È proprio vero che la sanzione del raddoppio del contributo unificato è inapplicabile alla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato?

20 Aprile 2017

L'ordinanza in commento chiarisce innanzitutto se la norma di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R 115/2002 sia applicabile anche alla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. In secondo luogo, i giudici di legittimità definiscono le modalità con cui far valere l'erroneità della pronuncia che, in applicazione della norma succitata, abbia condannato la parte ammessa al patrocinio erariale al pagamento del contributo unificato.
Massima

Nel caso in cui venga dichiarato improcedibille l'appello proposto da una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato questa, non avendo provveduto al versamento del contributo unificato all'atto della iscrizione, in quanto esente, non può essere condannata a versare un importo pari al contributo unificato prenotato a debito ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater d.P.R. 115/2002.

Il punto della sentenza che enuncia la sussistenza dei presupposti per l'obbligo di pagamento del contributo aggiuntivo, non avendo natura decisoria, non è suscettibile di ordinaria impugnazione, con la conseguenza che l'eventuale erroneità della indicazione di sussistenza dei presupposti per l'assoggettabilità all'obbligo di versamento di una somma pari a quella del contributo potrà essere segnalata in sede di riscossione.

Il caso

Un parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che ha dichiarato improcedibile l'impugnazione che essa aveva proposto avverso la sentenza di tribunale condannandola al raddoppio del contributo unificato. La ricorrente lamenta che, non avendo provveduto al versamento del contributo unificato all'atto della iscrizione a ruolo del giudizio di appello, in quanto esente, non poteva essere condannata a versare un importo equivalente in caso di soccombenza.

La Corte di Cassazione, pur ritenendo fondato tale motivo di impugnazione, sulla base del principio di cui alla prima delle massime sopra riportate, rigetta il ricorso affermando il principio di cui alla seconda massima.

La questione

La prima questione posta dalla ordinanza in commento è se la norma di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R 115/2002 sia applicabile anche alla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

La seconda questione affrontata dai giudici di legittimità è quella della definizione delle modalità con cui far valere l'erroneità della pronuncia che, in applicazione della norma succitata, abbia condannato la parte ammessa al patrocinio erariale al pagamento del contributo unificato (recte dato atto della sussistenza di presupposti per il pagamento anche da parte di tale soggetto).

Le soluzioni giuridiche

Come noto, l'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/2002, introdotto dall'art. 1, comma XVII, della l. 24 dicembre 2012 n. 228, prevede una vera e propria sanzione, da irrogarsi necessariamente, in caso di rigetto o di declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della impugnazione, a prescindere, peraltro, dalla condanna alle spese venga disposta la compensazione delle spese di quella fase (cfr. sul punto Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5955)

Poiché la norma, che è stata introdotta con il chiaro intento di deflazionare i giudizi di impugnazione, è inclusa nella parte II del titolo I del Testo unico spese di giustizia, dedicata alle voci di spesa e non in quella specificamente contenente la disciplina del patrocinio a spese dello Stato ci si è chiesti se tale provvedimento possa essere adottato anche nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche quando, pur affermandosi l'inammissibilità o l'infondatezza della impugnazione da lei proposta, non vengano ravvisati gli estremi della lite temeraria (in questo caso il problema non si pone perché ai sensi dell'art. 136 d.P.R. 115/2002 il beneficio andrà revocato).

Orbene, alcune pronunce di legittimità (Cass. civ., sez. VI, 18 febbraio 2014, n.3860, e, sia pure senza motivazione: Cass. civ., sez. lav., 2 settembre 2014, n.18523), alle quali si richiama anche quella qui in commento, hanno dato risposta negativa al quesito sulla base del rilievo che, in ipotesi di ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, come per quella relativa alle amministrazioni pubbliche ammesse da norme di legge alla prenotazione a debito, il contributo unificato è prenotato a debito, quindi non è versato ma prenotato, al fine di consentire, in caso di condanna della controparte alla rifusione delle spese in favore del ricorrente, il recupero dello stesso in danno della parte soccombente.

