Alcune criticità del regime delle opposizioni esecutive alla luce della più recente giurisprudenza di Cassazione

28 Giugno 2017

Il presente focus è dedicato ad un'analisi critica della più recente giurisprudenza di legittimità intervenuta in materia di opposizioni esecutive. L'attenzione sarà rivolta, in primis, all'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. e alle relative questioni inerenti alla struttura e alla natura giuridica di tale strumento; verrà analizzato, poi, un arresto in materia di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.; infine, con riguardo all'opposizione di terzo all'esecuzione ex art. 619 c.p.c., saranno illustrate recenti pronunce.
Estinzione del giudizio di opposizione all'esecuzione e diritto intertemporale

L'opposizione all'esecuzione – come le altre opposizioni esecutive disciplinate nel codice di rito – rappresenta un giudizio di cognizione regolato dal rito ordinario e, in quanto tale, assoggettato alle vicende anomale che possono colpirlo a norma degli artt. 295 ss. c.p.c.: in particolare, l'estinzione di tale giudizio è disciplinata dalle norme di cui agli artt. 306 ss. c.p.c.

Tra le fattispecie idonee a condurre all'estinzione del processo, pare destinata a ricoprire un ruolo peculiare, nell'ambito del giudizio di opposizione all'esecuzione, l'inattività delle parti, e per l'esattezza quella determinata dalla mancata riassunzione ai sensi del terzo comma dell'art. 307 c.p.c. L'opposizione all'esecuzione, come noto, costituisce infatti un processo c.d. bifasico, in cui ad una prima fase introduttiva, deputata all'adozione del provvedimento sulla sospensione dell'esecuzione, è destinata a far seguito la fase di trattazione del merito della causa. In particolare, l'art. 616 c.p.c., come modificato dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52, prescrive che il giudice dell'esecuzione adito con ricorso ex art. 615, secondo comma, c.p.c., al termine della predetta fase introduttiva, fissi un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo, laddove competente per la causa sia lo stesso ufficio giudiziario cui appartiene; ovvero rimetta la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente, assegnando un termine perentorio per la riassunzione. È evidente, allora, che laddove la parte interessata ometta di introdurre o riassumere il giudizio, verrà ad integrarsi una fattispecie di estinzione del giudizio di opposizione all'esecuzione.

L'eventualità descritta ha formato oggetto di un recente arresto della giurisprudenza di legittimità, occasionato da un ricorso pel tramite del quale l'opposto invocava l'avvenuta estinzione del giudizio di opposizione per la tardività della relativa riassunzione. La situazione, tuttavia, appariva complicata dalla questione relativa all'individuazione del regime applicabile ratione temporis, in quanto, a differenza dell'atto di riassunzione richiesto dal successivo art. 616, la proposizione del ricorso ex art. 615, secondo comma, c.p.c., era avvenuta in momento anteriore all'entrata in vigore del nuovo disposto dell'art. 307, ultimo comma, c.p.c., per la precisione nella parte in cui la l. 18 giugno 2009, n. 69 è venuta ad ammettere la possibilità di dichiarare d'ufficio l'avvenuta estinzione: una circostanza che, nel caso di specie, era destinata ad assumere rilevanza fondamentale, in quanto l'opposto era rimasto contumace nel giudizio riassunto e l'eccezione di estinzione, laddove considerata riservata alla parte (come nel regime antecedente alla riforma del 2009), sarebbe rimasta irrimediabilmente preclusa.

Per l'esattezza, l'art. 307, ultimo comma, c.p.c., come modificato dalla l. n. 69/2009 è destinato ad applicarsi ai procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore, ossia il 4 luglio 2009; la questione dirimente ai fini de quibus, dunque, riguardava l'esatta individuazione del momento in cui l'opposizione proposta potesse considerarsi instaurata: se con il deposito del ricorso ex art. 615, secondo comma, c.p.c. (con conseguente applicazione della disciplina antecedente a tale novella), ovvero con il successivo atto di riassunzione (con applicazione della disciplina novellata).

