Decorrenza del termine di prescrizione e prova della manifestazione del danno risarcibile

Francesco Bartolini
29 Settembre 2016

In tema di risarcimento del danno, la parte che eccepisce la prescrizione ha l'onere di dimostrare il “dies a quo” della decorrenza del termine di prescrizione.
Massima

In tema di risarcimento del danno, la parte che eccepisce la prescrizione ha l'onere di dimostrare il “dies a quo” della decorrenza del termine di prescrizione, ossia il momento nel quale si sono manifestati all'esterno i danni dedotti in giudizio: la valutazione di detta prova costituisce una “quaestio facti”, incensurabile in sede di legittimità.

Il caso

Nel primo grado del giudizio l'attore ottiene la condanna del convenuto al risarcimento dei danni cagionati ad un immobile di sua proprietà in conseguenza dell'esecuzione di opere di ripristino che il detto convenuto aveva eseguito su un suo adiacente edificio. Nel giudizio di appello il convenuto appellante eccepisce l'avvenuta prescrizione del diritto vantato da controparte, sostenendo che l'azione risarcitoria era stata intrapresa dopo che erano trascorsi dieci anni dall'ultimazione dei lavori indicati quali causa dei pretesi pregiudizi. La Corte d'appello disattende l'eccezione osservando che la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui si manifesta in modo avvertibile l'evento dannoso; in assenza di qualsiasi allegazione in senso contrario da parte del convenuto, onerato della relativa prova, doveva considerarsi come affidabile il momento temporale indicato dall'attore, di molto successivo alla detta conclusione dei lavori. Con il ricorso per cassazione lo stesso convenuto denuncia:

  • erronea individuazione della data di decorrenza della prescrizione dell'azione risarcitoria, da considerarsi ormai maturata;
  • falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., poichè l'eccezione proposta aveva trovato dimostrazione in atti e non era stata specificamente contestata ex adverso;
  • omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La questione e le soluzioni giuridiche

Sull'assunto del ricorrente, secondo cui la Corte d'appello aveva erroneamente individuato il momento di decorrenza del termine prescrizionale del diritto azionato dall'attore, la Corte di cassazione ha osservato che la giurisprudenza si è consolidata nell'affermare che in materia di risarcimento del danno il termine di prescrizione dell'azione decorre non dal momento in cui il fatto del terzo cagiona “ontologicamente” l'evento lesivo bensì da quello in cui il pregiudizio diventa oggettivamente percepibile e riconoscibile. Spetta alla parte che propone l'eccezione l'onere di provare che lo specifico danno dedotto in giudizio si è manifestato in epoca idonea a far ritenere fondata la proposizione difensiva. La valutazione di questa prova, si è aggiunto, si risolve in una quaestio facti, come tale non censurabile in sede di legittimità.

In ordine al motivo di ricorso costituito dalla denuncia di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360 nella formulazione vigente al tempo, nella pronuncia si è rilevato che a sostegno del gravame erano state proposte, in realtà, allegazioni orientate ad evidenziare errores in procedendo e prive di specificità.

Osservazioni

La chiara e succinta motivazione della pronuncia della Corte di cassazione richiama principi di costante applicazione nella giurisprudenza di legittimità e dei quali aveva fatto corretta applicazione già la Corte d'appello nella vicenda processuale in oggetto.

Sullo specifico tema dell'eccezione di prescrizione, tali principi, in ordine logico, sono i seguenti. Chi eccepisce un fatto estintivo, impeditivo, preclusivo della domanda altrui deve allegare gli elementi necessari ad apprezzare il contenuto dell'eccezione e di essi deve fornire la prova.

