È reato rivelare al coniuge dell'ex amante i ripetuti tradimenti subiti

07 Settembre 2016

Integra il reato di molestie la condotta dell'imputata che, con tre diverse telefonate, aveva contattato la persona offesa parlandole di presunte relazioni extraconiugali intrattenute dal di lei marito con la stessa imputata e con altre donne.
Massima

Integra il reato di molestie la condotta dell'imputata che, con tre diverse telefonate, aveva contattato la persona offesa parlandole di presunte relazioni extraconiugali intrattenute dal di lei marito con la stessa imputata e con altre donne; la natura molesta e petulante delle chiamate è stata ricavata dalla forma anonima delle telefonate, dal contenuto delle informazioni riferite e da alcuni passaggi ritenuti velatamente minatori o comunque tali da prospettare alla persona offesa futuri inconvenienti.

Il caso

D.R.A. aveva compiuto tre chiamate telefoniche, effettuandole in forma anonima, verso l'utenza fissa di C.M.R.P., in occasione delle quali riferiva a quest'ultima di presunte relazioni extraconiugali intrattenute dal di lei marito proprio con la stessa D.R.A. ed anche con altre donne.

In seguito a tali conversazioni, la C.M.R.P. sporgeva denuncia – querela nei confronti di D.R.A. per avere dalla medesima subito disturbo e molestia; la prova dei fatti veniva tratta (i) dalla testimonianza della stessa e (ii)dall'acquisizione dei tabulati telefonici inerenti le predette chiamate.

All'esito del processo, il Tribunale di Potenza dichiarava la D.R.A. colpevole del reato di cui all'art. 660 c.p. e, conseguentemente, la condannava alla pena di euro 400,00 di ammenda, con pena sospesa.

Avverso tale sentenza, D.R.A. proponeva ricorso per Cassazione, che veniva dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte, la quale riteneva già adeguatamente valutate dal Giudice di primo grado le considerazioni in fatto riproposte dalla ricorrente con l'atto di impugnazione; mentre con riguardo ad ulteriori e diverse questioni proposte in sede di motivi aggiunti affermava l'inidoneità della Corte medesima all'esame delle stesse, in quanto Giudice di Legittimità.

La questione

La questione in esame è la seguente: confessare ad una moglie, in forma anonima, attraverso comunicazioni telefoniche, eventualmente anche reiterate, una circostanza grave quale una presunta relazione extraconiugale costituisce reato, in particolare la molestia o il disturbo alla persona?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte di Cassazione, con una sentenza senza precedenti, ha stabilito che la condotta avente ad oggetto la comunicazione, in forma telefonica anonima, ad una moglie, delle ripetute relazioni extraconiugali del di lei marito attuata dall'amante dello stesso, non rimane confinata tra i comportamenti moralmente rimproverabili e, quindi, non giuridicamente rilevanti, bensì è assolutamente idonea ad integrare gli estremi del reato di molestie ex art. 660 c.p., e per tale ragione ha condannato l'autrice della condotta illecita, in considerazione dei seguenti elementi.

In primo luogo, è stato considerato irrilevante il numero di chiamate compiute dall'agente, in quanto il reato di molestie è solo eventualmente abituale, ben potendosi perfezionare anche con un solo atto idoneo a realizzare la condotta tipica. La circostanza che il numero di telefonate sia stato esiguo (nello specifico, si fa riferimento a tre chiamate) non esclude, infatti, che la condotta sia stata del tutto idonea a ledere il bene giuridico cui l'ordinamento ha provveduto a dare tutela, ovvero la tranquillità personale della vittima.

Si deve tenere conto, inoltre, della natura anonima delle chiamate effettuate alla moglie del marito fedifrago: tale particolare modalità d'agire comprova la volontà dell'amante di alterare fastidiosamente ed importunamente lo stato psichico della persona cui si rivolge. Non già, dunque, la mera intenzione di effettuare una comunicazione alla persona offesa, in quanto tale proposito - qualora fosse effettivamente sussistito - avrebbe certamente indotto l'autrice delle telefonate a farsi riconoscere fin dal primo contatto telefonico con la vittima, identificandosi e spiegando la ragione della chiamata.