Osservazioni

La conclusione cui perviene la pronuncia in commento non convince appieno.

Infatti, nel momento in cui si riconosce all'art.13, comma 1 quater d.P.R. 115/2002 una funzione deterrente-sanzionatoria (secondo Cass. 5955/2014 “il raddoppio del contributo si muove nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione), è possibile proporre una interpretazione diversa: nel caso in cui a soccombere nell'impugnazione sia la parte non abbiente, tale parte, così come può essere condannata ai sensi dell'art. 91 c.p.c nei confronti della controparte, può essere tenuta a pagare l'importo previsto dalla norma in esame.

Anche il dato letterale della norma, che fa riferimento all'importo dovuto e non a quello versato a titolo di contributo unificato, pare confortare tale lettura.

A conforto di quanto detto deve poi evidenziarsi che altra pronuncia di legittimità (Cass. civ. sez. VI-1, 27 novembre 2013, n.26566) ha invece affermato l'applicabilità della norma in esame all'ipotesi, analoga a quella sopra citata, del rigetto del gravame di una amministrazione pubblica.

Del resto non potrebbe nemmeno obiettarsi che la sottrazione della parte non abbiente alla sanzione trova giustificazione nella esigenza di evitare allo Stato di attivare una procedura di recupero della somma dovuta a titolo di contributo unificato che potrebbe risultare infruttuosa.

Infatti lo Stato si deve comunque attivare nei confronti del non abbiente per il recupero delle spese anticipate e prenotate ai sensi dell'art.134 d.P.R. 115/2002, a prescindere dalla possibilità di successo di tale iniziativa (si noti che, circolare del 6 luglio 2015 il Ministero della Giustizia, ha dato indicazione agli uffici di gli uffici di dare sempre esecuzione al provvedimento del magistrato che, nel definire il procedimento di impugnazione, ritenga di dovere irrogare il pagamento in esame).

Si noti che, se si condividono le considerazioni sin qui svolte, la parte non abbiente sarà tenuta anche al pagamento della sanzione pecuniaria di cui all'art. 8, comma 4-bis, d. lgs. 28/2010 se non partecipa senza giustificato motivo al procedimento di mediazione obbligatoria.

A ben vedere, anche a voler condividere quanto affermato dalla Suprema Corte in ordine alla inapplicabilità dell'istituto alla parte non abbiente, non persuade nemmeno il secondo principio enunciato dalla decisione in esame.

I giudici di legittimità hanno ritenuto di poterlo desumere dall'affermazione, fatta da Cass. n. 5955/2014, secondo cui il rilevamento dei presupposti del pagamento del contributo non può costituire un capo del provvedimento di definizione dell'impugnazione dotato di contenuto condannatorio, nè di contenuto declaratorio.

Ad essa però quella decisione era pervenuta dopo aver precisato che: “il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato è un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese,ma al fatto oggettivo, ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione, del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione: atteggiandosi come un'automatica conseguenza sfavorevole dell'azionamento del diritto di impugnare un provvedimento in materie o per procedimenti assoggettati a contributo unificato, tutte le volte che l'impegno di risorse processuali reso necessario dall'esercizio di tale diritto non abbia avuto esito positivo per l'impugnante, essendo il provvedimento impugnato rimasto confermato o non alterato”.

Questo ragionamento aveva quindi giustificato l'applicazione dell'istituto anche in ipotesi di compensazione delle spese del giudizio di appello.

È dubbio però che esso possa essere esteso anche al caso esaminato nella decisione in esame.

Qui infatti, secondo i giudici di legittimità, il giudice di appello avrebbe errato in ordine ai presupposti soggettivi di applicazione dell'istituto ed allora, per ovviare alla sua valutazione, sarebbe stata necessaria l'adozione, in riforma della sentenza di appello, di una pronuncia di accertamento negativo, anche al fine di evitare che l'amministrazione attivasse la procedura di riscossione inutilmente.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.