Motivi di revocazione ordinaria e impugnazione del lodo arbitrale

25 Agosto 2016

Il dato normativo e l'esperienza giurisprudenziale dimostrano come resti priva di presidio l'esigenza di tutela che tipicamente si ricollega all'errore di fatto revocatorio e, in parte, al contrasto con precedente giudicato o lodo non più impugnabile.Tuttavia, l'assenza dal sistema di impugnazione del lodo di un mezzo di gravame analogo all'appello, continua ad interpellare sull'esigenza di soluzioni ermeneutiche che possano collocare tali vizi nelle maglie del catalogo offerto dall'art. 829 c.p.c.
Il quadro normativo

La revocazione del lodo arbitrale, disciplinata dall'art. 831 c.p.c., completa, insieme all'impugnazione per nullità ed all'opposizione di terzo, il novero degli strumenti attraverso cui può essere impugnato il lodo ma, a dispetto della propria duplice veste, in questa sede è considerato esclusivamente quale mezzo d'impugnazione straordinario.

Tale originaria scelta è stata espressamente confermata dalla novella del 1994 ― nonché, successivamente, da quella del 2006 ― ritenendola più coerente con il sistema complessivo d'impugnazione del lodo e bocciando la più ampia previsione di cui al disegno di legge Vassalli, che apriva all'esperibilità di un giudizio di impugnazione contro l'errore di fatto, e il contrasto con precedente giudicato o lodo non più impugnabile.

L'impugnazione per revocazione del lodo (non più della “sentenza arbitrale”), va ora proposta unicamente innanzi alla Corte d'Appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato (competenza funzionale), nel rispetto del termine e delle forme stabilite nel libro secondo, vale a dire entro il termine di 30 giorni decorrenti dalla comunicazione del lodo alle parti ovvero dal momento successivo in cui è sopravvenuto il fatto (o la conoscenza di tale fatto) corrispondente ad uno dei motivi di revocazione.

Sotto il profilo dei rapporti con l'impugnazione per nullità non trova applicazione, vista la peculiarità di quest'ultima rispetto all'appello, la disciplina di cui all'art. 396, comma 2, c.p.c., atteso che il comma 2 dell'art. 831 contempla ora la sospensione del termine per proporre la revocazione «fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla nullità».

Ne deriva che qualora l'impugnazione per nullità ― esperibile nel più ampio termine di 90 giorni ― non sia stata ancora proposta, il termine per la proposizione della revocazione (i cui presupposti di decorrenza si siano già verificati) decorre ugualmente, con la conseguenza che la parte che intenda dolersi dei motivi di revocazione straordinaria dovrà proporre immediatamente il relativo giudizio per non incorrere nella decadenza dall'impugnazione. Peraltro, l'impugnazione per nullità potrà essere comunque proposta, soccorrendo poi la possibilità di successiva riunione, esplicitamente contemplata dall'ultimo comma dell'art. 831 c.p.c. (sul punto si veda anche Cass. civ., 24 aprile 2009, n. 9826, sulla ragionevolezza della previsione di termini per la proposizione di un rimedio impugnatorio di carattere straordinario).

Tale quadro normativo ha letteralmente capovolto il sistema previgente, che prima della novella del 1994 consentiva la revocazione solo «quando non può proporsi impugnazione per nullità» e che, secondo le rare pronunzie della Suprema Corte, conducevano ad una ricostruzione sistematica tale da non ammettere il ricorso alla revocazione contro le sentenze in ordine alle quali era ancora esperibile l'impugnazione per nullità ed escludere la cumulabilità dei due rimedi (Cass. civ., 11 febbraio 1988, n. 1465; Cass. civ., 19 luglio 1982, n. 4237; Cass. civ., 7 maggio 1952, n. 1257).

I motivi di revocazione ordinaria e l'inclusione dell'eccezione di giudicato tra i motivi d'impugnazione del lodo

Atteso il carattere tassativo dei motivi di nullità del lodo ex art. 829 c.p.c., la scelta dell'art. 831 c.p.c. di richiamare i soli motivi fondati su circostanze che possono palesarsi in qualunque tempo pone necessariamente il quesito circa la sorte delle doglianze che fondano i motivi di revocazione ordinaria.

La giurisprudenza, seppur risalente, ha sempre escluso la possibilità che i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. potessero confluire tra quelli di nullità del lodo (Così Cass. civ., 4 ottobre 1994, n. 8043, in Foro it., 1995, I, 735; Cass. civ., 11 febbraio 1988, n. 1465 in Foro it., 1988, I, 1546; Cass. civ., 19 luglio 1982, n. 4237, in Giust. civ., 1983, I, 521), individuando quale unico rimedio quello di impugnare per revocazione la sentenza che decide della impugnazione per nullità (Cass. civ., 19 luglio 1982, n. 4237, cit.).

