La successione nel diritto di credito nel corso del processo esecutivo per espropriazione non esclude la legittimazione processuale del creditore originario

Cesare Trapuzzano
27 Settembre 2017

La pronuncia in commento affronta il tema della disciplina del fenomeno successorio nel processo esecutivo.
Massima

In pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c., continua tra le parti originarie; pertanto, in caso di cessione del diritto di credito per il quale è stato promossa espropriazione forzata, il cedente mantiene la legittimazione attiva ad causam a proseguire il processo, salvo che il cessionario si opponga.

Il caso

I due debitori esecutati, nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare, proponevano il giudizio incidentale di cognizione avente ad oggetto opposizione all'esecuzione, contestando la legittimazione attiva ad causam dell'originaria creditrice esecutante, che aveva continuato in proprio a dare impulso alla procedura esecutiva sebbene, in pendenza di esecuzione, avesse ceduto il proprio credito ad un terzo, il quale – a sua volta – aveva conferito al cedente mandato ad agire in executivis, senza che la cessionaria si fosse costituita in giudizio. Sia in primo grado, il Tribunale di Tivoli, sia in sede di gravame, la Corte d'appello di Roma, respingevano l'opposizione. In particolare, il giudice dell'impugnazione affermava il principio secondo cui al processo esecutivo avrebbe trovato applicazione l'art. 111 c.p.c., con l'effetto che, anche all'esito del trasferimento del diritto di credito da parte dell'esecutante, il processo esecutivo avrebbe potuto continuare tra le parti originarie. Tanto più che il conferimento del mandato confermava la volontà della cessionaria di permettere tale prosecuzione. Avverso tale decisione era proposto ricorso in cassazione da parte degli esecutati, fondato su due motivi, cui resisteva con controricorso la cessionaria del credito e per essa la sua mandataria.

La questione

Con entrambi i motivi le ricorrenti denunciavano violazione e falsa applicazione dell'art. 111 c.p.c., così come interpretato dalla sentenza di Cass. n. 9211/2001 (primo motivo), nonché così come interpretato nel caso di specie dalla Corte d'appello, che – pur reputando rilevante il mandato ad agire in executivis conferito dalla cessionaria alla cedente - nondimeno non aveva considerato che invece quest'ultima aveva proseguito il processo esecutivo in proprio, e non nella qualità di mandataria (secondo motivo).

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in commento ha reputato infondati entrambi i motivi di ricorso proposti, sulla base del quadro di fatto incontestato della vicenda portata all'attenzione dei giudicanti: ossia che la cessione del credito era intervenuta quando il processo esecutivo per espropriazione era in corso; questo è stato iniziato e proseguito dalla creditrice originaria, in proprio, pur avendo essa ricevuto mandato ad agire in executivis per conto della cessionaria.

In punto di diritto, la Corte di Cassazione ha fatto proprio l'orientamento giurisprudenziale risalente secondo cui, in pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c., dettato per il giudizio contenzioso, ma applicabile anche al processo esecutivo, continua tra le parti originarie, con la conseguenza che l'alienante mantiene la sua legittimazione attiva ad causam (così già Cass. civ., sez. III, 15 settembre 1995, n.9727; ed inoltre, tra le tante, Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2004, n. 4985; Cass. civ., sez. III, 1 luglio 2005, n.14096; Cass. civ., sez. III, ord.,24 gennaio 2011, n. 1552; Cass. civ., sez. III,16 novembre 2011, n. 23992; Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2013, n. 8936; e da ultimo Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7780). In particolare, la Corte ha ribadito il corollario che dal principio di cui sopra è stato tratto da Cass. n. 4985/2004, in forza del quale, quando la cessione del credito avviene a processo esecutivo iniziato e, in accordo con il cessionario, è l'originario creditore a proseguirlo, da un canto, il debitore deve rivolgere le sue opposizioni contro la parte che procede; d'altro canto, dovendo i principi evincibili dall'art. 111 c.p.c. essere adattati alle caratteristiche proprie del processo esecutivo (per cui la soluzione di determinate questioni incidentali avviene, anziché nell'ambito dello stesso processo, in distinti giudizi di cognizione, quali quelli volti a decidere sulle questioni concernenti l'estinzione, le opposizioni esecutive e le controversie sulla distribuzione del ricavato), deve conseguentemente riconoscersi, ferma restando la prosecuzione del processo stesso tra le parti originarie, la possibilità per il cessionario di svolgere le attività processuali inerenti all'indicato subingresso nella qualità di soggetto passivo, e quindi (anche) la facoltà di intervenire, ai sensi dell'art. 111, quarto comma, c.p.c., nel giudizio di cassazione, pur non avendo spiegato intervento in primo grado, e pur essendo subentrato nella titolarità del diritto controverso prima che l'opposizione fosse proposta (essendo all'epoca il processo esecutivo già iniziato).