Cass., sez. III, 7 marzo 2017, n. 5608, con una pronuncia senz'altro condivisibile, ha scelto di ricostruire la struttura del giudizio in esame aderendo ad un precedente orientamento che, in materia di opposizione agli atti esecutivi, ha affermato come tale strumento, pur essendo distinto in due fasi, costituisce un unico procedimento, sicché nell'individuazione del momento di istaurazione di tale giudizio ha rilievo il momento in cui è stata introdotta la fase sommaria, con il deposito del ricorso dinanzi al giudice dell'esecuzione (Cass., sez. III, 7 maggio 2015, n. 9246; nel caso di specie, si trattava di valutare l'applicazione del termine d'impugnazione di sei mesi, previsto dall'art. 327 c.p.c., nella nuova formulazione, ed applicabile ai giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della l. n. 69/2009). In tal modo, ed espressamente, la Suprema Corte rifiuta di aderire a quell'opposto orientamento in materia postulante la necessità di prendere in considerazione, ai fini de quibus, il momento dell'instaurazione della fase di merito (Cass., sez. VI, ord. 12 dicembre 2012, n. 22838). A sostegno della prima opinione riportata, si può peraltro menzionare il testo dell'art. 184 disp. att. c.p.c. che, nell'indicare il contenuto del ricorso in opposizione all'esecuzione fa riferimento, oltre che alla norma generale di cui all'art. 125 c.p.c., anche alla necessità di inserire le indicazioni di cui ai numeri 4) e 5) del successivo art. 163: tali prescrizioni, infatti, connotano il ricorso introduttivo dei tratti tipicamente identificatori della domanda giudiziale. L'adesione alla tesi secondo cui l'opposizione all'esecuzione, pur essendo distinta in due fasi, costituisce un giudizio unico porta allora il Supremo Collegio ad affermare che, in caso di mancata tempestiva riassunzione della fase a cognizione piena, ai fini dell'applicabilità del regime previsto dall'ultimo comma dell'art. 307 c.p.c., come modificato dalla l. n. 69/2009 ed utilizzabile per i giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, abbia a rilevare il momento in cui è stata introdotta la fase sommaria e non quello della riassunzione; pertanto, l'inosservanza del termine verificatasi dopo la data di entrata in vigore della citata legge, ma in un processo di opposizione all'esecuzione che doveva reputarsi già pendente, per essere stata precedentemente introdotta la fase sommaria, è regolata dal regime previgente, in forza del quale l'eccezione di estinzione del giudizio per tardiva riassunzione era rilevabile solo ad istanza di parte, da svolgersi prima di ogni altra difesa.

Ancora in materia di opposizione all'esecuzione: la distribuzione degli oneri probatori

In un altro, recente arresto, la Suprema Corte ha avuto occasione di confrontarsi con la natura giuridica del giudizio di opposizione all'esecuzione, al fine di risolvere un tema di notevole rilevanza per le parti, ossia la suddivisione, al suo interno, degli oneri probatori.

Nel caso sottoposto al suo esame, la parte opponente ricorreva in cassazione deducendo la violazione dell'art. 2697 c.c., in particolare sostenendo come, nel giudizio di opposizione a precetto, la suddivisione degli oneri probatori fosse equivalente a quella riscontrabile nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con la conseguenza per cui la parte opposta avrebbe dovuto procedere, in tale sede, a dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi posti a fondamento del proprio credito.

Per quanto riguarda il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è noto come esso non rappresenti un autonomo giudizio di cognizione bensì, piuttosto, una fase di natura impugnatoria del decreto pronunciato: con la conseguenza per cui, sarà sulla base della domanda proposta pel tramite del ricorso per ingiunzione che occorrerà far capo al fine di definire la ripartizione degli oneri probatori tra le parti. Così, continuerà a gravare sull'originario ricorrente – convenuto nel giudizio di opposizione -, l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto costitutivo del diritto di credito consacrato nel decreto ingiuntivo, non potendosi certo accollare all'attore opponente l'onere di dimostrarne l'inesistenza per il solo fatto di esser stato destinatario di un decreto ingiuntivo.

