Il Procuratore Generale impugna le adozioni gay

Pompilia Rossi
15 Marzo 2016

Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma ha promosso ricorso per la cassazione della sentenza con cui la Corte d'Appello di Roma (App. Roma, 23 dicembre 2015), a conferma della decisione del Tribunale per i minorenni (Trib. min. Roma, sent., n. 299/2014), aveva disposto farsi luogo all'adozione, ex art. 44. lett. d) l. n. 184/1983, di una bambina da parte della compagna della madre biologica.

Il caso. Tizia si era rivolta al Tribunale per i Minorenni di Roma chiedendo, ai sensi dell'art. 44 comma 1 lett. d) l. n. 184/1983, l'adozione di Caia, figlia della propria compagna e convivente Sempronia, in considerazione dei consolidati e pluriennali rapporti instaurati con la minore sin dalla sua nascita.

Sempronia, sentita dal Tribunale per i minorenni, ha prestato il proprio consenso all'accoglimento della domanda.

Il Tribunale per i minorenni - dopo aver svolto tutti gli accertamenti opportuni - ha disposto farsi luogo all'adozione della minore, in considerazione dell'interpretazione consolidata della lett. d) art. 44 cit., per cui l'adozione in casi particolare è ammessa tutte le volte che vi sia impossibilità, di fatto o anche solo giuridica, di disporre affidamento preadottivo dell'adottanda.

Avverso la decisione il PMM aveva proposto appello, respinto però con sentenza del 23 dicembre 2015 (App. Roma, 23 dicembre 2015).

La questione sollevata. Il Procuratore Generale ha contestato la decisione della Corte d'appello nei seguenti passaggi motivazionali: a) la mancata nomina di un curatore speciale all'adottanda, pur essendo evidente un conflitto di interessi tra la madre biologica (che aveva prestato il suo consenso all'adozione) e la figlia minore; b) la non corretta interpretazione dell'art. 44 lett. d) l. n. 184/1983, la cui applicazione, secondo il Procuratore Generale, deve limitarsi alle ipotesi in cui vi sia una constatata impossibilità di fatto di disporre l'affidamento preadottivo della minore (mentre invece, secondo i giudici del merito, la norma coprirebbe anche l'impossibilità giuridica, ovverosia anche i casi in cui non vi sia lo stato di abbandono del minore).

Il ragionamento del Procuratore Generale. Con particolare riferimento al secondo motivo, il Procuratore generale ha sostenuto, con articolato ragionamento che: i) l'adozione in casi particolari di cui alla lett. d) art. 44 è ipotesi diversa da quelle previste alle lett. a) (adozione da parte di parenti entro il sesto grado) e b) (adozione da parte del coniuge); il principio per cui non è necessaria la dichiarazione di adottabilità nelle ipotesi sub a) e b) non è consequenzialmente applicabile anche all'ipotesi di cui alla lett. d);

ii) l'espressione “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, per la sua struttura lessicale e grammaticale, necessariamente implica che sia disposto l'affidamento preadottivo (e che, dunque il minore versi in stato di abbandono) e che esso sia, per l'appunto, impossibile proprio per l'uso del participio passato “constatata”.

La decisione. Considerato il dibattito sul tema e le posizioni, anche dottrinali, contrastanti in punto interpretazione dell'art. 44 lett. d) (riguardante sia le coppie etero conviventi, sia le coppie same sex), si rivela opportuno l'operato del Procuratore Generale della Corte d'Appello, finalizzato a stimolare un intervento normofilattico e stabilizzante (se non dirimente) da parte della Suprema Corte.

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