L'ordinanza ha altresì confutato le obiezioni mosse dalle ricorrenti in ordine all'asserito precedente contrario di cui alla pronuncia di Cass. n. 9211/2001. Al riguardo, la Cassazione ha precisato che la sentenza richiamata è riferita all'esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare (c.d. esecuzione diretta), mentre la giurisprudenza innanzi evocata riguarda l'esecuzione per espropriazione. Poiché le vicende successorie nell'uno o nell'altro dei due processi si atteggiano diversamente (come evidenziato, tra l'altro, dal precedente di Cass. n. 3643/2013), quanto affermato in riferimento all'esecuzione diretta non (sempre) è utilizzabile in riferimento all'esecuzione per espropriazione. Ancora, il giudice di legittimità ha affermato che il riferimento anche nella materia dell'espropriazione immobiliare alla necessità che il successore manifesti la sua volontà per la prosecuzione del processo esecutivo, ove la parte obbligata sollevi la questione (Cass. n. 4985/2004; Cass. n. 1552/2011), deve essere inteso come mera necessità che non risulti l'opposizione del successore alla prosecuzione del processo esecutivo. La Corte ha pertanto concluso che, quando si tratti di successione nel diritto di credito per il quale è stato iniziato un processo esecutivo per espropriazione, la questione della legittimazione ad agire in executivis deve essere risolta attribuendo la stessa anche al cedente, che ben può proseguire nell'esecuzione, salvo che il cessionario non si opponga. In aggiunta, nel caso di specie, come rilevato dal giudice di merito, non solo non vi era opposizione della cessionaria, ma questa aveva anche rilasciato alla cedente un mandato ad agire in executivis per suo conto: anche se questo potere rappresentativo non è stato esercitato, il suo riconoscimento da parte del successore a titolo particolare è significativo del consenso alla prosecuzione dell'azione esecutiva iniziata per recuperare il credito oggetto di cessione.

Per tali ragioni il ricorso è stato rigettato.

Osservazioni

Il tema affrontato dalla pronuncia in commento, circa la disciplina del fenomeno successorio nel processo esecutivo, esige una previa delimitazione delle fattispecie rilevanti. In particolare, occorre distinguere le seguenti ipotesi:

a) che la successione si sia verificata dopo la formazione del titolo esecutivo e prima dell'inizio dell'esecuzione oppure nel corso del processo esecutivo;

b) che la successione attenga alla parte attiva (creditrice esecutante) o alla parte passiva (debitrice esecutata);

c) che la successione riguardi l'esecuzione per espropriazione ovvero l'esecuzione in forma specifica.