L'opposizione all'esecuzione, viceversa, è qualificata come giudizio di cognizione, in particolare volto all'accertamento negativo della pretesa vantata dal creditore procedente, e risultante dal titolo esecutivo (Cass., sez. lav., 28 luglio 2011, n. 16610). In tema di azioni di accertamento negativo, peraltro, è noto il contrasto giurisprudenziale vigente attorno all'esatta suddivisione degli oneri probatori: ad una opinione tradizionale, che addossa sull'attore l'onere di dimostrare sia l'esistenza di fatti estintivi, impeditivi e modificativi del diritto dedotto in giudizio, sia l'inesistenza dei fatti costitutivi del medesimo (Cass., sez. III, 11 gennaio 2007, n. 384; Cass., sez. III, 13 giugno 2013, n. 14854; Cass., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12307), si contrappone infatti un secondo orientamento, secondo cui, anche in tale tipo di azioni, l'onere di dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto grava in ogni caso sul soggetto che fa valere detto diritto in giudizio, a prescindere dalla circostanza che egli rivesta la posizione processuale di convenuto (Cass., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26158; Cass., sez. II, 31 ottobre 2013, n. 24568; Cass., sez. lavoro, 10 novembre 2010, n. 22862).

Nel caso in esame, Cass., sez. III, 7 marzo 2017, n. 5635, ha scelto di aderire al primo degli ordinamenti riportati, conseguentemente negando che, nell'ambito del giudizio di opposizione a precetto, potesse gravare in capo all'opposto l'onere di dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto di credito vantato e risultante dal precetto stesso.

Un caso particolare di estinzione del processo esecutivo intervenuta a seguito di aggiudicazione provvisoria

Molto interessante e ricco di questioni inedite è poi il caso deciso da Cass., sez. III, 7 marzo 2017, n. 5604, innescato da un ricorso proposto avverso la sentenza di rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi avanzata avverso l'ordinanza di assegnazione definitiva del bene immobile, pronunciata unitamente alle dichiarazioni di estinzione del processo esecutivo per rinuncia agli atti dei creditori.

La pronuncia è degna di menzione per essere tornata sul tema inerente alla sorte dell'aggiudicazione provvisoria in caso di intervenuta estinzione della procedura esecutiva, in particolare risolvendo alcune problematiche sollevate dalla peculiarità della fattispecie concreta.

È noto come la sorte del provvedimento di aggiudicazione provvisoria, in caso di sopravvenuta estinzione della procedura esecutiva, sia stato oggetto, in passato, di un contrasto giurisprudenziale. Sul punto, infatti, il dato normativo non era dirimente, in quanto l'art. 632, secondo comma, c.p.c., si limitava – e si limita – a sancire che, se l'estinzione avviene prima dell'aggiudicazione, essa rende inefficaci gli atti compiuti, mentre se avviene dopo l'aggiudicazione questa rimane ferma e la somma ricavata è consegnata al debitore: senza chiarire, tuttavia, se con il termine aggiudicazione si intenda quella provvisoria ovvero quella definitiva (ossia, quella integrata una volta decorso il termine per la presentazione di nuove offerte d'acquisto ex art. 584 c.p.c.). In un primo momento la giurisprudenza di legittimità si era espressa nel senso che l'espressione normativa dovesse essere riferita all'aggiudicazione definitiva, sicché in caso di estinzione dell'esecuzione intervenuta in costanza di aggiudicazione provvisoria, il debitore aveva diritto ad ottenere la restituzione dell'immobile pignorato (Cass., 18 gennaio 1983, n. 413; Cass., 11 giugno 1983, n. 4030). Successivamente, il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. in l. 14 maggio 2005, n. 80, ha inserito l'art. 187-bis disp. att. c.p.c. che, superando l'orientamento riportato, ha specificato che anche in caso di estinzione avvenuta dopo l'aggiudicazione provvisoria, in pendenza del termine per la presentazione di offerte in aumento ex art. 584 c.p.c., restano fermi gli effetti degli atti compiuti nei confronti dei terzi aggiudicatari: tale norma, che secondo Cass., Sez. Un., 30 novembre 2006, n. 25507, andrebbe qualificata di interpretazione autentica della normativa vigente, ha comportato il riconoscimento del diritto, in capo all'aggiudicatario, di ottenere il decreto di trasferimento dell'immobile, anche laddove la dichiarazione di estinzione del procedimento sia pronunciata dopo l'aggiudicazione provvisoria del bene.

