Rinuncia agli atti in appello e gli effetti sulla sentenza di primo grado

Sergio Matteini Chiari
25 Maggio 2017

La rinuncia agli atti, compiuta in appello, di un giudizio definito in primo grado con una decisione di fondatezza dell'azione investe soltanto gli atti del procedimento di gravame, e comporta il passaggio in giudicato della pronuncia in conseguenza della sopravvenuta inefficacia della sua impugnazione, in quanto l'estinzione, a norma dell'art. 310 c.p.c., rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo.
Massima

La rinuncia agli atti, compiuta in appello, di un giudizio definito in primo grado con una decisione di fondatezza dell'azione investe soltanto gli atti del procedimento di gravame, e comporta il passaggio in giudicato della pronuncia in conseguenza della sopravvenuta inefficacia della sua impugnazione, in quanto l'estinzione, a norma dell'art. 310 c.p.c., rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo. Peraltro, laddove l'atto di rinuncia possa essere interpretato come rinuncia anche al giudicato, in quanto esteso alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze, deve esserne riconosciuta efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale di tale decisione.

Il caso

La società AAA conveniva in giudizio il sig. BBB per sentirlo condannare al rilascio di un appartamento di sua proprietà (acquistato con rogito dell'anno 198-), condotto dal convenuto in comodato.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda.

La sentenza veniva riformata in grado di appello con il rigetto della domanda originaria.

La Corte di merito fondava tale pronuncia sulle seguenti considerazioni:

  • Il sig. BBB era stato dichiarato fallito nell'anno 199-.
  • La curatela del fallimento aveva agito nei confronti della società AAA per sentir dichiarare la simulazione soggettiva del contratto di compravendita del 198-. La domanda era stata accolta, venendo dichiarato che l'appartamento era stato in effetti acquistato dal sig. BBB, con interposizione fittizia dell'acquirente
  • La sentenza era stata impugnata e, in pendenza del gravame, tra la curatela fallimentare e la società AAA era intervenuta transazione: la curatela, a fronte della corresponsione di somma, aveva rinunciato «agli atti del giudizio in corso (che verrà abbandonato mediante cancellazione del ruolo ai sensi dell'art. 309 c.p.c.) ed all'azione per la declaratoria della simulazione dell'atto di vendita» ed anche «agli effetti della citata sentenza(riferimento alla sentenza gravata – n.d.r.)».
  • Il giudizio di appello aveva subito estinzione ai sensi dell'art. 309 c.p.c.; conseguentemente, la sentenza gravata doveva ritenersi passata in giudicato ex art. 338 c.p.c., non essendo stata la transazione fatta valere in giudizio.
  • All'impegno della curatela a non valersi degli effetti del giudicato doveva attribuirsi portata meramente obbligatoria e pertanto, poiché nel giudizio di appello tra la società AAA e il sig. BBB (nel frattempo tornato in bonis), quest'ultimo aveva eccepito tale giudicato (resistendo alla domanda di rilascio dell'immobile de quo sull'assunto di essere lui il proprietario dell'immobile de quo, come accertato con detto giudicato), del giudicato stesso non si poteva non tenere conto.

La società AAA proponeva ricorso avverso la sentenza della Corte di merito con cui era stata rigettata la sua domanda di rilascio, chiedendone l'annullamento.

La questione

sede è stata quella di stabilire se il sig. BBB potesse valersi del giudicato formatosi sulla sentenza pronunciata in prima istanza nella controversia promossa dalla curatela del suo fallimento nei confronti della società AAA, nonostante che la curatela avesse espressamente convenuto con quest'ultima la rinuncia agli atti del giudizio in corso ed anche agli effetti della suddetta sentenza.

La soluzione giuridica

La Suprema Corte ha accolto il ricorso per i seguenti motivi:

  1. La rinuncia, compiuta in appello, agli atti di un giudizio definito in primo grado con una decisione di fondatezza dell'azione investe soltanto gli atti del procedimento di gravame «e comporta il passaggio in giudicato della pronuncia in conseguenza della sopravvenuta inefficacia della sua impugnazione, in quanto l'estinzione, a norma dell'art. 310 c.p.c., rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo».
  2. Peraltro, qualora l'atto sia interpretabile come rinuncia anche al giudicato, in quanto esteso alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze, ad esso deve riconoscersi efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale della decisione di merito.
  3. Proprio tale ipotesi doveva ritenersi verificata nel caso venuto all'attenzione: nella sentenza (di appello) gravata, infatti, si era accertato espressamente che, con l'effettuata transazione, «la curatela si era impegnata a non avvalersi degli effetti della sentenza di primo grado»; sicché il fallito sig. BBB, tornato in bonis, non poteva giovarsi del giudicato formatosi sulla sentenza resa in primo grado tra la curatela del suo fallimento e la società AAA, «perché ciò gli era precluso dalla rinuncia formulata al riguardo dalla curatela».
Osservazioni

1) Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, se è vero che la rinuncia agli atti, compiuta in appello, di un giudizio definito in primo grado con una decisione di fondatezza dell'azione investe, di norma, soltanto gli atti del procedimento di gravame, e comporta il passaggio in giudicato della pronuncia in conseguenza della sopravvenuta inefficacia della sua impugnazione – si vedano i disposti degli artt. 338 e 310, secondo comma, c.p.c. -, è altresì vero che efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale della decisione di merito va riconosciuta nel caso in cui l'atto di rinuncia costituisca o possa essere interpretato come rinuncia anche al giudicato, in quanto esteso alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze (si vedano, in tal senso, Cass., sez. V, 2 aprile 2003, n. 5026 e Cass., sez. III, 21 gennaio 1971, n. 130).

In sintesi, la dichiarazione con la quale una delle parti rinunzia, oltre che agli atti del giudizio, anche alla sentenza impugnata ed a tutti gli effetti di questa, deve essere intesa come rinuncia agli effetti del giudicato.

2) Nella fattispecie, l'atto di rinuncia del curatore fallimentare conteneva esplicitamente la manifestazione della volontà di rinuncia al giudicato (si veda quanto virgolettato sub § 3).

Di conseguenza - a parere della sentenza in commento -, non potendosi il fallito tornato in bonis giovare di tale giudicato, nessuna valenza poteva essere attribuita dalla Corte di merito a quanto statuito nella fase di primo grado della controversia intercorsa tra la curatela del fallimento del sig. BBB e la società AAA.

3) All'esito, la Suprema Corte ha cassato la sentenza gravata, «con rinvio per un nuovo esame dell'intera controversia».

4) La rinuncia al giudicato è stata ritenuta provvista di efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale della decisione di merito, divenuta, in forza dell'atto di rinuncia, inopponibile dal fallito tornato in bonis.

Incidentalmente, va rammentato che, giusta la pubblica funzione svolta dal curatore fallimentare nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, è da escludere «che possa configurarsi un contrasto di interessi tra lo stesso ed il fallito, sicché quest'ultimo, una volta tornato in bonis, potrà solo sostituirsi al primo nel giudizio da lui intrapreso, nel punto e nello stato in cui esso si trova, accettandolo come tale e senza poter invalidare quanto sia stato legittimamente compiuto dal curatore medesimo allorquando questi lo rappresentava» (Cass., sez. III, 9 giugno 2015, n. 11854).

5) Si pone il quesito di stabilire quale debba essere l'oggetto del «nuovo esame» (da estendere, a parere della S.C., all' «intera controversia») da parte del giudice del rinvio.

Stando alla giurisprudenza richiamata dalla sentenza in commento, alla rinuncia al giudicato deve essere riconosciuta efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale della decisione di merito e «preclusiva del potere delle parti di chiedere al giudice una nuova decisione sulla stessa controversia» (Cass., sez. V, 2 aprile 2003, n. 5026; si veda anche Cass., sez. II, 21 gennaio 1971, n. 130).

In altri termini, la rinuncia può validamente esplicarsi unicamente in ordine agli effetti sostanziali del giudicato («disponibilità» della situazione giuridica sostanziale accertata nel giudizio), non anche ai suoi effetti processuali (l'accertamento contenuto nella decisione passata in giudicato è da ritenere immutabile) né alla preclusione del ne bis in idem (v. Cass., sez. II, 11 luglio 1979, n. 3988, secondo cui «le parti possono solo con una concorde manifestazione di volontà rinunziare in via definitiva in tutto o in parte agli effetti del giudicato, ma questo, in ogni caso, non può essere rimesso in discussione, data la presunzione di verità che l'accompagna e, pertanto, non è ammissibile riproporre in giudizio la stessa questione per ottenere una seconda decisione»).

Parrebbe, dunque, che, nonostante l'ampia «delega» data dalla sentenza in commento, nella sede di rinvio non resti che stabilire se l'immutabile (quanto agli effetti processuali) sentenza di primo grado passata in giudicato nell'ambito della controversia tra la curatela del fallimento del sig. BBB e la società AAA abbia valenza di giudicato esterno nell'ambito della distinta (ma relativa, e con causa petendi e petitum sostanzialmente sovrapponibili, allo stesso rapporto giuridico) controversia tra il sig. BBB e la società AAA e se e quali «pretese» possano fare ivi valere le parti.

Circostanze, o almeno quella relativa all'esistenza di giudicato esterno, che nulla, ad avviso di chi scrive, pareva impedire di rilevare d'ufficio nella sede di legittimità (v. Cass., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916 e, da ultimo, Cass., sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20629 e Cass., sez. L, 9 dicembre 2016, n. 25269).

Si veda, comunque, sui limiti in ordine alla rilevabilità del giudicato nel giudizio di rinvio, Cass., sez. I, 8 febbraio 2016, n. 2411.

Alla Corte del rinvio la forse ardua sentenza.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.