Per il Tribunale di Roma è possibile l'affido di “Fido”

02 Dicembre 2016

Secondo il Tribunale di Roma, in presenza di contrasto tra due ex conviventi che abbiano accudito un cane, indipendentemente dalla proprietà formale dell'animale, il Giudice deve applicare in via analogica...
Massima

Nell'ambito di un giudizio restitutorio, il Tribunale può disporre l'affido condiviso del cane, ancorché di proprietà di uno solo dei due conviventi che ne reclamano il possesso esclusivo. In assenza di una disciplina normativa ad hoc, infatti, all'animale di affezione è applicabile analogicamente la normativa prevista per i figli minori, cosicché il Giudice deve assumere i provvedimenti che lo riguardano tenendo conto esclusivamente dell'interesse materiale - spirituale - affettivo dell'animale. Detta disciplina si applica anche qualora i due “padroni” della bestiola non siano legati da vincolo di coniugio, giacché il legame e l'affetto del cane per ciascuno di loro è indipendente dal regime giuridico che li legava.

Il caso

Tizia ha citato in giudizio il suo ex convivente, Caio, chiedendo la restituzione del cane di sua proprietà che, a detta dell'attrice, il convenuto stava trattenendo da tempo contro la volontà della proprietaria; Tizia ha formulato altresì domanda di risarcimento del danno patito a seguito dell'illecita privazione della bestiola. Caio si è costituito in giudizio contestando la proprietà del cane, assumendo di essersene sempre occupato in via esclusiva, anche in costanza di convivenza e concludendo per il rigetto delle domande attrici, il riconoscimento in capo a sé della “titolarità di fatto” nonché formale dell'animale e per il rimborso delle spese sostenute per l'accudimento dello stesso.

La questione

Ancorché entrambe le parti avessero svolto una reciproca e contrapposta domanda di accertamento di proprietà e (una di esse) conseguente restituzione dell'animale, il Tribunale si è posto la questione della regolamentazione della custodia degli animali di affezione nell'ipotesi di rottura della coppia, nonché della ripartizione degli oneri di cura e mantenimento.

Le soluzioni giuridiche

Secondo il Tribunale di Roma, in presenza di contrasto tra due ex conviventi che abbiano accudito un cane, indipendentemente dalla proprietà formale dell'animale, il Giudice deve applicare in via analogica la disciplina prevista per i figli minori di una coppia, e dunque, in assenza di controindicazioni, l'affidamento condiviso con suddivisione dei tempi di permanenza dell'animale presso ciascuno dei “padroni” e ripartizione degli oneri di accudimento e di mantenimento. Nel caso di specie, il Giudice ha stabilito il «collocamento» alternato del cane presso ciascuno dei padroni per periodi di sei mesi, all'interno dei quali il non collocatario avrà il “diritto di visita” per due giorni alla settimana con “pernottamento”. Le spese di mantenimento (cure mediche, cibo e quant'altro eventualmente necessario per il suo benessere) dovranno essere suddivise tra i due padroni.

A fondamento della propria decisione il Tribunale ha assunto che:

- mancando, nel nostro ordinamento una normativa ad hoc «il regime giuridico in grado di tutelare l'interesse morale - spirituale - affettivo dell'animale, contemperandolo peraltro con l'interesse affettivo sia di parte attrice sia di parte convenuta, sia l'affido condiviso del cane, con divisione al 50% delle spese per il suo mantenimento», in ragione del fatto che l'animale per tre anni ha convissuto con entrambi i “padroni”, poi ha vissuto alternativamente con ciascuno di essi sino alla decisione del convenuto di non restituirlo alla ex convivente; irrilevante, secondo il giudice, che il cane non veda la donna da oltre tre anni in ragione della «ben nota memoria affettiva dei cani»;

- l'estensione analogica della disciplina dettata in materia di minori è altresì anticipazione «dell'auspicabile approvazione ed entrata in vigore di una proposta di legge che giace in parlamento da molti anni» e che, ove approvata e tramite l'introduzione dell'art. 455-ter c.c., prevederebbe proprio l'affidamento condiviso degli animali di affezione, indipendentemente dal titolo di proprietà, ad entrambi i coniugi e/o conviventi, successivamente alla rottura del rapporto;

- i sopra indicati principi sarebbero contenuti in due precedenti giurisprudenziali del Tribunale di Foggia e del Tribunale di Cremona;

- è irrilevante che la coppia attrice/convenuto non fosse sposata giacché «ciò che più rileva, è che dal punto di vista del cane, che è l'unico che conta ai fini della tutela del suo interesse, non ha assolutamente alcuna importanza che le parti siano sposate o meno: il suo legame ed il suo affetto per entrambe prescinde assolutamente dal regime giuridico che le legava, neanche percepibile, così come, del resto, è anche per i bambini, che pure la differenza percepiscono, nei confronti dei genitori».

Osservazioni

Il provvedimento in esame, seppure lodevole per gli intenti che si prefigge e per il tentativo di rispondere ad istanze sociali sempre più pressanti, non può essere condiviso, qualora lo si legga, come deve essere letto, sotto il prisma ottico delle regole attuali del nostro ordinamento; regole che possono o non possono piacere ma che non autorizzano il Giudice, bouche de la loi, a porre in essere inammissibili fughe in avanti disancorate dalla realtà normativa.

In primo luogo colpisce la palese violazione del principio della domanda.