Fermo tale quadro normativo, oggi pacifico, la fattispecie concreta sottoposta all'attenzione dei giudicanti si connotava per due peculiarità, idonee a spingere la Suprema Corte ad un supplemento di riflessione: in primo luogo, per il fatto che l'estinzione della procedura esecutiva era intervenuta non in pendenza, ma dopo la scadenza del termine per la presentazione di offerte in aumento e, soprattutto, dopo che un'offerta era stata presentata ed il giudice dell'esecuzione aveva fissato il giorno per la gara, senza peraltro che quest'ultima venisse espletata; in secondo luogo, per il fatto che l'aggiudicatario avesse presentato istanza per la restituzione della cauzione.

La principale questione da risolvere, dunque, riguardava l'individuazione dell'esatto momento in cui, in caso di presentazione di offerte in aumento, l'aggiudicazione provvisoria possa considerarsi caducata. Anche a tal riguardo, è possibile identificare due orientamenti contrapposti: secondo un primo orientamento, infatti, la caducazione dell'aggiudicazione provvisoria sarebbe una conseguenza della mera indizione della gara da parte del giudice dell'esecuzione in presenza di offerta migliorativa (Cass., sez. III, 16 giugno 1988, n. 4101; Cass., sez. III, 15 giugno 1994, n. 5816; Cass., sez. III, 13 ottobre 1995, n. 10684); mentre secondo un'opinione più recente tale effetto caducatorio sarebbe da ricollegare all'effettivo svolgimento della gara, e non alla sua mera indizione (Cass., sez. III, 7 luglio 2003, n. 10693; Cass., sez. III, 15 gennaio 2013, n. 790). La correttezza del secondo orientamento riportato appare peraltro corroborata dal quinto comma dell'art. 584 c.p.c., dove è previsto che l'aggiudicazione diventa definitiva laddove nessuno degli offerenti in aumento partecipa alla gara indetta: è evidente, allora, che la sola indizione della gara non può essere di per sé idonea a caducare l'aggiudicazione provvisoria. Tale orientamento è quello posto a base dalla pronuncia in esame, per affermare che l'estinzione del processo esecutivo intervenuta dopo la fissazione della gara in conseguenza della presentazione di un'offerta in aumento, ma senza svolgimento della gara stessa, non può avere come effetto quello di caducare l'aggiudicazione provvisoria, ma anzi quello di consolidarne gli effetti, con la conseguente configurabilità del diritto dell'aggiudicatario provvisorio ad ottenere il trasferimento del bene in suo favore.

Dallo sviluppo di tali principi deriva la soluzione da offrire a fronte della seconda peculiarità rilevata, ossia la circostanza per cui, nel caso di specie, l'aggiudicatario in via provvisoria avesse presentato istanza per la restituzione della cauzione. Allo stesso modo, infatti, la possibilità di restituire la cauzione è legata alla circostanza che la gara venga effettivamente espletata con esito positivo, rimanendo altrimenti intangibile l'aggiudicazione provvisoriamente prodottasi.

Opposizione di terzo all'esecuzione: la regolamentazione delle spese processuali in caso di sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo

La recente Cass., sez. III, 9 marzo 2017, n. 6016, si è espressa sulla questione inerente al criterio da seguire nella condanna alle spese processuali relative al giudizio di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., in caso di caducazione del titolo esecutivo intervenuta in corso di lite.