Purtuttavia, le istanze di tutela presidiate da tali motivi sono senz'altro riferibili anche al giudizio arbitrale e, stante il vuoto normativo, si è costantemente cercato di offrire alla rilevanza revocatoria dell'errore di fatto e del precedente giudicato (ovvero lodo non più impugnabile) una diversa collocazione.

Tale tentativo si può dire in parte realizzato per il contrasto con una precedente sentenza passata in giudicato o con un precedente lodo non più impugnabile (per nullità), che costituisce oggi ― in seguito alla novella del 1994 ― un motivo d'impugnazione regolato dall'art. 829, n. 8 ed esperibile a fronte della previa produzione (non più eccezione, a seguito della riforma del 2006) nel giudizio arbitrale, della sentenza ovvero del lodo contrastante con il lodo che sì vuole impugnare.

La modifica della formulazione originaria, che svincola la proponibilità dell'impugnazione dalla eccezione di parte, si basa sul presupposto del rilievo officioso della res iudicata formatasi in altro processo e consente di guardare al rimedio, nel caso in cui il provvedimento precedente, contrastante con il lodo che si vuole impugnare, sia stato versato agli atti durante l'arbitrato ma gli arbitri non ne abbiano tenuto conto.

Tuttavia, qualora la parte abbia meramente eccepito ma non anche prodotto, nel corso del giudizio arbitrale, il documento relativo alla sentenza ovvero al lodo che descrive il precedente giudicato, persiste un vuoto di tutela tale da riproporre l'esigenza d'interpretazione estensiva dei motivi di nullità del lodo.

In tal senso era stata ipotizzata la possibilità che il lodo contrastante con precedente giudicato potesse essere comunque impugnato ex art. 829, comma 1, n. 12, in quanto contrario all'ordine pubblico processuale.

Opzione che, per quanto problematica, appare comunque da preferirsi alla tesi che intravede nella descritta lacuna e nell'obiettiva difformità di regime emergente dal confronto tra l'art. 829, n. 8 c.p.c. e l'art. 395, n. 5 c.p.c. una conferma della persistente differenza, anche sul piano degli effetti e nonostante il tenore dell'art. 824-bis, tra lodo e sentenza. Tesi quest'ultima che non persuade e che sembra voler provare troppo, laddove ciò che emerge è solo l'obiettiva differenza sul piano della rilevabilità del precedente giudicato che, nel processo giurisdizionale, potrà sempre essere fatto valere come motivo di revocazione rispetto alla pronuncia del giudice di appello o di unico grado che, in difetto della relativa eccezione, non ne abbia tenuto conto; nel processo arbitrale, invece, la sua mancata produzione in atti ne comporta la preclusione.

L'errore di fatto revocatorio tra difetto di motivazione e incidenza sul contraddittorio.

Il n. 4 dell'art. 395 c.p.c. contempla l'errore di fatto, risultante dagli atti o dai documenti di causa. Lo stesso può essere definito fondamentalmente come un errore di percezione, il che lo differenzia dall'errore di giudizio o di ragionamento invece contenuto nella vecchia formulazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c. L'errore consiste sostanzialmente in una svista del decidente che abbia ritenuto esistente quel che invece senza dubbio alcuno non risultava tale dagli atti di causa o viceversa (Cass. civ., 3 aprile 2009, n. 8180, con specifico riferimento al lodo, definisce l'errore di fatto revocatorio come errore di percezione documentale degli arbitri). Deve essere un errore di fatto e in nessun caso può concretarsi in un errore di giudizio (Cass. civ., 26 settembre 2013, n. 22080) e può incidere sia i fatti sostanziali che quelli processuali.

Tuttavia, la tendenza interpretativa seguita dalla Corte di Cassazione si palesa sempre più restrittiva. Innanzitutto, l'errore di fatto revocatorio assume rilevanza nei limiti in cui lo stesso possa considerarsi decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione.

In particolare, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell'errore revocatorio, non potrà descrivere una mera causalità storica bensì di carattere logico-giuridico. In questo senso non si dovrà stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l'errore di fatto, bensì è necessario comprendere se la decisione della controversia sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell'errore, per necessità logico-giuridica (Cass. civ., 18 febbraio 2009, n. 3935, in Giust. Civ. Mass. 2009, 2, 263; Cass.civ., 21 aprile 2006, n. 9396, in Giust. Civ. Mass., 2006, 4).