Se l'eccezione ha ad oggetto l'asserita prescrizione del diritto azionato, la prova deve riguardare la durata temporale occorrente a maturarla e l'inerzia del titolare. Infine, nel caso particolare in cui vi è intervallo temporale tra la condotta che si indica come lesiva e la manifestazione concreta del danno, la decorrenza della prescrizione inizia dal momento di questa ravvisabilità all'esterno. In proposito non v'è che da constatare come gli aspetti così ricordati non siano altro che applicazioni di una esigenza di coerenza prima ancora che di regole giuridiche. Spetta, infatti, a colui che afferma (ei qui dicit) dimostrare il fondamento di quanto sostiene, sia egli l'attore o sia il convenuto (e salvo il così detto principio di non contestazione). Se si eccepisce che un determinato diritto non è stato esercitato per tutto il tempo utile alla prescrizione, questa circostanza costituisce l'oggetto della prova da fornire. E poiché la prescrizione implica l'inerzia del titolare del diritto e la sanziona, la sua decorrenza non può che coincidere con il momento nel quale costui, avendo la conoscenza necessaria e la possibilità di farlo, resta inattivo. La questione avente ad oggetto il decorso della prescrizione allorchè esiste un intervallo temporale tra il comportamento che è indicato quale causa del danno e l'apprezzamento all'esterno di questo danno è stata risolta nell'unico modo avente senso, ovvero tenendosi conto del presupposto della prescrizione estintiva, fondata sull'incuria di chi trascura di esercitare il proprio diritto.

La pronuncia della Corte di cassazione ricorda in motivazione i precedenti conformi: Cass. civ., 19 marzo 2012, n. 4366; Cass. civ., 21 giugno 2011, n. 13616; Cass. civ., 29 agosto 2003, n. 12666; Cass. civ., 13 dicembre 2002, n. 17832.

Quest'ultima decisione era stata così massimata: «In tema di prescrizione dell'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. e in ipotesi di fatto lesivo suscettibile di produrre un progressivo aggravamento del danno originario, il termine di cui all'art. 2947 c.c. decorre dal momento in cui si manifesta l'iniziale danno nella sfera giuridica altrui. In tale caso, la parte che eccepisce la prescrizione ha l'onere di provare che gli specifici danni dedotti in giudizio si sono manifestati in epoca idonea a far ritenere fondata l'eccezione medesima; e la relativa valutazione della prova concreta una mera quaestio facti, come tale non censurabile in sede di legittimità». Dunque gli elementi occorrenti per valutare se insistere nella causa con un ricorso per Cassazione erano già tutti disponibili, per il convenuto sconfitto anche in appello, in un senso che avrebbe dovuto sconsigliare il successivo gravame. Già la citata Cass. civ. n. 12666/2003 aveva precisato che, qualora la percezione del danno non sia manifesta ed evidente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito (così come quello da responsabilità contrattuale) sorge non dal momento in cui il fatto del terzo determina il danno all'altrui diritto bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile. In punto di fatto, sono equiparabili alle situazioni nelle quali esiste divario tra azione lesiva e apparenza del danno quelle nelle quali il danno è progressivo: quando esso, dapprima latente, giunge poi a rivelarsi esteriormente in proporzioni tali da renderlo oggettivamente riscontrabile e non più dubitabile. Anche a questo proposito vale la regola secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre da quando il danneggiato, con l'uso della ordinaria diligenza, è posto in grado di avere conoscenza dell'illecito, del danno e della derivazione causale dell'uno dall'altro (Cass. civ., n. 13616/2011 citata). L'originaria non conoscibilità del danno, che si mostri nel tempo, certamente non costituisce una ragione perché il titolare del diritto offeso eviti gli effetti della prescrizione a suo danno. Egli è tenuto ad un comportamento osservante, a tutela del suo interesse; ma questo comportamento può essergli addebitato dal momento nel quale esistono gli elementi di fatto occorrenti ad avvertire la lesione subita.

