L'appello non può essere dichiarato improcedibile in caso di mancato deposito della sentenza impugnata

Sergio Matteini Chiari
23 Gennaio 2017

L'improcedibilità dell'appello per mancato deposito di copia della sentenza impugnata non trova applicazione qualora il thema decidendum sia comunque individuabile in termini sufficientemente chiari ed utili.
Massima

L'improcedibilità dell'appello per mancato deposito di copia della sentenza impugnata, neppure presente tra gli atti di causa, non trova applicazione qualora il thema decidendum sia individuabile in termini sufficientemente chiari ed utili ed il giudice dell'impugnazione sia, pertanto, posto in grado di avere piena conoscenza, sia pure con modalità diverse da quelle prescritte, del contenuto della sentenza.

Il caso

A., nella veste di danneggiato da sinistro stradale, conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di pace, B., C. e D., nella rispettiva qualità di conducente e proprietario dell'autovettura antagonista e di assicuratore per la r.c.a..

Nel giudizio interveniva E., in posizione adesiva all'attore A.

Attore ed interveniente chiedevano la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni sofferti a seguito del sinistro.

Il Giudice adito respingeva la domanda e condannava attore ed interveniente al pagamento delle spese processuali.

A. ed E. proponevano appello innanzi al Tribunale, chiedendo che, in integrale riforma della sentenza impugnata, fosse accolta la domanda proposta in primo grado e le controparti venissero condannate a rifondere le spese di lite.

Resisteva unicamente l'assicuratore D., mentre gli originari convenuti B. e C. restavano contumaci.

Il giudice del gravame dichiarava improcedibile l'appello per non avere la «parte appellante ... prodotto nel fascicolo di parte di secondo grado, in violazione del disposto di cui all'art. 347, secondo comma, c.p.c., copia della sentenza appellata», così da non consentire «una decisione di merito sul gravame».

A. ed E. proponevano ricorso per cassazione, deducendo ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 347, secondo comma, e 348 c.p.c..

La questione

Alla Corte Suprema di Cassazione è stata sottoposta una duplice questione giuridica:

  1. quella di stabilire se fosse stata correttamente sancita l'improcedibilità del gravame, secondo parte ricorrente non comminata quale conseguenza necessaria del mancato inserimento della sentenza impugnata nel fascicolo di parte, essendo il disposto dell'art. 347, secondo comma, c.p.c. mirato unicamente a garantire la possibilità di esame della stessa da parte del giudice di appello, tenuto comunque a pronunciare nel merito qualora nel possesso degli elementi per poterlo fare – condizione verificatasi nel caso di specie, giacché, in forza degli atti di parte (appello e comparsa di risposta dell'assicuratore, nonché documentazione prodotta in giudizio), erano stati posti a disposizione del giudicante tutti gli elementi di cognizione occorrenti.
  2. quella di stabilire se il Tribunale avesse applicato l'art. 347, secondo comma,c.p.c., a fattispecie pertinente, dal momento che copia della sentenza appellata risultava «indicata tra gli atti depositati», con annotazione a penna, sicché lo stesso giudice avrebbe dovuto considerare come avvenuto il deposito della sentenza di primo grado e, in ragione del suo smarrimento «in data successiva», invitare gli appellanti alla produzione di ulteriore copia.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo del ricorso, con motivazione assorbente il secondo.

Dando continuità all'orientamento «prevalente ed ormai consolidato» della giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte ha affermato che l'art. 347, secondo comma, c.p.c., nel prevedere che l'appellante debba inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza impugnata, non commina, in caso di mancato adempimento, la sanzione dell'improcedibilità, come previsto, invece, dall'art. 348 c.p.c. per la mancata costituzione nei termini o per la mancata comparizione dell'appellante alla prima udienza ed a quella successiva all'uopo fissata; conseguendone che la mancanza in atti della sentenza impugnata non preclude al giudice la possibilità di decidere nel merito qualora, sulla base degli atti medesimi, egli disponga di elementi sufficienti - «condizione», questa, da ritenersi verificata nel caso di specie, essendosi nel ricorso dato contezza dei contenuti degli atti processuali (appello e comparsa di risposta – d'altronde conoscibili direttamente dalla Corte, quale giudice del «fatto processuale») dai quali, complessivamente, si evinceva, in termini sufficientemente chiari ed utili, il thema decidendum (portata della sentenza impugnata e ragioni di gravame, oltre che «eccezioni e contestazioni» di parte appellata) sul quale avrebbe dovuto vertere il giudizio di gravame, essenzialmente incentrato - quanto ai motivi di impugnazione - sulla denuncia di erronea valutazione delle risultanze istruttorie (segnatamente, modello CAI e documentazione prodotta).

Osservazioni

1) L'art. 347, secondo comma, c.p.c. sancisce a carico dell'appellante l'onere di «inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata». Ciò al solo, evidente, scopo di assicurarne la possibilità dell'esame da parte del giudice del gravame (in tal senso, ex multis, Cass., sez. I, 12 agosto 2016, n. 17086; Cass, sez. II, 20 aprile 2006, n. 9254; Cass., sez. L, 14 aprile 2005, n. 7746).

Nella disposizione citata non si rinviene previsione di alcuna «sanzione» diretta sul piano processuale (improcedibilità) in caso di inadempimento dell'incombente (Cass., sez. III, 10 dicembre 2013, n. 27356).