La Suprema Corte ha fondato la propria decisione sulla riconduzione della vicenda che ha investito l'opposizione di terzo all'esecuzione nella categoria della cessazione della materia del contendere.

Più nello specifico, e in sintonia con la pregressa giurisprudenza di legittimità, la Corte ha ricordato come l'oggetto dell'opposizione in commento coincida con l'accertamento della illegittimità dell'esecuzione promossa in rapporto al bene staggito, e dunque dell'impossibilità di assoggettare il bene medesimo ad esecuzione in quanto non di appartenenza del debitore bensì del terzo opponente (Cass., sez. III, ord. 12 aprile 2011, n. 8426; Cass., Sez. III, 6 marzo 2001, n. 3256). La caducazione del titolo esecutivo posto a base dell'esecuzione intrapresa, poi, è da considerarsi quale evento idoneo a comportare, con decorrenza ex nunc, l'improseguibilità dell'azione esecutiva, in quanto il titolo esecutivo deve esistere, valido ed efficace, per tutto il corso della stessa (Cass., sez. III, 13 luglio 2011, n. 15363; Cass., sez. lavoro, 29 novembre 2004, n. 22430; Cass., sez. III, 9 gennaio 2002, n. 210). Tale caducazione, in altri termini, fa venir meno il diritto del creditore di procedere in executivis e, con essa, la necessità stessa di accertare, pel tramite del giudizio ex art. 619 c.p.c., la legittimità dell'esecuzione intrapresa (ossia, se essa sia stata esercitata sui beni del debitore ovvero del terzo opponente). L'improseguibilità dell'azione esecutiva e la connessa liberazione dei beni staggiti, infatti, fanno evidentemente venir meno l'interesse del terzo a una pronuncia sul merito dell'esecuzione proposta. Tale vicenda, come accennato, viene qualificata dalla Corte nei termini di intervenuta cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione di terzo all'esecuzione (Cass., 26 marzo 1981, n. 1771), con la conseguenza per cui la regolamentazione delle spese processuali dev'essere informata al criterio, tipicamente utilizzato al ricorrere di tale vicenda, della soccombenza virtuale (tra le più recenti, Cass., sez. III, 31 agosto 2015, n. 17312; Cass., sez. VI, ord. 11 febbraio 2015, n. 2719), ossia sulla base di un prognostico vaglio sulla fondatezza dei motivi dedotti dal terzo al fine di individuare la parte che sarebbe stata dichiarata soccombente e sulla quale far gravare il carico delle spese di lite.

Sul rapporto tra opposizione di terzo all'esecuzione e opposizione di terzo ordinaria ex art. 404, primo comma, c.p.c.

Di particolare interesse si presenta, infine, l'arresto di Cass., sez. III, 20 marzo 2017, n. 7041 che, con riguardo ad una esecuzione per consegna o rilascio, è tornata sul tema del rapporto tra opposizione all'esecuzione ex art. 619 c.p.c. e opposizione di terzo ordinaria ex art. 404, primo comma, c.p.c..

Nel caso sottoposto al suo esame, un soggetto acquistava un immobile e successivamente proponeva nei confronti del venditore domanda di verificazione dell'autenticità della sottoscrizione apposta dal medesimo sulla scrittura privata contenente il contratto di compravendita, nonché la sua condanna al rilascio, domande entrambe accolte con sentenza poi passata in giudicato. Successivamente alla trascrizione della domanda di condanna, il venditore alienava il medesimo immobile ad un terzo, il quale proponeva opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. all'esecuzione per rilascio nel frattempo promossa dal primo acquirente, facendo valere la nullità della scrittura privata e la conseguente prevalenza del suo acquisto.

