Non è obbligatorio l'intervento chirurgico per la rettificazione di attribuzione di sesso

01 Luglio 2016

Ai fini della rettificazione dell'indicazione del sesso e del prenome nell'atto di nascita, non è obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali primari.
Massime

Ai fini della rettificazione dell'indicazione del sesso e del prenome nell'atto di nascita, non è obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali primari.

È ammissibile il cumulo, all'interno di un unico atto di citazione ex art. 163 c.p.c., della domanda di rettificazione del sesso e del nome indicati nell'atto di nascita e della domanda di autorizzazione a sottoporsi ad un intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali primari.

Il caso

Il signor L. ha, sin da quando era bambino, la “disforia di genere”: tale condizione consiste in una incongruenza tra il genere esperito o espresso da un individuo e il genere legalmente assegnato al momento della nascita.

Pur avendo dunque, sotto un profilo biologico, i caratteri sessuali maschili, il signor L. possiede da sempre un'identità di genere femminile: vi è, in altri termini, disarmonia tra “psiche” e “corpo”. Per tale ragione, sin da bambino, il signor L. ha percepito il proprio aspetto esteriore come un ostacolo alla realizzazione di sé.

Nel corso della propria vita, tuttavia, egli ha contratto matrimonio e ha generato tre figlie: a causa delle responsabilità familiari e delle convenzioni sociali, infatti, egli ha represso la propria vera essenza e celato la propria identità, fino a quando tale costrizione non è diventata insopprimibile.

Dopo avere intrapreso un percorso psicologico ed ormonale, dunque, il signor L., con atto di citazione ha domandato al Tribunale di Savona, ex art. 31 d.lgs. n. 150/2011, in primo luogo, l'immediata rettificazione dell'indicazione del nome e del sesso nell'atto di nascita, e in secondo luogo, l'autorizzazione a sottoporsi ad un intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali primari (quest'ultimo da svolgersi, tuttavia, in un momento cronologicamente successivo all'immediata rettificazione anagrafica).

Con la sentenza in commento, il Tribunale ha accolto entrambe le domande.

La questione

Il Tribunale di Savona affronta due questioni:

1) se sia obbligatorio aver effettuato un intervento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali ai fini dell'accoglimento della domanda di rettificazione dell'indicazione del sesso e del nome nell'atto di nascita;

2) se sia possibile cumulare e decidere, all'interno di un unico procedimento civile, sia la domanda di rettificazione dell'atto di nascita, sia quella di autorizzazione a svolgere un intervento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali primari.

Le soluzioni giuridiche

Per quel che concerne la prima questione, va ricordato come il tema dell'obbligatorietà dell'intervento chirurgico ai fini della rettificazione dell'atto di nascita sia stato a lungo dibattuto nella giurisprudenza di merito: ad un orientamento più restrittivo, in base al quale l'adeguamento dei caratteri sessuali primari era ritenuto condizione indefettibile per la rettificazione anagrafica (tra le ultime: Trib. Vercelli, 12 dicembre 2014, n. 159) si è contrapposto uno più “liberale”, consolidatosi in particolar modo nei casi in cui la persona transessuale non poteva sottoporsi ad una operazione medica invasiva degli organi genitali, per ragioni di età o di salute (tra le ultime: Trib. Bari, 10 marzo 2016, n. 1335; Trib. Genova, 5 marzo 2015; Trib. Messina, 4 novembre 2014); di recente, tuttavia, il contrasto è stato ricomposto una volta per tutte dalla giurisprudenza di legittimità: secondo Cass. civ. 20 luglio 2015, n. 15138, infatti, «per ottenere la rettificazione dello stato civile, non occorre più che sia attuato un intervento chirurgico che modifichi i caratteri sessuali primari. La mancata operazione non può infatti essere di per sé ragione sufficiente a escludere il cambio di sesso all'anagrafe, essendo sufficiente dimostrare, attraverso i trattamenti medici e psicologici subiti, la radicalità della scelta intrapresa» ; tale opinione è stata peraltro avallata, a pochi mesi di distanza, da C. Cost. 5 novembre 2015, n. 221.

La sentenza del Tribunale di Savona è dunque tra le prime, nella giurisprudenza di merito, a conformarsi a tale indirizzo: secondo i giudici liguri, infatti, l'esplicazione dell'identità di genere risulterebbe «ingiustificatamente compressa ove la modificazione chirurgica dei caratteri sessuali divenisse presupposto indefettibile della rettificazione degli atti anagrafici, considerato che la modificazione chirurgica potrebbe anche essere foriera di un danno alla salute fisica o psicologica del soggetto, costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 32 Cost.».

