Separazione consensuale: la Cassazione chiarisce quali accordi è possibile modificare giudizialmente

Redazione Scientifica
03 Settembre 2015

Nell'accordo di separazione possono convivere sia i patti che trovano causa concreta nella separazione sia quelli che in essa hanno mera occasione: diverso sarà il trattamento qualora una delle parti ne chieda la modifica o la conferma.

Il caso. La Corte d'appello di Firenze aveva riformato parzialmente la sentenza del tribunale di I grado, revocando la statuizione dichiarativa della perdita di efficacia degli accordi conclusi dalle parti in sede di separazione consensuale.

I coniugi avevano stabilito una serie di regole di futura condotta comprendenti, da un lato la vendita dell'immobile (già casa coniugale e di proprietà del marito) a terzi, al fine di restituire un terzo del ricavato alla moglie e dall'altro l'attribuzione alla stessa del diritto di continuare ad abitare l'immobile sino alla vendita del bene, con obbligo del marito di pagare una percentuale del mutuo e tutte le utenze e le imposte.

Il giudice d'appello ha ritenuto che le pattuizioni economiche riguardanti la separazione fra coniugi devono inerire o l'assegno di mantenimento o l'assegnazione della casa familiare mentre nella specie gli accordi si limitavano a disciplinare alcuni interessi economici relativi a pregressi rapporti tra le parti. Per ritenere cessati detti accordi patrimoniali, pertanto, sarebbe occorsa una dichiarazione di volontà concorde dei coniugi.

Contenuto essenziale ed eventuale della separazione consensuale. Investita del ricorso presentato dal marito, la Corte di Cassazione, richiamando un proprio consolidato orientamento, afferma che «la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione pregressa e concernenti le altre statuizioni economiche».

L'accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, diverse rispetto a quelle che integrano il suo contenuto tipico e ad esso non immediatamente riferibili: si tratta di accordi ricollegati «in via soltanto estrinseca» al patto principale, relativi a negozi che pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale non hanno causa in essa ma vengono semplicemente assunti “in occasione” della medesima separazione, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale finalizzata alla pressoché completa regolamentazione di tutti i pregressi rapporti.

Trattamento diverso se una delle parti chiede la modifica o la conferma della pattuizione. Le differenti pattuizioni, quelle aventi causa concreta e quelle aventi mera occasione nella separazione, possono, quindi, convivere nello stesso atto poiché si configurano come del tutto autonome e riguardanti profili fra di loro pienamente compatibili.

Diverso sarà, però, il trattamento qualora una delle parti ne chieda la modifica o la conferma in sede di ricorso ad hoc ex art. 710 c.p.c. o in sede di divorzio: «in caso di sopravvenienza di un quid novi, modificativo della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati, infatti, è possibile la modificazione degli accordi solo con riguardo alle clausole aventi causa nella separazione personale, ma non per gli autonomi patti, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c.».

In questo caso l'accordo è un contratto atipico. In particolare, l'accordo mediante il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano la vendita a terzi del bene immobile adibito a casa familiare e l'attribuzione del ricavato pro parte a ciascun coniuge (in proporzione del denaro investito nel bene) «dà vita ad un contratto atipico, il quale, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c., è caratterizzato da una propria causa, rispondendo ad un originario spirito di sistemazione, in occasione dell'evento di separazione consensuale, dei rapporti patrimoniali dei coniugi, sia pure maturati nel corso della convivenza matrimoniale».

Il giudice del merito deve valutare, alla stregua di un'indagine ermeneutica guidata dagli artt. 1362 ss. c.c., se nell'ambito dell'accordo destinato a disciplinare la separazione consensuale vi sia inserita anche una convenzione avente una sua autonomia.

Il ricorso deve, quindi, essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla relativa Corte d'appello affinché applichi il principio enunciato al caso concreto riesaminando, in particolare, l'accordo di separazione consensuale, distinguendo quali patti abbiano causa concreta nella medesima e nei doveri di solidarietà familiari e quali trovino in essa mera occasione mirando a riequilibrare la reciproca situazione patrimoniale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.