Il sindacato di legittimità sulla motivazione: quando la Cassazione “scivola” nel merito

27 Luglio 2017

La questione affrontata dalla Suprema Corte è una delle più classiche del giudizio di legittimità, e attiene ai limiti del sindacato sulla motivazione della sentenza di merito.
Massima

Nella nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al "minimo costituzionale", restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l'apprezzamento delle risultanze istruttorie, ma la Corte di cassazione può verificare l'estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l'intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale e di risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie.

Il caso

I genitori di una minore, in proprio e in nome della medesima, agiscono in giudizio al fine di conseguire il risarcimento dei danni per lesioni permanenti da interventi chirurgici non correttamente eseguiti, ai quali la figlia era stata sottoposta, in distinti periodi della sua vita, presso una struttura sanitaria.

Il giudice del merito, accogliendo l'eccezione sollevata dai convenuti, reputa prescritto il diritto al risarcimento del danno, in quanto il termine decennale di prescrizione doveva decorrere dall'ultimo intervento utile eseguito presso l'ospedale. In particolare la corte d'appello, in base alle risultanze degli esami radiografici, accerta che nell'anno 1989 (al mese di maggio) era da collocare l'acquisizione di tutti gli elementi utili a identificare non solo il danno ma anche la sua manifestazione esteriore, visto che la riscontrata alterazione somatica non poteva che essere valutata, già al momento, come una patologia da mettere in relazione col pregresso intervento chirurgico.

Il ricorso per cassazione degli attori, articolato su cinque mezzi involgenti vizi motivazionali e violazione e falsa applicazione delle norme relative alla prescrizione (artt. 2935 e 2946 c.c.), viene accolto dall'annotata sentenza essenzialmente in base al sindacato sulla motivazione.

La Suprema Corte afferma che, nella nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., tale sindacato è certamente ridotto al "minimo costituzionale", restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l'apprezzamento delle risultanze istruttorie, e tuttavia ritiene possibile verificare l'estrinseca correttezza del giudizio di fatto laddove il percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze sia manifestamente implausibile.

Dalla premessa – in sé corretta - viene desunto questo: che sempre sarebbe consentito sindacare, con ciò, “la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l'intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti” utilizzati dal giudice del merito, al fine di ritenere inficiato il procedimento inferenziale e il risultato cui egli sia pervenuto, per modo da escludere la corretta applicazione della norma entro cui operare la sussunzione della fattispecie.

La questione

La questione affrontata dalla Suprema Corte è una delle più classiche del giudizio di legittimità, e attiene ai limiti del sindacato sulla motivazione della sentenza di merito.

Le soluzioni giuridiche

Tale sindacato, dopo la riforma del 2012, è compresso dal concetto di riduzione al “minimo costituzionale”, indicato come decisivo dalle Sezioni unite con le note sentenze nn. 8053 e 8054/2014.

In base all'esegesi in tal modo offerta, può considerarsi acquisito che l'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

Scaturiscono due conseguenze:

  1. la prima riguarda l'ontologica caratterizzazione del vizio correlato alla riformulazione della norma, appunto da interpretare, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione; donde si assume denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali), sostanzialmente identificabile nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile", esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass.,Sez. Un., 7 aprile 2014,n. 8053, cui adde Cass.,Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8054, e poi, tra le tantissime, Cass. 8 ottobre 2014, n.21257; Cass. 20 novembre 2015, n. 23828);
  2. la seconda attiene all'onere di corretta deduzione del vizio da parte del ricorrente, il quale, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così ancora Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053, Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n.8054, cui adde Cass. 27 novembre 2014, n.25216; Cass. 11 aprile 2017, n.9253).

A fronte della preliminare conferma di simili principi, l'annotata sentenza ritiene di escludere la corretta applicazione della norma (sostanziale) entro cui è stata sussunta la fattispecie, e di apprezzare quindi il corrispondente error in iudicando in iure in ordine alla decorrenza della prescrizione, mediante la verifica della “estrinseca correttezza” del giudizio di fatto, “sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze”.

Osservazioni

La sequela delle frasi poste a giustificazione di un cotal risultato tradisce l'effettiva portata del ragionamento della terza sezione della Corte, del quale non può non sottolinearsi la forzatura e in parte la contraddittorietà.

La Corte infatti, lungi dal rispettarlo, travalica il confine della verifica giustappunto “estrinseca” del giudizio di fatto, poiché alla fine del lungo discorso mette il punto su una valutazione di «manifesta fallacia o non verità delle premesse», o di «intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti» ritenuti dal giudice del merito nell'alveo dell'apprezzamento dei fatti pur rilevanti agli specifici fini, così da affermare inficiato sia il procedimento inferenziale sia il risultato di tale procedimento.