Al contrario, in occasione di tutte e tre le chiamate, l'agente teneva nascosta la propria identità, senza svelare alcunché della propria persona e provocando, in tal modo, un sicuro turbamento nella destinataria delle comunicazioni telefoniche.

Ulteriore profilo di particolare rilievo in merito alla rilevanza penale della condotta di molestie in esame, si ravvisa nel tenore del contenuto delle comunicazioni intercorse tra l'autrice e la destinataria delle predette.

Di fronte al quesito di quale rilievo possa avere per una persona ricevere da una sconosciuta, tramite chiamata anonima, la notizia che il proprio marito non le è fedele (perché non solo ha intrattenuto rapporti extraconiugali con chi è all'altro capo dell'apparecchio telefonico, ma – addirittura – continua ad averne con altre donne), la risposta non può che essere che una tale notizia, una volta compiutamente appresa (nella specie dalla moglie contattata dall'amante del marito), è senza ombra di dubbio idonea a produrre un mutamento dell'equilibrio psico-fisico del soggetto che la riceve, essendo la medesima di enorme impatto per la vita di quella persona.

La condotta in esame è dunque, assolutamente atta a produrre una lesione del bene giuridico tutelato dall'ordinamento, ovvero quello della tranquillità personale della parte offesa, la quale - nel caso di specie - ha certamente tratto, dall'interferenza posta in essere dall'agente, una violazione della propria tranquillità, nonché disagio, fastidio o insofferenza per il proprio equilibrio fisico e psichico.

A conferma di quanto innanzi espresso vi è, inoltre, da sottolineare che il comportamento tenuto dall'autrice della condotta in esame è caratterizzato da biasimevole motivo, insito nell'avere contattato la moglie dell'ex amante solo nel momento in cui quest'ultimo aveva concluso tale relazione extraconiugale, per intrattenerne poi una nuova ed ulteriore con un'altra donna. Ciò che, dunque, ha motivato l'imputata a contattare la moglie dell'(ormai) ex amante non è stata la preoccupazione di renderla consapevole dei rapporti intercorsi con il suo marito, bensì una volontà vendicativa maturata dopo la conclusione della relazione.

Osservazioni

La fattispecie di reato di cui all'art. 660 c.p. è una contravvenzione concernente l'ordine pubblico e la pubblica tranquillità, la cui condotta consiste nel recare a taluno molestia o disturbo in luogo pubblico, o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo.

Il requisito della pubblicità del luogo, insieme alla perseguibilità d'ufficio avvalorerebbero, secondo una tradizionalistica tesi (V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, X, 193, 189; Rosso, Ordine Pubblico (contravvenzioni), Novissimo Digesto Italiano, 1965, XII, 143) la natura monoffensiva del reato, previsto per dare tutela ad un unico bene giuridico: l'ordine pubblico.

Si è ritenuto, tuttavia, che anche la tranquillità personale debba essere oggetto di protezione da parte dell'ordinamento, dal momento che la molestia ben può realizzarsi anche in un ambito esclusivamente privato, proprio attraverso uno strumento idoneo a realizzare la fattispecie di reato, qual è anche il mezzo telefonico.

La Dottrina e la Giurisprudenza minoritarie (F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, II, 15° ed., Milano, 2008, 279; G. De Vero, Inosservanza di provvedimenti di polizia e manifestazioni sediziose e pericolose (Contravvenzioni), in Digesto – discipline penalistiche, VII, Torino, 1993, 86; G. M. Flick, Molestia o disturbo alle persone, 1976; Cass. pen., 11 febbraio 2014, n. 18117, Scognamillo; Cass. pen., 30 giugno 2010, n. 24510, D'Alessandro; Cass. pen., 17 luglio 2005, n. 18449, Sorpresi; Cass. pen., 1 luglio 2004, n. 28680, Modena, Dir. dell'Internet 2005, 51) prediligono, invece, una lettura del disposto normativo dell'art. 660 c.p. svincolato dal riferimento all'ordine pubblico e, pertanto, in un'ottica di tutela diretta della sfera personale e, dunque, della tranquillità individuale.

Non manca, del resto, chi sposa una teoria intermedia (Cass. pen., 13 dicembre 2012, n. 2597, Caruso) che individua il reato di molestie o disturbo come illecito plurioffensivo, inteso a proteggere sia l'ordine pubblico che la tranquillità personale (da considerare come uno degli aspetti del più generale interesse alla “privatezza”, alla intangibilità ed al rispetto della sfera della vita privata).