La Suprema Corte, pur avendo riconosciuto come l'opponente sia effettivamente da qualificarsi come “terzo” nell'esecuzione per rilascio promossa, in quanto soggetto che non si trovava nel possesso o nella detenzione del bene (così, Cass., sez. III, 17 gennaio 2003, n. 601), ha tuttavia dichiarato l'improponibilità dell'opposizione ex art. 619 c.p.c., rilevando come tale strumento processuale non sia quello idoneo a tutelare il terzo che si dolga dell'esecuzione per rilascio di un bene sul quale egli vanti un diritto incompatibile con quello del procedente. È noto, infatti, come il rimedio in esame si ritenga applicabile anche all'esecuzione in forma specifica e non solo a quella per espropriazione (così Cass., sez. un., 23 gennaio 2015, n. 1238, che supera il precedente orientamento contrario espresso da Cass., sez. I, 17 settembre 2003, n. 13664), ma tale opposizione è proponibile solo quando la posizione del terzo viene minacciata dall'esecuzione per un errore nell'attività esecutiva, diretta verso un bene diverso da quello contemplato nel titolo, e non anche quando l'esecuzione riguarda il bene contemplato in una sentenza pronunciata inter alios, su cui il terzo vanti un diritto autonomo e incompatibile con quello vantato dal procedente. Per converso, il rimedio a disposizione del terzo che si affermi pregiudicato dall'esecuzione per consegna o rilascio avviata in forza di sentenza resa inter alios è individuato nell'opposizione di terzo ordinaria di cui all'art. 404, primo comma, c.p.c., notoriamente volta, tra l'altro, a porre rimedio al c.d. danno da esecuzione, ossia quello derivante dall'attuazione del comando giudiziale racchiuso in una sentenza resa inter alios – e di per sé inidonea a pregiudicare giuridicamente la posizione del terzo -, che impone al soccombente un comportamento incompatibile con il diritto vantato dal terzo. L'opposizione ex art. 619 c.p.c., in altri termini, non è volta a mettere in discussione il diritto portato dal titolo esecutivo, bensì ad escludere l'assoggettabilità di un bene dall'esecuzione specifica, ossia a far valere un errore compiuto nel processo esecutivo: è evidente, allora, che l'opponente non può servirsene per contestare il contenuto del comando giudiziale, essendo il rimedio apprestato a tal fine l'opposizione ordinaria ex art. 404 c.p.c.; né, si aggiunge, sarebbe possibile operare una conversione di un rimedio nell'altro, vista la diversità intercorrente tra le due azioni quanto a competenza, petitum e causa petendi.

In definitiva, allora, la Corte afferma che nell'esecuzione per consegna o rilascio, avviata in forza di sentenza resa inter alios, laddove il terzo lamenti un pregiudizio derivante non già da un errore nello svolgimento della procedura esecutiva, bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato l'esistenza di un diritto incompatibile con quello da lui vantato, egli non può proporre opposizione di terzo all'esecuzione, ex art. 619 c.p.c., ma deve invece impugnare il provvedimento con l'opposizione di terzo ordinaria, ex art. 404, primo comma, c.p.c..

Guida all'approfondimento
  • CAPPONI, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, Torino, 2016;
  • METAFORA, L'opposizione di terzo all'esecuzione, Napoli, 2012;
  • MONTANARI, Il cantiere sempre aperto delle opposizioni esecutive, in Riv. esec. forz., 2010;
  • ROMANO, La nuova disciplina dell'opposizione all'esecuzione (rilievi critici a prima lettura dopo la l. 24.2.06 n. 52), in www.judicium.it, 2006;
  • ROMANO, L'azione di accertamento negativo, Napoli, 2006;
  • SASSANI, Cessazione della materia del contendere. I) Diritto processuale civile, in Enciclopedia Giuridica Treccani, VI, Roma, 1988;
  • SCALA, La cessazione della materia del contendere, Torino, 2001;
  • SCARSELLI, L'opposizione di terzo all'esecuzione per consegna o rilascio, in Dir. giur., 1995;
  • SCARSELLI, La tutela del terzo avverso l'esecuzione per consegna o rilascio, in Foro it., 1997.

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