Il Tribunale dei minori di Roma riconosce l’adozione incrociata delle figlie di una coppia omosessuale

Redazione Scientifica
04 Marzo 2016

Il Tribunale per i minori di Roma ha disposto l'adozione in casi particolari nei confronti di due minori concepite attraverso la fecondazione eterologa da una coppia omosessuale. Nella fattispecie non si tratta di concedere un diritto ex novo ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente, nell'esclusivo interesse delle minori, amorevolmente allevate da due donne, nelle quali riconoscono entrambe le loro “mamme”, ovvero i riferimenti affettivi primari.

Due mamme, due figlie, una famiglia. Due donne, conviventi e unite da una relazione sentimentale da circa 10 anni, chiedono al Tribunale di disporsi nei confronti di entrambe l'adozione della figlia della propria convivente. La coppia ha avuto due figlie ricorrendo alla fecondazione eterologa all'estero: nel 2008 vi si era sottoposta la meno giovane e, successivamente, nel 2011 l'altra donna.

Adozione in casi particolari. Le ricorrenti in particolare chiedono di disporsi l'adozione ex art. 44 lett d), l. n. 184/1983 come modificato dalla l. n. 149/2001, sostenendo di aver costituito un nucleo familiare solido e ben strutturato e che le bimbe sono state cresciute come sorelle. Nel ricorso si sottolinea come «il fatto che la rispettiva compagna, pur essendo madre sociale della propria figlia, non abbia alcun riconoscimento giuridico pregiudichi notevolmente le bambine in quanto solo la madre può accompagnarle a scuola e/o dal pediatra». La madre sociale verrebbe – secondo le ricorrenti – esclusa dalla vita della figlia della compagna perché giuridicamente non può vantare alcun diritto sulla bambina che sente sua figlia, pur non essendo stata generata da lei.

L'orientamento sessuale non è un limite. Il Collegio nell'affrontare la richiesta in esame, ricorda che l'adozione in casi particolari è stata prevista dal Legislatore per «favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già si prendono cura del minore stesso, prevedendo la possibilità di un'adozione con effetti più limitati rispetto a quella legittimante, ma con presupposti meno rigorosi». Aggiunge poi il Tribunale che «nessuna limitazione è prevista espressamente, o può derivarsi in via interpretativa, con riferimento all'orientamento sessuale dell'adottante o del genitore dell'adottando, qualora tra di loro vi sia un rapporto di convivenza».

Chiarisce poi il giudice che, ovviamente, tutto l'impianto della normativa richiamata deve sempre ispirarsi alla realizzazione dell'interesse del minore (Cass., n. 21651/2011).

Affidamento preadottivo impossibile. Nel dettaglio l'art. 44 lett. d), l. n. 184/1983 come modificato dalla l. n. 149/2001 stabilisce che il minore possa essere adottato, anche quando non ricorrano le condizioni per l'adozione piena, quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. «La norma» - specifica il Collegio - «non può e non deve essere interpretata nel senso di prevedere come presupposto l'impossibilità di affidamento preadottivo solo di fatto, ma anche, come nel caso di specie, di diritto». L'unico presupposto è quindi l'impossibilità dell'affidamento preadottivo senza ulteriori specificazioni. Una diversa interpretazione non consentirebbe «il perseguimento dell'interesse preminente del minore in situazioni, come quella di cui qui trattasi, in cui la figlia di persona convivente con l'adottante abbia con quest'ultima un rapporto del tutto equivalente a quello che si instaura normalmente con un genitore, al quale però l'ordinamento negherebbe qualsiasi riconoscimento e tutela».

Il Tribunale per i minorenni dice “sì” all'adozione. In conclusione, nel caso in esame, sussiste l'impossibilità dell'affidamento preadottivo di diritto, in quanto le minori rispettivamente adottande delle ricorrenti non si trovano in una situazione di abbandono e mai potrebbero essere collocate in affidamento preadottivo. Viene quindi a realizzarsi il presupposto previsto dall'art. 44 lett. d), l. n. 184/1983.

Tale conclusione, secondo l'organo giudicante, deve anche applicarsi al caso di conviventi dello stesso sesso: la norma citata non fa alcuna differenza tra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali. Una diversa interpretazione andrebbe a contrastare con i principi costituzionali e quelli della CEDU. Invero, «negare alle bambine i diritti e i vantaggi che derivano» dal rapporto in esame costituirebbe certamente una scelta non corrispondente all'interesse delle minori che occorre sempre valutare in concreto.

Sulla base di tali argomenti, il Tribunale per i minori di Roma ha accolto il ricorso, disponendo l'adozione delle minori.

Vedi anche di A. Ievolella "Coppia di mamme può adottare le rispettive figlie, Quarato: «Risultato raggiunto, ma obiettivo è matrimonio egualitario»" in DirittoeGiustizia

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