensazione formulata dalla società opponente. Le prove assunte, ha affermato il secondo giudice, non avevano, in realtà, consentito di accertare la reale sussistenza dei difetti che, nell'assunto dell'acquirente, avevano reso inutilizzabile la merce ricevuta. Lo stesso consulente d'ufficio aveva dato atto dell'incompletezza dei suoi accertamenti, per impedimenti oggettivi. E dunque l'opponente società aveva mancato al suo onere di fornire la prova dell'esistenza dei vizi lamentati, posta a fondamento della sua eccezione di compensazione. In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l'onere della prova spetta al compratore: incombeva dunque a chi aveva ricevuto la fornitura e ne deduceva i difetti dimostrare la presenza dei pretesi difetti della merce acquistata, le eventuali conseguenze dannose e il relativo nesso causale.

Con il ricorso per cassazione la srl L.B. ha denunciato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218, 1490 e 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., con riferimento alla ripartizione dell'onere della prova. Si assume con il gravame che il giudice di appello ha erroneamente posto a carico dell'acquirente la prova dei vizi della merce compravenduta, in difformità dal costante orientamento giurisprudenziale in tema di inadempimento o inesatto adempimento contrattuale. Nella sua opposizione al provvedimento monitorio, essa aveva eccepito la scarsa qualità del prodotto fornitole, così deducendo in causa l'inesatto adempimento dell'obbligo di fornitura ad opera della controparte. In questa materia è giurisprudenza affermata che l'onere della prova dell'imperfetto adempimento spetta al soggetto che era tenuto ad adempiere esattamente all'obbligazione assunta. L'addebito di non avere assolto all'onere probatorio doveva pertanto essere rivolto alla società venditrice.

La B. ha resistito con ricorso incidentale condizionato con il quale ha riproposto il contenuto del suo atto di appello ed ha osservato che il giudice di secondo grado non aveva esaminato alcuni dei motivi in allora proposti, così determinando una soccombenza teorica.

La questione

La questione sottoposta all'esame della Suprema corte riguarda la ripartizione dell'onere della prova nel contesto di una precisa situazione di fatto. Il venditore (o somministratore di merci) chiede in giudizio il pagamento delle cose fornite all'acquirente. L'acquirente asserisce che tali cose presentano vizi che ne hanno impedito l'utilizzo, con conseguenti danni: ed oppone in compensazione un proprio credito avente titolo nel diritto al risarcimento. Questo diritto non è liquido ma è quantificato dalla parte in una somma sulla quale essa opera una compensazione che si chiede al giudice di dichiarare.

La corte di appello ha asserito che l'onere della prova dei vizi spetta all'acquirente, conformemente ad un principio interpretativo corrente e consolidato. Parte ricorrente assume che deve valere la contraria regola, anch'essa seguita da conforme giurisprudenza, per la quale, quando è eccepito l'inadempimento, compete al soggetto tenuto alla esatta esecuzione della prestazione dimostrare l'inesistenza dei vizi e dei difetti.

Le soluzioni giuridiche

Innanzi tutto occorre ricordare la Corte di Cassazione 12 gennaio 2016, n. 292, che ha richiamato la decisione della sezione lavoro, quale più recente riferimento giurisprudenziale di affermazione della spettanza della prova a carico di chi propone in giudizio una eccezione di compensazione. In quanto deduzione di un fatto estintivo (in tutto o in parte) della pretesa avversaria, incombe alla parte che intende avvalersene l'onere di dimostrarne la sussistenza e l'ambito quantitativo di operatività. In tal senso la regola costituisce una mera applicazione del generale principio per il quale chi propone al giudice una domanda deve allegare e provare i fatti che ne costituiscono il fondamento: principio che si applica tanto nel caso di chi esercita l'azione nel giudizio quanto con riferimento a chi oppone una propria domanda, rivolta a privare di effetto quella di controparte.

La compensazione (legale o giudiziale) opera dal momento di coesistenza dei crediti contrapposti. Quando uno di questi crediti ha contenuto risarcitorio ed è quantificato in una somma affermata dal proponente, esso non può dirsi liquido. Esso diventa idoneo a produrre il suo effetto estintivo dal momento in cui ne viene stabilito il contenuto pecuniario. Ciò si verifica con la pronuncia che accerta la sussistenza del danno e ne determina l'ammontare (Cass. 22 novembre 2004, n. 22035). L'accertamento non può avvenire se non su una adeguata allegazione e prova dei fatti ad opera del soggetto che assume di aver patito il danno e di avere titolo al risarcimento. Nel caso in cui questo titolo derivi da cose acquistate e che si assumono essere affette da vizi, spetta a chi sostiene l'esistenza di questi vizi fornirne dimostrazione: si tratta della allegazione dei fatti costitutivi del diritto che si oppone a contrastare quello vantato dall'avversario. In questo senso, nella sentenza annotata si sono ricordate Cass. 26 luglio 2013, n. 18125; Cass. 12 giugno 2007, n. 13695; Cass. 10 settembre 1998, n. 8963.

Mentre l'eccezione di compensazione si risolve nell'opporre alla pretesa altrui un fatto (l'esistenza di un contrapposto credito pecuniario) che ne è estintivo, l'eccezione di inadempimento oppone un fatto che, nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, è soltanto impeditivo. La parte evocata in giudizio per l'esecuzione della sua prestazione, sinallagmaticamente legata alla controprestazione, può difendersi anche soltanto con l'opporre che tale controprestazione è rimasta inadempiuta o non è stata esattamente adempiuta (Cass. 4 novembre 2009, n. 23345). Poichè chi assume una obbligazione è tenuto ad adempierla esattamente, l'eccezione di inadempimento accolla a lui l'onere di provare di avere adempiuto. In tal senso si sono espresse, tra le altre, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22666; Cass. S.U., n. 13533/2001.

Le regole che reggono la ripartizione dell'onere della prova nelle due situazioni esaminate sono, pertanto, diverse, e contrarie, nell'interpretazione offerta dalla giurisprudenza.

La Corte di Cassazione, nel caso in esame, ha rilevato che il giudice di merito aveva accentrato l'attenzione sul difetto di prova adeguata dei vizi posti a fondamento del credito risarcitorio opposto dalla L.B. in compensazione del corrispettivo dovuto per la fornitura della merce ricevuta dalla B.. Per tal modo era stata presa in esame la sola eccezione di compensazione, dedotta in causa per contrapposizione tra crediti originati dal rapporto di compravendita intercorso tra le parti: l'uno dei quali avente natura risarcitoria, perché derivante da un inadempimento contrattuale, e da trasformarsi in credito pecuniario per effetto e dal momento della quantificazione giudiziale. Incombe, certamente, sulla parte che eccepisce la compensazione fornire la prova dell'esistenza del proprio controcredito, quale fatto estintivo del debito, così come aveva affermato la corte di appello. Ma, nella vicenda di specie, l'opponente La Balza aveva dedotto come fonte del suo diritto di credito, opposto in compensazione, il diritto al risarcimento del danno causatole dall'inesatto adempimento della prestazione promessale dalla Bayer. Per tal modo era stata proposta al giudice del merito una vera e propria eccezione di inadempimento. Su questa eccezione la corte territoriale non si era pronunciata. E, quanto alla ripartizione degli oneri di prova, valeva in proposito una regola diversa da quella seguita da detto giudice, e per la quale, a fronte di un asserito inadempimento contrattuale, spetta al soggetto tenuto alla prestazione dimostrare l'avvenuta ed esatta esecuzione dell'obbligazione. Erroneamente era stato addebitato alla società acquirente di non avere assolto ad un onere probatorio quando un onere di tal fatta incombeva alla controparte fornitrice della merce.

Nella motivazione si cita una decisione pronunciata in una fattispecie identica a quella esaminata. Cass. 27 ottobre 2009, n. 22666, aveva affermato che, in tema di procedimento monitorio, nel caso in cui una parte abbia ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento di una somma, a titolo di corrispettivo in forza di un contratto di somministrazione, e la parte ingiunta proponga opposizione, chiedendo la revoca del decreto e, in via riconvenzionale, la pronuncia della risoluzione del contratto per l'altrui inadempimento, si versa in tema di eccezione d'inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c., con la conseguenza che grava sull'opposto (il somministrante) l'onere di provare il proprio esatto adempimento.

La Corte ha dunque cassato la sentenza impugnata e ha rinviato al giudice di secondo grado per un riesame dei punti e delle questioni accolte. Contestualmente ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato, proposto dalla allora parte vittoriosa. Le istanze con esso presentate erano da proporre al giudice del rinvio.