Ora vi è che la verifica della correttezza estrinseca del giudizio di fatto, diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza in epigrafe, si arresta dinanzi alla constatazione che il fatto storico decisivo è stato considerato dal giudice del merito, giacché non spetta alla Cassazione condividere anche l'esito della valutazione in fatto.

Il discorso giustificativo del giudice del merito, in ordine all'accertamento dei fatti, deve essere semplicemente razionale.

Nel caso che sotto spoglie di una presunta implausibilità degli snodi fattuali di tal ragionamento si pretenda di censurarlo perché il risultato finale non convince, allora vuol dire che ci si pone automaticamente fuori dal sindacato sulla motivazione (“estrinseco”) e si finisce per invadere, invece, il campo (“intrinseco”) della decisione in sé.

Questo era il centro della problematica che la controversia poneva, e di ciò l'annotata sentenza non si avvede: tanto che, dopo una macchinosa sequela di premesse, essa infine testualmente censura la corte del merito per avere individuato la decorrenza del termine prescrizionale «in un momento in cui la definitività del danno e la consapevolezza della sua rapportabilità causale alla controparte non potevano ancora dirsi rispettivamente percepibile ed esigibile da una persona di media diligenza», essendo stato attribuito «in un quadro clinico di progressivo peggioramento, ad un evento, unico e solo ad avere comportato la conclamata manifestazione della definitiva perdita della funzionalità dell'arto, l'incongruo riduttivo ruolo di una conferma di un quadro clinico, malamente qualificato già chiaro in un tempo precedente in forza di elementi invece non ancora univoci».

Ecco allora l'indebito sconfinamento nel giudizio di fatto.

Quel che la sentenza mostra di non considerare in ordine all'oggetto del sindacato di legittimità è la distinzione che corre tra la decisione e la giustificazione.

Ben vero la rilevanza di una simile distinzione è talora negata in dottrina, ma in base a un approccio ideologico del tutto minoritario, teso a ritenere – oltre la norma regolatrice e oltre la funzione istituzionale della Corte di unificazione del diritto e di guida della giurisprudenza - che sia compito di questa garantire che la decisione di merito sia infine anche quella “giusta”.

Così non è.

Nonostante un simile esito possa ritenersi in certa misura auspicabile, va confermato che intanto il controllo sul giudizio di fatto può rimanere ancorato ai limiti del sindacato di legittimità, in quanto quel controllo non si estenda surrettiziamente dalla giustificazione alla decisione.

E questo è del tutto ovvio, giacché il vizio di motivazione (id est, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti) è estraneo alla rigida alternativa tra vizi in procedendo e vizi in iudicando, come ben si capisce ove che si tenga conto che il vizio deve risultare dal testo della sentenza: donde si tratta di un ibrido, atteso che nessun vizio in procedendo tollera di essere accertato nei limiti di ciò che risulta dal testo; ed egualmente l'errore in iudicando, soggetto al principio iura novit curia, è sempre autonomamente apprezzabile, nei limiti ovviamente delle censure consegnate ai motivi di ricorso e salvo che non richieda separati accertamenti in fatto.

Il vizio di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. corrisponde invece a un ibrido appunto perché esula dall'alternativa costruita attorno alle categorie dei vizi della decisione (errores in procedendo o errores in iudicando).

L'unica eccezione è data dal caso in cui la motivazione sia del tutto mancante sotto l'aspetto materiale e grafico, o sia solo apparente, o sia incomprensibile e risolva in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili; nella quale ipotesi peraltro sarebbe da soppesare la nullità della sentenza come atto processuale in sé e per sé considerato (art. 132 c.p.c.), il che nella specie non era stato dedotto.

Giammai sarebbe possibile farne derivare, come invece la sentenza sostiene, una falsa applicazione della norma di diritto sostantivo che presidia l'istituto sottostante (la prescrizione o la sua decorrenza).

Guida all'approfondimento
  • Calogero, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, Padova, 1937.
  • Taruffo, La motivazione della sentenza civile, Padova 1975.
  • Evangelista, Motivazione della sentenza civile, in Enc. Dir., XXVII, Milano 1977.
  • Bove, Il sindacato della Corte di cassazione. Contenuto e limiti, Milano 1993.
  • Taruffo, Legalità e giustificazione della creazione giudiziaria del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001.
  • Bove, Giudizio di fatto e sindacato della Corte di cassazione: riflessioni sul “nuovo” art. 360, n. 5, c.p.c., in Giusto proc. civ. 2012.
  • Alunni, Vizio logico di motivazione e controllo in Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2015.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario