La mancata riproposizione di una domanda in sede di precisazione delle conclusioni. Quali conseguenze per la parte?

Giusi Ianni
19 Settembre 2017

La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, offre la sua interpretazione sulla controversa questione della parte che, comparendo all'udienza di cui all'art. 189 c.p.c., precisa in modo specifico le conclusioni omettendo di riproporre domande o eccezioni formulate in precedenza.
Massima

La mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo, a tal fine, necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno dell'interesse a coltivarla.

Il caso

Il Tribunale di Torino, con sentenza del 9 ottobre 2006, in accoglimento della domanda avanzata dal Condominio Alfa, condannò R.M.A. ad eliminare il manufatto collocato sul piano di calpestio esterno, interposto nell'area sottotetto dell'edificio.

La Corte d'appello di Torino, con sentenza depositata il 3 maggio 2012, rigettava la medesima domanda, in accoglimento del gravame interposto da R.M.A..

Veniva accolta, in particolare, l'eccezione d'usucapione, avanzata in primo grado dall'appellante.

Avverso la suddetta sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione il Condominio Alfa. Il Condominio ricorrente, in particolare, sottoponeva al vaglio dei giudici di legittimità una questione procedurale, osservando che R.M.A., pur avendo ritualmente formulato eccezione di usucapione nella comparsa di costituzione in primo grado, non aveva riproposto l'eccezione medesima in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale, sicché la stessa doveva intendersi rinunciata.

La questione

Ai sensi degli artt. 189 e 281-quater c.p.c., il giudice, esaurita l'istruttoria o ritenuta, comunque, la causa matura per la decisione, invita le parti a precisare le conclusioni, nei limiti di quelle già formulate negli atti introduttivi e nelle memorie depositate ai sensi dell'art. 183 c.p.c.. Lo scopo dell'attività di precisazione delle conclusioni è quello di fissare in modo preciso e definitivo le richieste che le parti intendono sottoporre al giudice, tenendo conto degli elementi emersi nel corso delle fasi di trattazione ed istruzione della causa. È pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che le parti possano precisare le conclusioni per relationem, cioè mediante rinvio a quelle contenute negli atti introduttivi e/o nelle memorie depositate ai sensi dell'art. 183 c.p.c.. Altrettanto pacifico è che qualora la parte costituita non compaia all'udienza di precisazione delle conclusioni – e ometta, quindi, l'adempimento di cui all'art. 189 c.p.c. – ciò produce quale unico effetto quello di far ritenere richiamate le conclusioni formulate in precedenza (cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. VI-1, 30 settembre 2013, n. 22360; Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1998, n. 10027).

Cosa accade, tuttavia, se la parte, comparendo all'udienza di cui all'art. 189 c.p.c., precisi in modo specifico le conclusioni omettendo di riproporre domande o eccezioni formulate in precedenza?

Le soluzioni giuridiche

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità non è del tutto univoca. A fronte, infatti, di un orientamento più rigoroso – in forza del quale la mancata riproposizione della domanda o eccezione in sede di precisazione delle conclusioni comporta l'abbandono della stessa, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile: cfr. Cass. civ., sez. V, 5 luglio 2013, n. 16840; Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2013, n. 2093 – vi sono numerose pronunce della Suprema Corte (tra cui quella in commento) che affermano il principio secondo cui la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda o eccezione in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno del relativo interesse (in senso conforme, Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2010, n. 3593). A tal fine, secondo i giudici della seconda sezione, «è necessario accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa».

Rispetto, quindi, alla vicenda all'attenzione della Suprema Corte, poiché la parte, pur non reiterando specificamente l'eccezione di usucapione in sede di precisazione delle conclusioni, aveva comunque fatto proprie difese dirette ad ottenere il rigetto della pretesa avversa (a cui l'eccezione in questione era prodromica) e aveva articolato nel corso del processo richieste istruttorie finalizzate alla prova dei fatti sottesi ad essa, i giudici di legittimità escludevano la possibilità di configurare una volontà abbandonica del deducente, che anche reiterando l'eccezione in sede di appello aveva manifestato interesse alla sua coltivazione.

Osservazioni

La soluzione interpretativa offerta dalla Suprema Corte nella sentenza in commento appare conforme ad un orientamento nettamente maggioritario in seno alla giurisprudenza di legittimità (in quanto fatto proprio da molteplici pronunce, quali Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 2012, n. 1603; Cass. civ., sez. I, 10 luglio 2014, n. 15860; Cass. civ., sez. II, 10 settembre 2015, n. 17875), ispirato dall'obiettivo di tutelare il più possibile la volontà della parte, al di là del mero formalismo processuale. Trattasi, tuttavia, per come già osservato, di orientamento non univoco, in quanto in altri arresti (cfr. le citate Cass. nn. 2093/2013 e 16840/2013) la stessa Cassazione ha osservato che, a seguito delle riforme al codice di procedura civile operate con le novelle del 1990/1995, il potere dispositivo delle parti ha assunto «nuovo e più pregnante rilievo», non solo con riferimento alle istanze istruttorie ma anche relativamente alle domande ed eccezioni, sicché «dopo tale radicale cambiamento, per effetto dell'esaltazione del ruolo dispositivo attribuito alla parte diventa irragionevole presumere una volontà diversa da quella espressa e affidare al giudice la ricerca di quella effettiva - ricavabile dagli atti processuali e dalla connessione delle domande valutate avendo presente l'interesse della parte - perché la parte, in un processo basato sul principio dispositivo, è l'unico dominus dei suoi interessi e se non adempie subisce le conseguenze dell'onere su di essa gravante». Trattasi di orientamento che, se da un lato ha il pregio di dare rigorosa attuazione al principio dispositivo, dall'altro rischia di cadere nell'eccessivo formalismo, in presenza, ad esempio, di situazioni in cui la mancata riproposizione di una domanda o di un'eccezione sia dovuta ad una mera disattenzione del difensore, che ometta di reiterarla pur a fronte di una linea difensiva per tutto il processo improntata sulla volontà di coltivarla. Ben venga, quindi, il margine di valutazione sulla volontà effettiva della parte, che permette di considerare abbandonata la domanda o l'eccezione solo a fronte di un comportamento processuale che effettivamente sottenda una carenza di interesse alla decisione su essa.

Guida all'approfondimento

Commentario al codice di procedura civile, a cura di CENDON, Milano, 2012 (in particolare, pagg. 648-649).

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