Al minore non possono essere imposti gli incontri con i genitori

Marta Rovacchi
03 Gennaio 2017

Il tema del rapporto tra l'effettiva tutela dell'esercizio della responsabilità genitoriale, della bigenitorialità e della volontà del minore è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in modo non sempre univoco e conforme.
Massima

L'individuazione delle concrete modalità del regime di visita deve sempre avvenire avendo come parametro principale di riferimento l'interesse superiore del minore e non può prescindere dalla considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto e, in particolare, dell'età del figlio minore.

Il caso

A distanza di quattro anni dalla separazione consensuale, durante le quali le parti avevano previsto un ampio diritto di visita tra la figlia minore ed il padre non collocatario, quest'ultimo adiva il Tribunale lamentando il rifiuto della figlia di incontrarlo.

Il padre attribuiva tale atteggiamento al condizionamento posto in atto dalla madre sulla minore e, pertanto, chiedeva disporsi CTU finalizzata ad accertare le motivazioni per le quali la figlia rifiutava di incontrarlo, ivi comprendendo la verifica del nesso causale tra tale rifiuto e le condotte poste in essere dalla madre e, quindi, di assumere ogni provvedimento volto a consentire al padre di esercitare la propria responsabilità genitoriale nei confronti della figlia.

La madre, costituendosi in giudizio, in via riconvenzionale chiedeva che gli incontri tra la minore ed il padre venissero previsti nel rispetto della volontà della minore.

Il Tribunale disponeva l'audizione della minore, di 15 anni: espletato l'incombente dell'ascolto, non riteneva necessaria alcuna attività istruttoria e decideva di conseguenza.

La questione

Il tema del rapporto tra l'effettiva tutela dell'esercizio della responsabilità genitoriale, della bigenitorialità e della volontà del minore è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in modo non sempre univoco e conforme.

Indubbiamente, il tema è alquanto delicato: si tratta, infatti, di verificare e decidere se, laddove il minore manifesti un netto rifiuto a vedere il genitore ed abbia un'età preadolescenziale, come in questo caso, sia opportuna la compressione del diritto del genitore alla frequentazione del figlio per realizzare il suo supremo interesse.

Pertanto, espletata l'audizione del minore e valutata la sua portata, è da accogliersi la domanda del padre di disporsi CTU finalizzata ad accertare le motivazioni per le quali la figlia rifiuta di incontrare il padre?

É ammissibile che la CTU richiesta comprenda la verifica del nesso causale tra tale rifiuto e le condotte poste in essere dalla madre, ritenuta dal ricorrente responsabile di avere influenzato la volontà della figlia?

Può, dunque, il Tribunale adito assumere ogni provvedimento volto a consentire al padre di esercitare la propria responsabilità genitoriale nei confronti della figlia?

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie, il Tribunale Torinese respinge le istanze del padre.

Le motivazioni poste a fondamento del rigetto si concentrano sulla espressa volontà della figlia quindicenne che, in sede di audizione, confermava il suo desiderio di continuare a non avere con il padre alcun rapporto, se non costituito da quegli sporadici incontri che fino a quel momento aveva avuto con lui.

La ragazzina giustificava la sua volontà attraverso la descrizione della figura genitoriale paterna, vissuta come prepotente e aggressiva, tanto da non farla sentire a proprio agio e causarle uno stato di ansia ogni qualvolta lo doveva incontrare.

A fronte della chiara ed inequivocabile posizione assunta dalla minore, il Tribunale ha ritenuto di non dovere, né potere assumere provvedimenti impositivi né dal punto di vista processual-istruttorio, né da quello riguardante, nel merito, i rapporti tra la minore ed il genitore.

La CTU, infatti, secondo i giudici non costituirebbe lo strumento idoneo e funzionale all'attuazione del diritto del genitore al mantenimento del legame con il figlio e, contemporaneamente, non concretizzerebbe una proficua ed effettiva bigenitorialità in capo alla minore, in quanto imposta e non frutto, come invece dovrebbe essere, di una spontanea elaborazione relazionale volta ad un autentico e consapevole recupero di un rapporto sereno a vantaggio dell'equilibrata crescita della figlia.

L'istanza di CTU veniva inoltre respinta anche in quanto non demandabile al consulente l'accertamento dei motivi dell'interruzione dei rapporti tra padre e figlia che il ricorrente aveva posto alla base della sua domanda di condanna della convenuta alle sanzioni di cui all'art. 709-ter c.p.c.: ciò in quanto, non risultando provati dal ricorrente i fatti riconducibili alle condotte ritenute alienanti da parte della madre, rimanendo doglianze generiche ed insufficienti, il CTU avrebbe dovuto supplire alle carenze dell'onere di allegazione della parte.

I Giudici hanno pertanto ritenuto non raggiunta la prova della riconducibilità dell'interruzione dei rapporti tra padre e figlia alla condotta alienante o pregiudizievole della madre, pur constatando ed accertando l'effettiva inosservanza del regime di visita disposto in sede di separazione.

Quattro, dunque, gli elementi considerati dal Tribunale: la situazione di fatto, l'età della minore, le sue dichiarazioni rese in sede di audizione e la inopportunità di decisioni impositive di incontri tra padre e figlia.

Questi elementi hanno indotto i giudici ad accogliere la domanda avanzata dalla madre di prevedere tali incontri secondo la volontà della minore, al fine di affidare l'evoluzione relazionale delle parti alla spontaneità ed alla consapevolezza personale.

A tal fine il Tribunale formalizza l'invito alle parti di affrontare un percorso di rafforzamento delle proprie capacità genitoriali o di usufruire della mediazione familiare nell'interesse della minore.