Per quel che concerne la seconda questione, va sottolineato come per anni in giurisprudenza si sia ritenuto che la domanda di rettificazione dell'atto di nascita e quella di autorizzazione all'intervento chirurgico dovessero essere promosse con due atti di citazione separati, dando vita a due diversi procedimenti ordinari di cognizione ex art. 163 ss. c.p.c., dai quali dovevano scaturire, conseguentemente, due separate sentenze definitive; in altri termini, il procedimento doveva essere necessariamente “bifasico” (così, recentemente: Trib. Udine, 28 febbraio 2013x).

La decisione del Tribunale di Savona si segnala invece perché ammette, per la prima volta, in maniera del tutto condivisibile, un procedimento “unificato”: il quale, dunque, scaturisce da unico atto di citazione, si dipana attraverso un'unica fase istruttoria, e si conclude mediante un'unica sentenza, divisa in due capi decisori (il primo che ordina la rettificazione anagrafica e il secondo che autorizza l'intervento chirurgico).

Osservazioni

I profili processuali affrontati nella sentenza in commento sono senza dubbio meritevoli di attenzione: e infatti, dall'assunto in base al quale non è più necessario sottoporsi ad un intervento chirurgico per ottenere la rettificazione dell'atto di nascita, discendono conseguenze assai significative soprattutto su un piano di rito. La procedura si pone come strumento di attuazione rapida ed economica del diritto sostanziale e da quest'ultimo viene, quindi, inevitabilmente, influenzata.

Sotto un profilo pratico, va allora sottolineato come nel caso in cui un soggetto intenda ottenere sia la rettificazione dell'atto di nascita, sia l'autorizzazione ad eseguire un intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali, il procedimento dovrà svolgersi come segue: dovrà essere notificato al Pubblico ministero e, eventualmente, al coniuge, ex art. 31 comma 3 d.lgs. n. 150/2011 un unico atto di citazione, all'interno del quale si dovranno proporre, congiuntamente, due domande principali, ovverosia, in primo luogo, la domanda di rettificazione degli atti di stato civile, e in secondo luogo, la domanda di autorizzazione all'esecuzione dell'intervento chirurgico (naturalmente, soltanto laddove ritenuto “necessario” dalla parte attrice per garantire il proprio benessere psicofisico).

Le due domande, seppur distinte e autonome, sono cumulabili perché fondate sulla medesima causa petendi (il disallineamento tra “corpo” e “psiche” di parte attrice, ovverosia la condizione personale di disforia di genere dalla medesima vissuto) e vi è, naturalmente, altresì, identità di soggetti: si versa, dunque, in un caso di c.d. “connessione forte” tra cause, ex artt. 103 e 104 c.p.c..

Si tratta di una soluzione assai vantaggiosa su un piano di economia processuale, e quindi conforme al principio di ragionevole durata del processo consacrato dall'art. 111 Cost.: esperire un solo procedimento ordinario di cognizione, ex art. 163 c.p.c., anziché due, produce, come intuibile, un significativo risparmio di energie per il difensore tecnico – che può dunque redigere un unico atto introduttivo, da iscrivere al ruolo una sola volta, con la formazione di un unico fascicolo d'ufficio etc… – e di costi economici per la parte.

Da ultimo, va ricordato che nel procedimento in esame non è invece cumulabile una terza domanda, quella di scioglimento degli effetti civili del matrimonio: e infatti, l'art. 3, lett. g), l. n. 898/1970, stabilisce che «lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi […] nei casi in cui […] è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso”; in altri termini, sarà necessario che la sentenza di rettificazione dell'atto di nascita passi in giudicato ex art. 2909 c.c. per poter promuovere, all'interno dell'apposito procedimento speciale, domanda di divorzio (il quale peraltro nemmeno potrà essere più disposto d'ufficio dal giudice, a seguito di Cass. civ. 22 aprile 2015, n. 8097).

Guida all'approfondimento

F. Bilotta, Transessualismo (voce), in Dig. disc. priv., Sez. Civ., Torino, 2013, 732 e ss.;

G. Cardaci, Per un “giusto processo” di mutamento di sesso, in Riv. dir. fam. e pers., 2015, 4, 1459 ss.;

A. Lorenzetti, Diritti in transito. La condizione giuridica delle persone transessuali, Milano, 2013;

S. Patti, Trattamenti medico-chirurgici e autodeterrninazione della persona transessuale. A proposito di Cass., 20.7.2015, n. 15138, in Nuova giur. civ. commentata, 2015, 11, pt. 2, 643 ss.

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