L'ipotesi della successione dopo la formazione del titolo e prima che l'esecuzione forzata abbia inizio è specificamente regolata, sia dal lato attivo, sia dal lato passivo, da due norme, ossia dagli artt. 475, secondo comma, e 477 c.p.c. In ordine alla prima disposizione, il legislatore puntualizza che la spedizione del titolo in forma esecutiva può avvenire soltanto per la parte a cui favore è stato pronunciato il provvedimento giudiziale (ove si tratti di titolo esecutivo giudiziale) o stipulata l'obbligazione (ove si tratti di titolo esecutivo stragiudiziale), o per i successori di tale parte, con indicazione in calce della persona alla quale il titolo è spedito. Secondo l'indirizzo dominante, la norma si riferisce a qualsiasi beneficiario, sia questi successore a titolo particolare o universale, per atto inter vivos o mortis causa, sulla scorta della mera affermazione del successore circa l'integrazione del fenomeno successorio, e ciò per evidenti ragioni di economia processuale, poiché altrimenti l'avente causa dovrebbe procurarsi un nuovo titolo, oltre che per l'inidoneità dell'ufficiale giudiziale ovvero del pubblico ufficiale a verificare l'effettiva ricorrenza di tale fenomeno. Piuttosto, la verifica è postergata nella sede a ciò fisiologicamente deputata: qualora l'esecutato, all'esito della spedizione del titolo e dell'apertura dell'esecuzione, ritenga di contestare l'effettiva integrazione del fenomeno successorio, potrà spiegare contro il successore un giudizio di opposizione all'esecuzione, volto all'accertamento dell'esistenza della successione. Pertanto, con riferimento alla fase precedente all'avvio dell'esecuzione, dal lato attivo, con particolare riguardo all'espropriazione forzata, in ragione dei limiti soggettivi del giudicato, l'art. 2909 c.c. estende l'efficacia soggettiva del giudicato a tutti gli aventi causa (per fatto posteriore alla domanda) delle parti fra le quali fu emessa la sentenza, comprendendo in essi i successori a titolo universale e a titolo particolare, a causa di morte o per atto tra vivi. Tale estensione riguarda non solo il giudicato sostanziale, ma anche la legittimazione a chiedere e ad ottenere il rilascio della copia in forma esecutiva e ad eseguire la sentenza, con la conseguenza che, passata in giudicato la sentenza emessa fra le parti originarie del rapporto controverso, anche l'avente causa a titolo particolare della parte vincitrice non è tenuto, né legittimato a riproporre l'azione di condanna verso l'altra parte, così come non può promuovere un'azione di accertamento della propria legittimazione ad eseguire la sentenza medesima (Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1981, n. 610). Dal lato passivo, invece, sempre nella fase compresa tra la formazione del titolo esecutivo e l'inizio dell'esecuzione forzata, l'art. 477 c.p.c. stabilisce che il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi. Secondo l'interpretazione prevalente, anche tale disposizione trova applicazione ad ogni ipotesi di successione, sulla scorta della mera affermazione del creditore procedente in ordine all'integrazione della successione nella posizione dell'esecutato. Il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli enti (ed anche contro i successori a titolo particolare), ma si può loro notificare il precetto soltanto dopo dieci giorni dalla notificazione del titolo. Occorre, cioè, notificare agli enti il titolo esecutivo, anche se questo in precedenza fu notificato al de cuius (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 1972, n. 2196). Qualora si tratti di titolo che legittima all'esecuzione in forma specifica, la sentenza di condanna, pronunciata nei confronti del dante causa, ha efficacia di titolo esecutivo altresì nei confronti dell'avente causa, che abbia acquistato dopo la formazione del giudicato, per atto tra vivi a titolo particolare, il bene assoggettato all'esecuzione. Ove, tuttavia, il trasferimento del bene sia avvenuto prima dell'inizio del processo di esecuzione forzata di obblighi di fare, la legittimazione passiva all'azione esecutiva spetta esclusivamente a chi, tra l'alienante condannato e l'acquirente del diritto, abbia la materiale disponibilità della cosa e possa, perciò, realizzare il risultato dovuto in base al titolo (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3643).

Qualora, per converso, la successione si realizzi in pendenza del processo esecutivo, la tesi prevalente in giurisprudenza, e accolta dall'ordinanza in commento, reputa che la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente, ossia dal lato attivo, non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c., dettato per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo, continua tra le parti originarie, con la conseguenza che l'alienante mantiene la sua legittimazione attiva ad causam, conservando tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare, fino a quando non sia estromesso con il consenso delle altre parti; nel caso affrontato dalla pronuncia di legittimità che ha sancito il principio, il creditore aveva ceduto il suo diritto in pendenza del processo esecutivo da lui promosso per la realizzazione del suo credito (Cass. civ., sez. III, 15 settembre 1995, n. 9727). Ne consegue che, in pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente, alla stregua del principio stabilito dall'art.111 c.p.c., comporta che il titolo esecutivo spiega la sua efficacia in favore del titolare del credito e di tutti i suoi successori, siano essi a titolo universale o a titolo particolare. Pertanto, il successore nel titolo fatto valere quale titolo esecutivo, come non ha l'obbligo di dimostrare neppure documentalmente la sua posizione al soggetto che deve spedire il titolo in forma esecutiva (v. art. 475 c.p.c.), allo stesso modo non deve farlo fuori di questa situazione, quando il debitore non contesti questa qualità attraverso un giudizio di accertamento negativo in sede di opposizione all'esecuzione (Cass. civ., sez. III, 1 luglio 2005, n. 14096; Cass. civ., sez. III, 16 novembre 2011, n. 23992). Sicché la successione dal lato attivo non importa l'improcedibilità del processo esecutivo, né preclude al cessionario la facoltà di intervenire nel processo medesimo (Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2011, n. 1552). E ciò sebbene la situazione giuridica vantata dal cedente non si identifichi integralmente con la situazione giuridica di cui è titolare il cessionario, essendo piuttosto le due situazioni legate da una relazione di pregiudizialità-dipendenza: pur subentrando il cessionario, per effetto del fenomeno traslativo, nella situazione giuridica soggettiva del cedente, il diritto di credito del cessionario non è il medesimo diritto di credito del cedente, posto che i soggetti sono elemento costitutivo del rapporto obbligatorio. Con riferimento al quomodo dell'intervento del cessionario in materia di esecuzione forzata, in caso di cessione del credito in pendenza di processo esecutivo, il cessionario che eserciti la facoltà di intervenire in giudizio, ai sensi dell'art. 111, terzo comma, c.p.c., non è tenuto al deposito di un nuovo ricorso, contenente gli elementi previsti dall'art. 499, secondo comma, c.p.c., ma può manifestare la volontà di subentrare in luogo del cedente, dando prova del negozio di cessione ed avvalendosi dell'assistenza di un difensore munito di procura alle liti, con qualsiasi modalità che risulti idonea a non ledere i diritti del debitore o degli altri creditori (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7780). La forma dell'intervento non deve essere necessariamente quella scritta, come è prescritto per l'ammissibilità dell'intervento degli ulteriori creditori del debitore esecutato, oltre al creditore procedente, ma può avvenire anche oralmente mediante trascrizione a verbale, alla luce del principio della libertà delle forme, di cui all'art. 121 c.p.c., per cui nel silenzio della legge può essere utilizzata la forma più idonea per raggiungere lo scopo. Al riguardo, la forma scritta, in tanto si giustifica in quanto si intenda ampliare l'oggetto dell'esecuzione individuale ad un credito nei confronti del debitore esecutato che non ne faccia ancora parte; per cui, laddove intervenga il cessionario, poiché egli non amplia in alcun modo l'oggetto del processo esecutivo, ma solo si limita a subentrare in una domanda (quella di partecipazione alla distribuzione del ricavato) già proposta, cade la ratio giustificativa della forma del ricorso. D'altro canto, la norma di cui all'art. 111 c.p.c., sebbene sia stata specificamente concepita per il processo di cognizione, ricade nel libro I del codice di rito, che detta le disposizioni generali a qualsiasi tipologia di processo, sicché, attraverso gli opportuni adattamenti, trova applicazione anche al processo esecutivo (pure la giurisprudenza di merito è orientata nello stesso senso: cfr. Trib. Milano 10 aprile 2013; Tar Campania - Salerno, sez. I, 4 febbraio 2015, n. 255). La necessità degli adeguamenti si origina dalle formule adoperate dalla norma, che alludono chiaramente al processo di cognizione: riesce difficile, infatti, nel processo di esecuzione, immaginare l'esistenza di un diritto controverso che postula delle posizioni dialetticamente contrapposte nel contraddittorio delle parti ovvero estendere i limiti soggettivi del giudicato ovvero prevedere la facoltà di impugnare la sentenza anche da parte del successore a titolo particolare, malgrado non sia intervenuto. Per l'effetto, deve ritenersi, in linea con l'orientamento espresso dall'arresto in commento, che – ove nel corso del processo esecutivo si trasferisca il diritto del creditore procedente per atto tra vivi a titolo particolare – il processo stesso prosegue tra le parti originarie. Ove il trasferimento a titolo particolare avvenga a causa di morte, il processo esecutivo può essere proseguito dal successore universale. In ogni caso, il successore a titolo particolare può intervenire nel processo esecutivo e, in tal caso, con il consenso delle altre parti, l'alienante o il successore universale può esserne estromesso. Gli esiti sfavorevoli dei giudizi incidentali di opposizione e sulla distribuzione del ricavato possono essere impugnati anche dal successore, benché non intervenuto anteriormente Ne discende che, ove il cessionario non manifesti espressamente con un contegno legalmente conoscibile all'esecutato e al giudice dell'esecuzione la sua opposizione avverso la prosecuzione del processo esecutivo, la legittimazione processuale attiva resta in capo al cedente e il fenomeno successorio non può essere posto come motivo fondante di un'opposizione all'esecuzione. Dunque, nel caso di cessione di un credito già azionato esecutivamente, trovano applicazione (sia pure con gli opportuni adattamenti) sia il primo che il terzo comma dell'art. 111 c.p.c.

