Fecondazione eterologa: illegittimo il ticket della Regione Lombardia

Redazione Scientifica
21 Luglio 2016

Per il Consiglio di Stato è illegittima la decisione della Regione Lombardia di porre a carico degli assistiti i costi della fecondazione eterologa, finanziando solo quella omologa.

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3297/2016 respinge il ricorso della Regione Lombardia, contro la decisione del TAR n. 2271/2015 (si veda anche Per il TAR Lombardia è illegittimo porre a carico degli assistiti il costo della fecondazione eterologa, in ilFamiliarista.it), dichiarando illegittima la determinazione della Regione di finanziare le prestazioni di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, a differenza di quelle di PMA di tipo omologo, poste a carico del SSN con il pagamento del ticket. Viene, così, dato seguito alla sentenza della Corte Costituzionale (sent. 10 giugno 2014, n. 162) che ha equiparato le due tecniche di fecondazione.

La scelta della Regione di distinguere la fecondazione omologa da quella eterologa, non risulta giustificata e, ignorando il diritto riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 162/2014, realizza una disparità di trattamento lesivo del diritto alla salute delle coppie affette da sterilità o da infertilità assoluto.

Il fatto che alcune prestazioni sanitarie non siano state inserite nei livelli essenziali di assistenza, non può costituire ragione sufficiente, in sé da sola, a negare del tutto prestazioni essenziali per la salute degli assistiti, né può incidere sul nucleo essenziale e irriducibile del diritto alla salute. La differenza di trattamento, in base alla capacità economica di esse, «assurge intollerabilmente a requisito di un diritto fondamentale» (C. Cost. 162/2014).

E' evidente che le prestazioni sanitarie siano “finanziariamente condizionate”, giacché l'esigenza di assicurare l'universalità e la completezza del sistema assistenziale si scontra con la limitatezza delle disponibilità finanziarie. Tuttavia le scelte dell'Amministrazione, soprattutto se comprimono o riducono la sfera delle situazioni riconducibili al novero dei diritti fondamentali, devono fondarsi su un criterio discretivo razionale, espresso nel provvedimento e sindacabile dal giudice amministrativo. L'imparzialità dell'amministrazione, infatti, è un tutt'uno con il suo buon andamento e «risponde al quadro di fondamentali principi costituzionali e, primo tra tutti, a quello di eguaglianza sostanziale, il quale consente, ed anzi impone, che le scelte dell'autorità siano sì selettive, ma mai discriminatorie».

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