Per la sussistenza del reato in esame è richiesto che la molestia o il disturbo alla persona siano arrecati per petulanza od altro biasimevole motivo. La molestia è intesa come ogni attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente il normale equilibrio psico-fisico di un soggetto; il disturbo è, invece, ciò che interferisce con le condizioni di lavoro o di riposo di una persona (Cass. pen., 15 aprile 1970, Tinti, Gpen 1971, II, 144; Pretura Roma 14 aprile 1970, Bonarrigo, AP 1970, II, 386; Manzini, cit., 193; P. L. Vigna – G. Bellagamba, Le contravvenzioni nel codice penale, Milano, 1974, 278).

I due termini possono essere, altresì, considerati come un'endiadi, ragion per cui la condotta della fattispecie criminosa in esame deve essere ricondotta sotto la definizione di interferenza, momentanea o durevole, nella sfera di tranquillità del soggetto passivo che provoca disagio, fastidio o insofferenza per il proprio equilibrio fisico e psichico (cfr. G. M. Flick, cit., 702; Cass. pen., 16 dicembre 2008, n. 46231).

Molestia e disturbo devono poi essere arrecati per petulanza, intesa quale «modo di agire pressante, indiscreto e impertinente, che sgradevolmente interferisca nella sfera della libertà e della quiete di altre persone, ovvero ogni contegno intollerabile ed incivile verso la persona molestata, tale da determinarla ad invocare aiuto ed ogni modo di agire arrogante o vessatorio senza riguardo per la libertà o la quiete altrui» (G. Lattanzi – E. Lupo, Codice penale commentato. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, 2015; conformi Cass. pen., 21 settembre 1993, n. 3494, Benevento, RP 1994, 1003; Cass. pen., 7 ottobre 1986, Held, CP, 1988 289), ovvero per altro biasimevole motivo, che viene generalmente individuato in ogni movente che sia riprovevole in se stesso o in relazione alla qualità della persona molestata e che abbia praticamente su quest'ultima gli effetti della petulanza stessa.

Con riguardo alla natura della contravvenzione di molestie o disturbo alle persone, la Giurisprudenza ritiene tale reato eventualmente abituale (Cass. pen., 7 novembre 2013, n. 3578, Moresco; Cass. pen., 9 marzo 2009, n. 10409, Alacqua, in De Jure; Cass. pen., 8 marzo 2006, n. 8198, Paolini; Cass. pen., 30 giugno 1992, n. 11336, Di Paolo, GI 1993, II, 661), poiché è sufficiente – ai fini della sua consumazione – anche un solo episodio di molestia o disturbo (Cass. pen., 11 giugno 2013, n. 33267, Saggiomo; Cass. pen., 23 novembre 2010, n. 43439; Cass. pen., 16 marzo 2010, n. 10400; Manzini, cit., 200; Rosso, cit., 43; in particolare una sola telefonata: Cass. pen., 5 gennaio 2010, n. 36; Cass. pen., 19 aprile 2005, n. 14632, Venturi, Leggi d'Italia; Cass. pen., 19 maggio 2004, n. 23521 Alessandri, CP 2005, 2988).

Tuttavia, qualora le condotte dovessero essere reiterate, non si avrebbe necessariamente un concorso omogeneo di reati, ben potendo le medesime integrare un'unica fattispecie criminosa (Cass. pen. 24 novembre 2011, n. 6908, Zigrino; Cass. pen., 24 aprile 2008, n. 17308, Gerli), circostanza che si verifica quando non è tanto la modalità con la quale vengono poste in essere le condotte illecite, bensì proprio la loro reiterazione, a determinare l'offesa del bene giuridico tutelato dall'ordinamento (Cass. pen., 5 maggio 2008, n. 17787, Tamburrini, e Cass. pen., 25 marzo 2010, n. 11514, Zamò).

Guida all'approfondimento

G. Contento, Molestie o disturbo alle persone, EGT, XX, 1, Roma, 1990

E. Dolcini – L. Marinucci, Codice penale commentato, Milano, 2015.

R. Garofoli, Manuale di diritto penale, parte speciale, Roma, 2015.

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