Più articolato è il nodo connesso alla successione nel corso del processo esecutivo dal lato passivo. Infatti, quando un'analoga successione si verifichi dal lato passivo (ove, cioè, un terzo abbia acquistato, in pendenza dell'esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, il bene pignorato), è applicabile solo il primo comma della citata disposizione (art. 111 c.p.c.), ostando all'applicazione anche del terzo comma il regime di inefficacia delineato dall'art. 2913 c.c. (Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2013, n. 8936). Proprio tale ult. articolo sancisce l'inefficacia nei confronti del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione degli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, fatti salvi gli effetti del possesso in buona fede dei beni mobili non iscritti in pubblici registri. Per analogia, e sempre come effetto dell'insensibilità dell'oggetto pignorato agli atti di disposizione che lo concernono, anche le successioni a causa di morte, quanto meno a titolo particolare, riguardanti i diritti sottoposti a espropriazione, sono inefficaci nei confronti del creditore pignorante o dei creditori intervenuti. Sicché nel caso di successione dal lato passivo nel processo esecutivo per espropriazione certamente il processo prosegue tra le parti originarie, ma il cessionario del bene pignorato non può intervenire in giudizio, poiché la cessione è inefficace nei confronti del creditore procedente e dei creditori intervenuti.

Ancora, qualora si tratti di esecuzione in forma specifica, con successione dal lato attivo in pendenza della procedura esecutiva, la parte obbligata sulla base di un titolo esecutivo può proporre opposizione all'esecuzione per chiedere che sia accertato che l'altra non ha diritto a proseguire l'esecuzione forzata per avere, in pendenza del processo esecutivo, ceduto il diritto della cui esecuzione coattiva si tratta; la pronuncia può avere il solo contenuto di un accertamento negativo del diritto della parte istante a proseguire il processo, se il successore è intervenuto nel processo esecutivo per farlo proseguire o nel giudizio di opposizione dichiarando di volerlo proseguire e, comunque, non ha l'effetto di togliere al successore il diritto di tornare ad iniziare il processo esecutivo sulla base dello stesso titolo, se in seguito lo voglia; sulla base di tali principi, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la legittimazione della parte esecutante a procedere all'esecuzione forzata per la demolizione di una canna fumaria, avendo venduto l'immobile, a tutela della cui proprietà era stata ordinata la demolizione ed avendo i nuovi titolari del bene manifestato la loro intenzione che il processo non proseguisse (Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2001, n. 9211). Pertanto, ove si tratti di esecuzione in forma specifica, la successione nel diritto di credito nel corso dell'esecuzione ha un'efficacia potenzialmente paralizzante della prosecuzione della procedura, salvo che il cessionario non si costituisca dichiarando di volere proseguire il processo, che in tal caso continuerà nei soli confronti del successore. Quindi, nel caso in cui il successore manifesti l'interesse a proseguire il processo esecutivo iniziato dal dante causa, si avrà una sorta di sanatoria degli atti posteriori alla successione compiuti legittimamente dal dante causa, atti che altrimenti verrebbero invalidati dalla sentenza di accoglimento dell'opposizione. Al contrario, nel caso in cui l'avente causa non manifesti alcun interesse alla prosecuzione del processo, l'accoglimento dell'opposizione ex art. 615 c.p.c., oltre ad accertare la sopravvenuta cessazione del diritto a proseguire l'esecuzione forzata del dante causa, impedirà al processo esecutivo di raggiungere la sua naturale conclusione. Mentre nell'esecuzione per espropriazione il processo esecutivo prosegue tra le parti originarie se non emerga la volontà del cessionario di non proseguirlo, nell'esecuzione in forma specifica, per effetto della successione nel diritto di credito, il processo si blocca, salvo che non vi sia la manifestazione espressa di volontà del cessionario di continuare l'azione esecutiva: nell'espropriazione forzata la continuazione è la regola e la chiusura l'eccezione; viceversa nell'esecuzione in forma specifica la chiusura è la regola e la continuazione l'eccezione.