Si precisa, inoltre, che sulla questione di fatto non deve essersi discusso nel corso del giudizio e la mancata considerazione della stessa deve aver influito sull'esito della sentenza (cfr., C. Stato, 20 luglio 2011, n. 4410).

Sempre in un'ottica restrittiva, si ritiene necessaria l'esistenza di un contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti rispettivamente l'una dalla sentenza impugnata, l'altra dagli atti processuali, che deve discendere dal semplice raffronto tra i medesimi, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche (Cass.civ., 21 aprile 2006, n. 9396, cit.; Cass. civ., 29 gennaio 1999, n. 75, in Giust. Civ. Mass., 1999, 191).

Infine, si è altresì affermato che qualora il giudice si limiti ad ignorare un fatto, omettendo di esaminarne la prova, ciò potrà eventualmente costituire un vizio di motivazione ma non un vizio revocatorio (Cass. civ., 19 aprile 2013, n. 9637, in Giust. Civ. Mass., 2013).

Ciò premesso, l'impossibilità di sottoporre il lodo effetto di un errore di fatto al giudizio di revocazione e/o annullabilità, deriverebbe dall'esigenza di tutelare l'insindacabilità del giudizio di merito degli arbitri, quale principio fondamentale del relativo sistema d'impugnazioni.

È tuttavia palese l'incongruenza, laddove si osservi che il travisamento del fatto, se contenuto in una sentenza, consente l'appello o la revocazione ordinaria; se contenuto in una transazione, ne permette l'annullamento ai sensi dell'art. 1428 e ss., c.c.; resterebbe irrilevante solo per l'ipotesi della decisione arbitrale, a meno che non siano le stesse parti a prevedere tale errore come causa di invalidità della pronuncia (ex art. 829, n. 7).

Invero, una sofisticata lettura ermeneutica ritiene la revocazione ordinaria comunque ammessa in forza dell'art. 827 c.p.c, che nel novero delle impugnazioni esperibili contro il lodo si riferisce alla revocazione tout court, laddove il richiamo ai soli motivi di revocazione straordinaria offerto dall'art. 831 c.p.c. sarebbe da riferire alla sola irrinunciabilità preventiva. Ma si tratta di esegesi rimasta isolata e piuttosto aliena dal dibattito in giurisprudenza e dottrina.

Pertanto, l'assenza dal sistema di impugnazione del lodo di un mezzo di gravame analogo all'appello, continua ad interpellare l'interprete sull'esigenza, se non altro per ragioni di coerenza sistematica (e, per alcuni, di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 3 e 24 Cost.), di collocare il vizio di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. nelle maglie del catalogo offerto dall'art. 829 c.p.c.

Diversamente, e nonostante la valutazione negativa espressa in termini eloquenti dalla giurisprudenza di legittimità (le già citate, Cass. civ., 11 febbraio1988, n. 1465; Cass. civ., 19 luglio 1982, n. 4237; Cass. civ., 20 dicembre 1976, n. 4648), si finirebbe per prendere atto dell'assenza rispetto al lodo arbitrale di qualsiasi riferimento a controlli in fatto, tanto sul versante dei motivi di nullità, quanto dell'errore revocatorio nonché sotto il profilo del vizio di motivazione.

Da quest'ultimo punto di vista, in realtà, i motivi d'impugnazione ex art. 829 c.p.c contemplano sia una nullità del lodo per mancanza dell'esposizione sommaria dei motivi (ex art. 829, n. 5) che una nullità del lodo che contenga disposizioni contraddittorie (ex 829, n. 11), ma un'operazione ermeneutica tesa ad includere in esse l'errore di fatto si scontra con la rigida interpretazione giurisprudenziale offerta dalla Cassazione in materia di errori di motivazione del lodo.

In particolare, per quanto concerne il motivo di nullità di cui all'art. 829, comma 1, n. 5, c.p.c. non può sottacersi una diversità ontologica rispetto al travisamento del fatto, atteso che il primo riguarderebbe casi in cui la motivazione sia affetta da insufficienza o contraddittorietà tali da determinare l'impossibilità di comprendere la ratio decidendi del lodo, in maniera così significativa da descrivere sempre un'ipotesi di sostanziale omissione della motivazione (Cass. civ., 28 maggio 2014, n. 11895; Cass. civ.,21 febbraio 2006, n. 3768).