Osservazioni

La Corte di Cassazione ha certamente ricondotto le questioni giuridiche, sorte nella controversia portata al suo esame, al corretto loro inquadramento ed alla conseguente necessitata soluzione. L'eccezione di compensazione introduce nel processo una domanda che potrebbe costituire l'oggetto di una causa separata e autonoma e, in quanto tale, individua nello stesso soggetto che la propone colui che ha l'onere di dimostrarne il fondamento. Per contro, l'eccezione di inadempimento di una obbligazione negoziale in un contratto a prestazioni corrispettive pone la necessità di un accertamento che attiene al contenuto stesso della pretesa azionata dalla parte nei cui confronti essa è sollevata. L'attore che vanta la titolarità di un credito per avere soddisfatto un proprio obbligo, da remunerare, assume necessariamente di avere effettuato la sua prestazione nell'osservanza dei doveri di completezza e di esattezza che gli sono imposti dall'ordinamento: presupposto dal quale sorge il suo diritto alla controprestazione. A fronte del rilievo di controparte, che gli addebita di non avere rispettato quei doveri, incombe a lui dimostrare di avere il pieno titolo per poter pretendere la remunerazione pattuita.

Nella controversia decisa con la pronuncia annotata furono proposte entrambe le eccezioni, di compensazione e di inadempimento. Ciò che al commentatore appare interessante è il modo con il quale si è progressivamente passati, negli scritti delle parti, dall'una eccezione all'altra, in uno sviluppo delle proposizioni difensive che alla fine ha incontrato l'approvazione della Suprema Corte e ha rovesciato le sorti della causa.

La parte opponente al decreto ingiuntivo di pagamento delle merci ricevute si difese in un primo momento con l'asserire che le merci presentavano vizi che ne avevano cagionato il rifiuto della propria clientela, dopo una lavorazione intermedia. A causa di questi vizi, la deducente aveva patito rilevanti danni, in ordine ai quali vantava un diritto al risarcimento. Il credito sorto da questo diritto era dedotto come titolo per una compensazione che ridimensionava la pretesa attrice. La costruzione della difesa in tal senso fu recepita dal giudice di prime cure, che ritenne provati (e tempestivamente denunciati) in causa i fatti costitutivi del diritto al risarcimento, sì che con la sentenza venne operata una compensazione in sede di liquidazione del dovuto tra le parti. La Corte di Appello ritenne, invece, che la prova dei vizi doveva essere considerata insufficiente e non raggiunta. In applicazione del principio giurisprudenziale per il quale la dimostrazione dei vizi delle cose compravendute spetta all'acquirente, e non al venditore, essa affermò che la dedotta compensazione non poteva operare: con conseguente ribaltamento della precedente pronuncia., essendo rimasto indimostrato il credito per risarcimento dedotto dalla compratrice.

Sino a questo punto di sviluppo del processo, la materia del decidere aveva riguardato la garanzia dovuta contro i difetti delle cose vendute e l'individuazione della parte onerata a fornire la prova di tali difetti. Non dubitandosi del fatto che, una volta acquisita una prova siffatta, ne sarebbe derivato il diritto al risarcimento e, di conseguenza, l'effetto della compensazione con il contrapposto diritto del venditore al pagamento del prezzo.

Con il ricorso per cassazione il panorama difensivo è stato mutato. L'unico motivo proposto dalla società acquirente avverso la sentenza della corte di appello è esplicitamente divenuto quello dell'omesso esame di una eccezione di inadempimento. A fronte della pretesa creditoria della venditrice, si afferma nel gravame, era stata eccepita l'inesatta esecuzione della prestazione del venditore, per la difettosa qualità delle merci da questi fornite. Questa eccezione si ricavava dal tenore degli atti difensivi e su di essa era mancata la pronuncia. L'eccezione di inadempimento, si assume, costituisce, di per sé, una difesa che accolla al venditore il compito di provare il suo esatto adempimento. Poichè nella vicenda di causa la relativa dimostrazione non era stata fornita dal venditore, ne seguiva la sua soccombenza. Doveva dunque essere riformata la decisione che aveva accollato gli oneri probatori alla parte acquirente.