La decisione del Tribunale Torinese si fonda sulle indicazioni della Corte Europea dei diritti dell'Uomo circa lo speculare diritto del figlio a mantenere un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori a quello di ciascun genitore ad avere un effettivo rapporto con il minore: se, infatti, da una parte occorre che il diritto alla bigenitorialità del figlio sia concreto ed effettivo, dall'altra il genitore deve essere posto nelle condizioni di potere esercitare la responsabilità genitoriale.

Tuttavia, nella ricerca delle modalità di rispetto di entrambi detti diritti, non si può prescindere dal caso concreto e, soprattutto, dal consacrato supremo interesse del minore.

Per questo motivo, la Corte Europea (Corte EDU, 17 dicembre 2013, Santilli/Italia; Corte EDU, 29 giugno 2004, Volesky/Rep. Ceca) si è premurata di osservare che la salvaguardia di tale interesse e della libertà delle persone coinvolte, talvolta, non si ottiene attraverso l'imposizione dei rapporti genitori-figli proprio in quanto il principio del mantenimento delle relazioni familiari deve essere calato nella concreta realtà, dove il parametro dell'interesse del minore passa anche attraverso la sua volontà lucidamente espressa.

Alla luce dei riferimenti giurisprudenziali europei testè citati, il decreto torinese ha ritenuto che la minore, anche in considerazione della sua età adolescenziale, abbia espresso con indubbia capacità di discernimento la propria posizione in modo chiaro e netto e che, quindi, il suo supremo interesse non possa essere realizzato attraverso misure impositive.

In tal modo, i Giudici hanno anche al contempo rispettato il principio della libertà delle parti, cui fa rifermento anche la sentenza CEDU sopra citata.

Nel caso in questione, infatti, la soluzione accordata è fatta risalire alla stessa volontà delle parti a riprendere e ricostruire un rapporto relazionale, anche attraverso un percorso individuale e di coppia, finalizzato alla concreta realizzazione dei diritti del minore e dei genitori attraverso la quale è possibile creare le condizioni per una crescita equilibrata e serena del figlio stesso.

Osservazioni

Se l'esame della questione condotta dal Tribunale di Torino ha indotto i giudici a non ritenere opportune forzature impositive, non va d'altra parte trascurato che in molti casi le motivazioni che spingono un figlio al rifiuto della figura del genitore non collocatario risiedono nel comportamento dell'altro genitore che pone in essere condizionamenti psicologici e fattuali tali da indurre nel minore la volontà di allontanarsi dall'altro.

Indubbiamente, si impone il bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti.

A parere di chi scrive, i comportamenti non collaboranti alla concreta realizzazione dell'affido condiviso da parte di un genitore e le sottili e reiterate influenze psicologiche idonee ad alienare la figura genitoriale agli occhi del minore, non dovrebbero rimanere impuniti, aldilà degli interventi decisionali volti a salvaguardare la serena crescita di un minore ed a prescindere dagli inviti che gli stessi giudici rivolgono ai genitori di attivare percorsi di sostegno finalizzati al recupero della funzione genitoriale in un'ottica di collaborazione.

É evidente che le decisioni vadano assunte caso per caso perchè, nella fattispecie di rifiuto di un minore a vedere un genitore, ogni situazione è diversa dall'altra e lo stesso assoluto principio della salvaguardia del supremo interesse del minore non è detto possa portare a pronunce stereotipate e omologate.

Si pensi, ad esempio, alla sentenza della Corte d'appello di Milano, 9 giugno 2011, che aveva confermato la condanna di una madre ai sensi dell'art. 388 c.p. per avere eluso le disposizioni separative riguardanti i periodi di visita del padre con i propri figli minori. La stessa, durante l'istruttoria, aveva sostenuto di avere in realtà assecondato la volontà dei figli che dichiaravano di non volere vedere e stare con il padre, a seguito di una delusione che gli stessi avevano avuto dal genitore. Era invece emerso che il rifiuto dei figli nei confronti del padre dipendeva dagli atteggiamenti tenuti dalla madre nei confronti del marito e non velati o smussati davanti ai figli.

In questo caso, dunque, la Corte ha posto l'accento sul fatto che l'ostacolo posto in essere dalla madre al diritto del padre di avere contatti e visite con i figli, ha di fatto impedito ad essi uno sviluppo armonico e meno traumatico nei rapporti con i genitori.

É del tutto evidente che punto nodale e nevralgico di ogni procedimento che ha ad oggetto la salvaguardia del rapporto genitori-figli, laddove questo risulti compromesso, è l'ascolto del minore.

L'attenzione, la profondità, la corretta valutazione della volontà del minore e la competenza con la quale lo stesso viene ascoltato, può infatti aiutare i giudici ad assumere le decisioni che possano concretizzare il best interest del bambino o del preadolescente.

Secondo i principi sanciti dalla Convenzione di New York, ancor prima di quelli enunciati dalle sentenze della CEDU, la verifica di un rifiuto insuperabile da parte del figlio ad intrattenere rapporti con il genitore non affidatario o non collocatario, anche se non imputabile al genitore rifiutato può indurre il giudice a sospendere o confermare l'interruzione del diritto-dovere di vista.

La decisione del Tribunale, quivi esaminata, si pone certamente in linea con i suddetti principi: in tal senso, già un precedente decreto del Tribunale di Napoli del 1 aprile 2014 aveva stabilito che nel caso in cui, malgrado varie forme di intervento, permanesse il rifiuto della figura paterna da parte di una figlia, l'esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario dovesse svolgersi secondo il desiderio e la volontà della minore stessa, che non può essere costretta con statuizioni “dall'alto” che si rivelano sterili se non addirittura controproducenti.

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