Va avvertito che la giurisprudenza ha poi completato i principi sopra riferiti e ne ha precisato, con qualche modifica, l'applicazione. La diversa durata dei termini occorrenti a far maturare la prescrizione ha fatto sorgere il problema di stabilire se le indicazioni di durata del termine, e quindi del tipo di prescrizione che si invoca, siano elementi necessari della formulazione dell'eccezione. Le sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. civ., sez. un., 25 luglio 2002, n. 10955) affermarono che la valutazione della durata del termine spetta al giudice, in quanto questione che attiene al diritto. Compete alla parte allegare e provare l'elemento costitutivo della sua eccezione, dato dall'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio e dalla volontà di approfittare dell'effetto ricollegato dall'ordinamento ad una siffatta e protratta inerzia; mentre la determinazione della durata e della natura della prescrizione configura una quaestio juris sulla identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale applicabile. In tal senso si sono pronunciate, tra altre, Cass. civ., 20 gennaio 2014, n. 1064; Cass. civ., 21 marzo 2013, n. 7130; Cass. civ., 22 ottobre 2010, n. 21752. Su questa strada si era giunti ad affermare che anche l'individuazione del momento iniziale e del momento finale di decorrenza del termine configura una questione di diritto rimessa al giudice (Cass. civ., 22 maggio 2007, n. 11843): ma sempre sul presupposto che per l'individuazione di questi dati temporali la parte interessata abbia fornito gli indispensabili elementi da apprezzare in fatto e ne abbia dato prova.

Per verità, nella vicenda processuale di specie il ricorrente aveva cercato di superare l'applicazione dei principi di cui sopra (a lui sfavorevoli) con l'asserire che la Corte territoriale aveva erroneamente individuato il momento di decorrenza della eccepita prescrizione, posto che in atti era stata fornita la prova di una decorrenza diversa, retrodatata e significativa ai fini di far ritenere la detta prescrizione ormai compiuta. Al riguardo è stato opposto che l'asserzione mancava della specifica indicazione dei dati occorrenti a valutarla e che, se si chiedeva una rivalutazione dell'apprezzamento delle prove, la relativa questione implicava un apprezzamento di puro fatto, non effettuabile in sede di giudizio di legittimità. La Corte ha dato atto che nelle difese della parte ricorrente si rimandava a una certa pagina di una consulenza d'ufficio: ma l'art. 366 c.p.c. richiede che della documentazione rilevante sia fatta trascrizione nel ricorso o sia offerta indicazione precisa e tale da evitare che debba essere esplorato il fascicolo processuale. Si è, sul punto, precisato dalla giurisprudenza che il ricorrente per cassazione, intenzionato a dolersi dell'erronea valutazione di documenti da parte del giudice di merito, ha un duplice onere, ai sensi del ricordato art. 366, impostogli a pena di inammissibilità del ricorso: indicare esattamente nell'atto introduttivo in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di apprezzare la fondatezza del motivo senza dover procedere all'esame dell'incarto processuale (così, ad esempio, Cass. civ., 12 dicembre 2014, n. 26174).

Né è valso dedurre come motivo di ricorso l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, individuato dal ricorrente nel momento in cui era sorto per l'attore il diritto al risarcimento del danno. In proposito va ricordato che il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella l. 7 agosto 2012, n. 134, ha modificato il n. 5 del primo comma dell'art. 360 c.p.c. nel senso che costituisce motivo di ricorso per cassazione l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. L'innovazione interveniva a mutare una disposizione che riguardava i vizi di motivazione del provvedimento da impugnare ed è stata intesa in un senso di continuità con il suo dettato precedente. La giurisprudenza accenna esplicitamente ad un motivo di gravame che si risolve nella denuncia di una anomalia motivazionale, sia pure rilevante nel limitato caso della completa omissione di una pronuncia sul punto decisivo. Le Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053) hanno precisato che l'omissione deve avere ad oggetto un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con l'avvertimento, però, che l'omissione in argomento non si identifica nell'omesso esame di atti istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. Nella vicenda processuale di specie la Corte d'appello aveva espressamente assunto ad oggetto delle proprie argomentazioni la questione concernente il momento di decorrenza iniziale della prescrizione del diritto attoreo, in una situazione nella quale si era manifestata una discrasia temporale tra i lavori edilizi del convenuto e l'apparire dei danni lamentati nell'atto di citazione in giudizio.

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