Si è voluto riepilogare lo svolgimento del processo per giungere al punto: nelle fasi iniziali del processo l'eccezione di inadempimento non era stata formulata in modo esplicito. Essa è emersa quale puntualizzazione di una difesa che non aveva trovato esito positivo quando si era concretata nella pretesa di opporre un proprio credito quale ragione di confronto pecuniario con il credito dell'avversario. Rispetto all'eccezione di compensazione, quella di inadempimento è frutto di un arretramento logico ad un momento che precede quello del possibile confronto tra due crediti certi e liquidi: prima di confrontarli, esisteva davvero il credito attoreo? Invece di continuare ad opporre un presunto diritto proprio alla compensazione (ed a fronte del risultato negativo di questo tentativo nel giudizio di appello), si è giunti ad insidiare in radice la stessa pretesa della parte venditrice, godendo per tal modo di una favorevole ripartizione dell'onere della prova.

Deve dirsi che l'evoluzione della difesa della parte acquirente non si è risolta in un deprecabile espediente difensivo. La denuncia dei vizi delle cose comperate era stata effettuata sin dall'opposizione all'iniziale decreto ingiuntivo, sì che da essa poteva ricavarsi una contestazione fondata sull'altrui inadempimento. Parte opponente e controparte hanno sviluppato il contraddittorio sull'esistenza degli asseriti vizi, resi oggetto di accertamento probatorio testimoniale e di consulente tecnico. L'inesatto adempimento costituiva, in sostanza, l'oggetto della domanda che dava contenuto all'eccezione di compensazione e per questo aspetto, anche se non esplicitato, esso non poteva giungere nuovo alle parti. Sotto il profilo dell'equilibrio tra pretesa e difesa può dirsi che non era stata cagionata alcuna violazione di un contraddittorio sostanziale.

Sotto il profilo della trasparenza difensiva e della lealtà nel processo civile, i possibili dubbi circa quella che abbiamo indicato come evoluzione della difesa (per non definirla mutamento di domanda) nei successivi gradi del processo, sono stati incidentalmente sciolti dalla Corte di cassazione nella sua pronuncia. Essa ha osservato che, secondo un consolidato orientamento, l'exceptio inadimpleti contractus non richiede l'adozione di forme speciali o formule sacramentali e neppure l'espressa invocazione della norma che la regola (e di cui all'art. 1460 c.c.). E' sufficiente che la volontà della parte di sollevarla, allo scopo di paralizzare l'avversa domanda di adempimento, sia desumibile in modo non equivoco dall'insieme delle difese e, più in generale, dalla sua condotta processuale. In questo senso si erano espresse, tra le altre, Cass. 29 settembre 2009, n. 20870 e Cass. 5 agosto 2002, n. 11728. Una siffatta volontà era chiaramente desumibile, nella vicenda di specie, dalla deduzione di sussistenza di vizi nella fornitura, tali da renderla inadatta allo scopo voluto dall'acquirente. Tanto è stato ritenuto sufficiente dalla Corte per ritenere che la questione di inadempimento costituiva materia del decidere regolarmente sottoposta al vaglio del giudice: e da rimettersi al giudice del merito, posto che su di essa era mancata ogni pronuncia.

La Corte di Cassazione ha considerato la generale libertà di forme, per la proposizione in giudizio delle eccezioni, ragione per reputare comprese nella contestazione tra le parti anche questioni logicamente presupposte e lasciate implicite. La pronuncia lascia intendere che alla parte è consentito sviluppare le proprie argomentazioni senza incontrare il limite costituito dalla formale e testuale proposizione della domanda, tutte le volte in cui la materia del decidere offra l'occasione di rinvenire in essa una pretesa, non esplicitamente formulata, necessariamente implicita in un'altra, e ad essa logicamente precedente. Dunque, per ritenere proposta una domanda al giudice, e sussistente il suo dovere di decisione, è sufficiente che la questione inespressa sia necessariamente parte della materia controversa. Dovendosi completare questa affermazione con l'altra per cui: di una domanda, come sopra implicita e presupposta, può essere pretesa la decisione facendola emergere attraverso un affinamento della difesa, che progressivamente la enuclea e ne fornisce specificazione, anche se nel frattempo il processo attraversa i gradi di impugnazione.

Guida all'approfondimento
  • P. Schlesinger, Compensazione, in Nss. Dig. it., III, Torino, 1959, 772 ss.;
  • F. Nappi, Contributo alla teoria della compensazione, Torino 1999:
  • A. Dalmartello, Eccezione di inadempimento, in Nss. Dig. it., VI, Torino, 1960, 357;
  • Di Majo, La responsabilità contrattuale, Torino, 1997

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