Entrambe le parti, infatti, avevano rivendicato la proprietà del cane da loro accudito; e il cane, anche se ciò può urtare la sensibilità di molti, è nel nostro ordinamento sì un essere “senziente” (vedi sul punto anche il Trattato di Lisbona, nonché la Convenzione di Strasburgo sulla protezione degli animali da compagnia, ratificata dall'Italia nel 2009), ma pur sempre considerato come una cosa mobile oggetto di diritto, come peraltro richiamato dalla stessa Convenzione di Strasburgo (che all'art. 6 si riferisce proprio alla vendita degli animali) e come dimostra, paradossalmente, il combinato disposto dei commi 6-bis e 6-ter dell'art. 514 c.p.c. in materia di impignorabilità degli animali di affezione; è infatti evidente che, ove gli animali non fossero considerabili come cose, oggetto di diritto, non ci sarebbe stato alcun bisogno di introdurre una deroga al regime della pignorabilità.

Da ciò consegue che il Giudice avrebbe dovuto limitarsi ad accogliere la domanda di una o dell'altra parte, ma mai avrebbe dovuto/potuto prescindere dalle domande che sono state poste alla sua attenzione e cui, peraltro, non è stata neppure data alcuna risposta (la sentenza, infatti, non statuisce in merito all'asserita proprietà della bestiola in capo all'attrice o al convenuto).

Né pare immaginabile l'esercizio (arbitrario) di una sorta di potere di ufficio in capo al Tribunale, sulla scorta della parificazione degli animali ai soggetti minori; è infatti principio acquisito – e non contestabile - che «non è possibile giungere ad istituire un'equiparazione, in diritto, tra i figli minori e gli animali da compagnia dal momento che solo i primi, nel nostro diritto interno ed in quello internazionale, sono persone fisiche» (Cfr. M. Rovacchi, Gli animali da compagnia nella separazione di partners, in IlFamiliarista).

Venendo al merito della questione, il Giudice romano applica per analogia la disciplina dell'affidamento condiviso, prevista dalla l. n. 54/2006 e poi parzialmente innovata con la riforma della filiazione, agli animali posseduti da una coppia. Pare evidente l'errore in cui, mosso da uno spirito “innovatore”, è incorso il Giudice, giusta l'evidente differenza sussistente tra un soggetto - persona fisica ancor priva di piena capacità di agire (il minore) e l'animale che, quand'anche non lo si volesse far rientrare tout court nell'ambito dei “beni” ex art. 810 c.c. e seguenti (il ché pare prematuro almeno sintantoché la legislazione nazionale, sovranazionale e financo regionale continueranno a riferirsi al concetto di proprietà, il ché presuppone necessariamente la loro qualifica di oggetto di diritti) non potrà mai assurgere al rango di persona.

Né pare dirimente, sotto il profilo del supporto giuridico alla tesi del Tribunale, il richiamo alla proposta di legge, rectius: a una delle tante proposte di legge, che giacciono in Parlamento e che sono volte a regolamentare il destino degli animali a seguito della separazione dei loro “padroni” (termine sicuramente urticante ma non sostituibile con altro altrettanto efficace); il Giudice non può applicare una legge che ancora tale non è; può, semmai, desumere dalle succitate proposte di legge taluni principi che possono fungere da criteri interpretativi della normativa esistente ma non può sovrapporre il piano de iure condito con quello de iure condendo, sostituendo alla normativa esistente quella futura, o meglio futuribile, senza incorrere nel divieto di cui agli artt. 1, 2, 10 e 11 preleggi.

Anche il riferimento a taluni precedenti giurisprudenziali pare essere d'aiuto. Infatti, il precedente del Tribunale di Foggia è inedito, cosicché non è dato comprendere se la decisione sia stata emessa in un'ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c., oppure in una sentenza su conclusioni congiunte. La decisione del Tribunale di Cremona invece, come correttamente evidenziato (cfr. M . Rovacchi, op. cit) è stata emessa a “ratifica” dell'accordo raggiunto dai coniugi in una separazione iniziata come giudiziale e poi conclusa sulla base di conclusioni congiunte; ciò in linea con quanto previsto dalla giurisprudenza ormai dominante in materia di separazione consensuale ed in forza della quale, da un lato il Tribunale può prendere atto degli accordi tra i coniugi anche qualora abbiano un contenuto esulante da quello tipico (separazione - divorzio - affidamento - assegnazione - contributi economici) dei giudizi ex art. 151 c.c. e l. n. 898/1970, ma non può, viceversa, disporre dell'affidamento del cane nel caso di contrasto tra i padroni (cfr. sul punto Trib. Milano, 24 febbraio 2015; Trib. Como, dec. 3 febbraio 2016; Trib. Milano, ord. 2 marzo 2011). In altre parole: il Giudice della separazione o del divorzio può omologare gli accordi raggiunti tra le parti (accogliere le conclusioni conformi, qualora si tratti di divorzio congiunto) che prevedono la regolamentazione dei tempi di permanenza degli animali di affezione e la ripartizione degli oneri di mantenimento, ma non può assumere alcuna decisione in caso di contrasto, ostandovi peraltro la giurisprudenza, ormai granitica, formatasi in materia di domande connesse ex art. 40 c.p.c. (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez.I, 8 settembre 2014, n. 18870; Trib. Roma, sez I, 21 gennaio 2015; Trib. Milano, sez. IX, 10 febbraio 2009).

In conclusione, la sentenza in commento suscita sicuramente un moto di approvazione per il risultato pratico che si prefigge (quello di garantire la tutela dell'animale da affezione) ma non risulta essere supportata in alcun modo da solide argomentazioni giuridiche. Anche la giurisprudenza “creativa”, che in questi anni ha supportato l'inerzia in certe materie di un silente legislatore, deve basarsi su norme esistenti ma non su quelle che si auspica vengano introdotte.

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