Con riferimento alla successione nell'esecuzione in forma specifica dal lato passivo, qualora la titolarità o il possesso del bene vengano trasferiti nella pendenza del processo esecutivo, gli atti già compiuti contro il dante causa conservano validità nei confronti del successore, rimanendo a quest'ultimo consentito di interloquire sulle modalità dell'esecuzione, anche in sostituzione del primo (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3643). Si noti sul punto che, quando si tratti di esecuzione in forma specifica, è necessario che il soggetto passivo sia nel possesso (o nella detenzione) dei beni su cui incide l'esecuzione al momento in cui il processo si conclude, perché solo allora si realizza effettivamente la pretesa dell'esecutante. Se quindi, nel corso del processo esecutivo, si trasferisce la titolarità del bene, con essa passa senz'altro all'avente causa anche l'obbligo che è inerente al bene ed è possibile che con la titolarità del diritto sul bene - e con l'obbligo - passi all'avente causa anche il possesso del bene stesso. Sicché il processo esecutivo potrà proseguire solo nei confronti dell'effettivo titolare e possessore del bene, attesa l'inapplicabilità della sanzione dell'inefficacia degli atti di alienazione di cui all'art. 2913 c.c., riferita alle sole traslazione dei beni pignorati. Ne discende che in tali casi sarebbe incongruo pretendere che il processo esecutivo prosegua verso l'originario esecutato, poiché l'azione giudiziale non sarebbe in grado di raggiungere il suo scopo. Sicché, ove l'avente causa - possessore attuale del bene non prosegua il processo esecutivo in forma specifica, tale processo deve chiudersi.

Guida all'approfondimento
  • M. Gatti, Estinzione del processo esecutivo, alienazione della res pignorata e intervento nel giudizio di reclamo del terzo acquirente: risulta utile l'applicazione dell'art. 111 c.p.c. ?, in Riv. esec. forz., 2001, 75;
  • A. Lorenzetto Peserico, La successione nel processo esecutivo, Padova, 1983, 171;
  • C. Mandrioli, Legittimazione ad agire in executivis e successione nel credito, in Riv. trim. dir proc. civ., 1957, 1369;
  • C. Mastracchio, Esecuzione forzata - Sulla forma dell'intervento del cessionario del credito nel processo esecutivo, nota a Cass. civ. Sez. III Sentenza, 20 aprile 2016, n. 7780, in Giur. It., 2016, 11, 2382;
  • T. Kofler, Volontà del successore a venir meno del diritto del dante causa a procedere esecutivamente, nota a Cass. civ. Sez. III, 06 luglio 2001, n. 9211, in Corriere giur., 2002, 8, 1044;
  • U. Romagnoli, Considerazioni sulla successione a titolo particolare nel processo esecutivo, in Riv. trim. proc. civ., 1961, 314.

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