Riguardo invece al motivo di impugnazione dedicato alla contraddittorietà delle disposizioni presenti nel lodo, quest'ultima non è intesa come mera contraddittorietà tra i vari punti della motivazione (o insufficienza della stessa) bensì come esplicita contraddizione tra le varie statuizioni del dispositivo, incapaci di coesistere l'una con l'altra (App. Roma, 11 aprile 2013, in Riv. Arb., 2013, 4, 963), ovvero come un contrasto tra motivazione e dispositivo che si traduca nell'impossibilità di comprendere la ratio decidendi della decisione, (cfr. Cass. civ., 18 maggio 1994, n. 4881 in Giust. Civ. Mass. 1994, 682; Cass. civ., 9 settembre 1992 n. 10321 Cass. civ., 21 marzo 1987 n. 2807 in Rass. Avv. Stato 1987, I, 180) e, pertanto, ancora una volta equivalente ad una carenza assoluta di motivazione. Ne consegue che, anche in tale ipotesi, l'errore di fatto appare fuori dell'ambito d'applicazione del motivo, atteso che il travisamento del fatto è destinato a riflettersi in una contraddittorietà della motivazione, peraltro non sempre desumibile in via diretta dalla decisione bensì all'esito di un raffronto con gli atti di causa.

Secondo un diverso approccio, si è invece affermato che, con una minima forzatura interpretativa, l'errore di fatto potrebbe rientrare nella violazione del principio del contraddittorio di cui all'art. 829, n. 9,c.p.c.. Ciò in quanto la falsa percezione degli arbitri in relazione a ciò che è emerso in modo incontrovertibile dagli atti (e non poteva quindi essere oggetto di apprezzamento da parte dell'organo giudicante) provocherebbe una decisione a sorpresa, fondata su di una questione che non è stata investita dal contraddittorio delle parti.

In altre parole, nella misura in cui è ben noto che il contraddittorio rappresenta un principio cardine in materia processuale, ammantato di rilevanza costituzionale con riferimento agli artt. 24, 101 e 111 Cost., in presenza di una decisione degli arbitri fondata sul travisamento di un fatto che le parti hanno assunto come pacifico e incontestato, sarà lecito sostenere che la soluzione della questione di fatto non risulta preventivamente sottoposta al dialogo processuale.

Se da un lato, tale ricostruzione consentirebbe di colmare efficacemente il vuoto normativo, dall'altro lato essa appare in linea con la tesi che considera rilevante la violazione solo ove la parte prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato in concreto stimolato (Cass. civ., 30 aprile 2011, n. 9591). Nel caso di specie, infatti, ove interpellate, le parti avrebbero ben potuto evidenziare agli arbitri l'obiettiva e non controversa lettura dei fatti, evitando loro di incorrere nell'errore revocatorio. E ciò anche nell'ipotesi di più rigida configurabilità delle violazioni al principio accolta dalla Suprema Corte, qualora nel fissare le regole processuali del giudizio arbitrale con il compromesso, le parti abbiano previsto l'applicazione delle forme del processo ordinario (Cass. civ., 31 gennaio 2007, n. 2201)

D'altronde, appare dirimente che il travisamento del fatto, per integrare i presupposti dell'errore revocatorio, dovrebbe essere posto a fondamento della decisione senza aver costituito «un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare», e ciò proprio in ragione del suo essere pacifico e incontestato. Ed allora non si potrà imputare alla parte il mancato esercizio (ex ante) di poteri processuali la cui utilità e spendibilità si è palesata solo ex post.

Guida all'approfondimento

In dottrina sull'impugnazione dl lodo arbitrale in generale:

S. Boccagna, L' impugnazione per nullità del lodo: profili sistematici, Napoli, 2005;

C. Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012, 509 ss;

A. Henke, Gli accordi delle parti in materia di impugnazione del lodo arbitrale, in Dir. comm. internaz., 2013, 951 ss.;

E. Marinucci, L' impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma: motivi ed esito, Milano, 2009;

R. Poli, Sull'oggetto del giudizio d'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, in Sull'arbitrato: studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 629 ss.;

L. Salvaneschi, I motivi di impugnazione del lodo: una razionalizzazione?, in Riv. arbitrato, 2015, 233 ss.

Sulla revocazione del lodo:

S. Boccagna, sub art. 831 in La nuova disciplina dell'arbitrato. Commentario agli artt. 806 - 840 c.p.c., Padova 2010, 475 ss.;

F. Campione, Un itinerario (non solo) giurisprudenziale sulla revocazione del lodo, in Riv. arbitrato, 2011, 715 e ss;

E. Fazzalari, Impugnazione del giudizio di fatto dell'arbitro, in Riv. arbitrato, 1999, 4 ss;

E. Marinucci, Note sull'impugnazione del lodo arbitrale per contrarietà ad altra pronuncia, in Riv. dir. proc., 2007, 1177 ss.;

A. Ronco, Revocazione e lodo arbitrale, in Sull'arbitrato: studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 717 ss.

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