La sanzione di improcedibilità dell'appello è prevista unicamente dall'art. 348 c.p.c. (testo introdotto dalla legge n. 353/1990) con riguardo a fattispecie affatto diverse, vale a dire quale conseguenza della mancata costituzione nei termini o della mancata comparizione dell'appellante alla prima udienza od a quella successiva all'uopo fissata.

Ne consegue che – così come del tutto correttamente affermato dalla sentenza annotata - la mancanza in atti della sentenza impugnata non preclude al giudice la possibilità di decidere nel merito qualora, sulla base dei documenti disponibili, egli disponga di elementi sufficienti ai fini del decidere (Cass., sez. III, 10 dicembre 2013, n. 27356; Cass., sez. lav., 14 aprile 2005, n. 7746).

In caso contrario (qualora, cioè, la presenza in atti della sentenza impugnata risulti indispensabile per ottenere una pronuncia di merito sul gravame), lungi dal poter sancire l'improcedibilità dell'appello, considerato il principio di tassatività delle cause di improcedibilità (Cass., sez. lav., 3 agosto 2004, n. 14869), il giudice deve assegnare alla parte un termine per provvedere al deposito del documento (Cass.,sez. II, 17 ottobre 2007, n. 21833; Cass., sez. II, 28 luglio 2000, n. 11201; contra – opinione rimasta allo stato isolata -, Cass., sez. VI, ord., 20 gennaio 2014, n. 1079).

Allo stesso modo il giudice deve provvedere nel caso in cui sia stata depositata copia incompleta della sentenza impugnata e non si abbiano già gli elementi occorrenti per decidere (Cass., sez. II, 30 novembre 2016, n. 24437; Cass., sez. I, 16 novembre 2015, n 23395; Cass., sez. III, 25 luglio 2006, n. 16938).

Problema si può porre nell'ipotesi in cui l'invito al deposito della sentenza non venga osservato.

In proposito, è stato condivisibilmente affermato che «l'atto di appello che non contenga l'esauriente narrazione del processo siccome svoltosi in prime cure deve essere dichiarato inammissibile per l'inidoneità del rapporto processuale costituito con il predetto atto impugnatorio a dar luogo a una trattazione del merito e a creare nell'organo adito l'obbligo di emanare una decisione di merito» (Cass., sez. V, 12 febbraio 2004, n. 2728 e, nello stesso senso, Cass., sez. I, 2 luglio 2003, n. 10404, secondo cui l'inammissibilità dell'appello dovrebbe essere pronunciata per carenza degli elementi essenziali di tale atto, analogamente alla dichiarazione di inammissibilità per genericità dei motivi).

2) Poiché, come già ricordato in premessa, l'inserimento nel fascicolo dell'appellante di copia della sentenza impugnata mira unicamente a garantire la possibilità dell'esame della medesima da parte del giudice d'appello, è da escludere qualsiasi sanzione laddove il documento risulti al momento della decisione comunque allegato agli atti, ad esempio mediante deposito contestualmente al deposito della comparsa conclusionale o nell'intervallo tra l'udienza di precisazione delle conclusioni e quella di discussione (Cass., sez. II, 29 dicembre 2005, n. 28786; Cass., sez. II, 29 gennaio 2003, n. 1302; Cass., sez. II, 16 febbraio 2001, n. 2300).

3) Nel processo tributario, l'omessa allegazione all'atto di appello della sentenza impugnata non determina l'inammissibilità del gravame, atteso che tale adempimento non è espressamente imposto da alcuna norma e che l'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel prevedere che il fascicolo trasmesso dalla Commissione di primo grado a quella di appello debba includere copia della sentenza anzidetta, costituisce sicuro elemento utile al fine di esonerare dal medesimo onere l'appellante (Cass., Sez. VI, ord. 1 dicembre 2015, n. 24470).

4) In tema di opposizione allo stato passivo del fallimento, nel regime previsto dagli artt. 98 ss. r.d. 16 marzo 1942 n. 267, come modificati dal d.lgs. n. 169 del 2007, viene costantemente affermato che la mancata produzione della copia autentica del provvedimento impugnato non costituisce causa di improcedibilità del giudizio, sia, da un lato, in quanto «tale opposizione, ancorché di natura impugnatoria, non è qualificabile come appello», sia in quanto l'art. 99 l.fall., nell'indicare il contenuto del corrispondente ricorso, non impone la necessaria allegazione dell'atto impugnato, «fermo restando che l'art. 347 c.p.c., comunque applicabile, pone l'onere per l'appellante di inserire nel proprio fascicolo la copia della sentenza impugnata al solo scopo di assicurarne la possibilità dell'esame da parte del giudice del gravame» (Cass. sez. I, 12 agosto 2016, n. 17086; Cass., sez. VI, ord. 17 settembre 2015, n. 18253; Cass., sez. VI, ord. 22 febbraio 2012, n. 2677; Cass., sez. I, 4 maggio 2012, n. 6804).

5) Ai sensi dell'art. 399, primo comma, c.p.c., la sanzione processuale di improcedibilità è operativa nel giudizio di revocazione innanzi al tribunale o alla corte di appello qualora l'istante non ottemperi all'obbligo di depositare copia autentica della sentenza di cui chiede la revocazione.

La medesima sanzione viene ritenuta operativa, in caso di inosservanza del suddetto obbligo, anche nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa a conclusione di una domanda di revocazione, anch'esso essendo un giudizio di revocazione (Cass., sez. I, 15 marzo 2001, n. 3742).

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