Minore allontanato ingiustamente: il comune è tenuto a risarcire la famiglia

Redazione Scientifica
21 Ottobre 2015

Il comune è tenuto al risarcimento del danno per l'ingiusto allontanamento del figlio. L'ente è responsabile dell'operato dei servizi sociali, i quali agendo con imperizia, negligenza ed incuria nel valutare i sospetti circa presunte molestie sessuali su una bimba minore, hanno fatto si che questa venisse allontanata dalla sua famiglia. A seguito di successive e più approfondite indagini tali sospetti sono risultati infondati.

Il caso. Il comune di Nova Milanese veniva condannato al risarcimento del danno per aver ingiustamente allontanato una bambina dalla propria famiglia.

Il Sindaco aveva emesso un provvedimento di allontanamento della minore dalla casa familiare a seguito delle segnalazioni fatte dalla maestra d'asilo della bimba, relativamente a presunti abusi sessuali da parte del padre. A seguito di ulteriori indagini, svolte dal Tribunale per i minorenni, tali sospetti si erano rivelati infondati e dunque la bambina aveva fatto ritorno in famiglia. I genitori chiedevano la condanna ed il risarcimento del danno al comune per il comportamento tenuto; la domanda veniva accolta sia dal Tribunale, sia dalla Corte d'Appello.

Il comune proponeva ricorso in Cassazione.

Il comune è responsabile dell'operato dei Servizi Sociali.

La Cassazione conferma quanto già affermato dal Giudice di merito e dalla Corte d'Appello.

Il potere del sindaco di intervenire direttamente sull'ambiente familiare è previsto solo nei casi di abbandono morale e materiale (art. 403 c.c.) ed in situazioni di disagio minorile che siano palesi, evidenti e di agevole ed indiscutibile accertamento. L'autorità amministrativa non ha gli stessi poteri in vicende così delicate come quella in esame, nata esclusivamente dall'interpretazione, da parte di una maestra, delle parole di una bambina di cinque anni, prive di riscontro. L'ente avrebbe dovuto rivolgersi alle istituzioni competenti in materia e dunque al Tribunale per i minorenni o al Pubblico Ministero.

Si è convenuto che i Servizi Sociali del Comune sono incorsi da un lato in imperizia nel gestire la vicenda, facendo affidamento sui sospetti di una persona priva della competenza necessaria alla valutazione del caso, anziché - data la delicatezza della situazione - procedere ad ulteriori ed approfondite indagini, avvisando gli organi giudiziari competenti; in negligenza ed incuria avendo sollecitato un provvedimento grave e traumatico.

L'illecito attribuito al comune non consiste dunque nell'adozione di un provvedimento illegittimo bensì nella responsabilità per un fatto commesso dai suoi dipendenti (e non per il comportamento della maestra, come sostenuto dall'ente locale); a nulla rileva che il provvedimento non sia stato annullato perché sono i presupposti dello stesso ad essere viziati.

Il risarcimento del danno.

Il ricorrente lamentava altresì che la Corte d'Appello, confermando la sentenza del Tribunale, avesse attribuito ad ognuno dei danneggiati, in aggiunta al risarcimento del danno, somme di vario importo a compenso di danni non patrimoniali diversi da quelli morali, violando i principi affermati dalla stessa Cassazione con le sentenze di San Martino, secondo le quali è necessario quantificare le varie voci di danno non patrimoniale in un'unica somma.

Il motivo non è fondato.

Il giudice di legittimità considerava congrue e logiche le conclusioni della Corte d'Appello che poneva in evidenza «l'obiettiva difficoltà di ancorare la misura del risarcimento a parametri utilizzati per i casi simili, […] le determinazioni sul punto del primo giudice […] rappresentano un equilibrato e ragionevole compromesso fra l'esigenza di assicurare un ristoro effettivo della sofferenza cagionata ai due bambini da un trauma affettivo che potrebbe segnare l'intera loro vita e la necessità di evitare che l'azione risarcitoria possa essere strumentalizzata allo scopo di trarne un ingiustificato profitto».

La Suprema Corte non manca di ricordare che la giurisprudenza del 2008 non ha cancellato il danno morale per riassorbirlo nel danno biologico ma ha solo disposto che le varie voci di danno vengano liquidate congiuntamente deducendo la fattispecie del danno morale come voce autonoma che trova riscontro in alcuni interventi normativi, D.P.R. n. 37/2009 e D.P.R. n. 181/2009, i quali distinguono il danno biologico ed il danno morale. Dunque il danno morale, nonostante costituisca pregiudizio non patrimoniale come il danno biologico, non è ricompreso in quest'ultimo e deve essere liquidato in modo autonomo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.