Solo fatti e circostanze sopravvenute possono fondare una richiesta di assegno divorzile

28 Luglio 2017

La pronuncia in esame affronta l'ipotesi di domanda di assegno di divorzio in separato ed autonomo giudizio, successivo al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio...
Massima

Il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio investe anche le domande (relative a fatti pregressi ma) non fatte valere in concreto, sicché l'eventuale richiesta di assegno divorzile, avanzata dal coniuge in diverso e separato giudizio, dovrà basarsi su circostanze nuove e sopravvenute (come previsto ex art. 9, comma 1, l. div.) e non sulle medesime circostanze che sarebbero state a fondamento della domanda ex art. 5 l. div..

Secondo un consolidato orientamento interpretativo ed in base al principio per cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, rimane esclusa la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo, assumendo rilevanza solo la sopravvenienza di fatti nuovi.

Il caso

Tizia, ex-moglie di Caio, in forza di sentenza che ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, proponeva, con ricorso, domanda per l'attribuzione e la determinazione dell'assegno post-matrimoniale in separato ed autonomo giudizio, successivo al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.

Tale ricorso veniva dichiarato improponibile dal Tribunale di Velletri, ma successivamente accolto dalla Corte di appello di Roma, che ammetteva la proponibilità della domanda relativa all'assegno, pur se basata su fatti pregressi e non successivi alla sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili; osservava infatti la Corte di appello capitolina che proprio la mancata richiesta in sede di giudizio di divorzio escludeva la valenza del giudicato per la domanda non fatta valere in concreto, permettendo quindi di basare la richiesta su fatti e circostanze precedenti al divorzio. La stessa Corte d'appello, peraltro, pur riconoscendo l'attribuzione dell'assegno, tuttavia, disattendeva in parte le richieste della moglie ricorrente, liquidando l'assegno in misura minore di quella richiesta.

Contro tale ultima sentenza, Tizia proponeva ricorso alla Suprema Corte lamentando la parziale considerazione del patrimonio del marito ai fini della liquidazione dell'assegno (in particolare la mancata considerazione dei cespiti patrimoniali diversi dai redditi da lavoro e degli incrementi registrati nel corso degli anni); resisteva Caio che, con controricorso incidentale, lamentava l'errata interpretazione della Corte d'Appello in relazione all'art. 9, comma 1, l. n. 898/1970 che prevede espressamente la possibilità di un mutamento delle condizioni patrimoniali del divorzio solo in presenza di circostanze e fatti nuovi e sopravvenuti nonché l'errata interpretazione dell'art. 5 della l. n. 898/1970, ritenendo “assoluto” il criterio del tenore di vita (goduto in costanza di matrimonio) senza operare una interpretazione sistemica dei diversi criteri proposti dalla norma. Ulteriore doglianza del ricorso incidentale riguardava, inoltre, lo stralcio di alcune note difensive che la Corte d'appello aveva ritenuto prive dei requisiti di formato elettronico in ordine sia al documento che alla sottoscrizione digitale del difensore.

La Corte di Cassazione accoglieva la doglianza relativa alla valutazione dei fatti pregressi e alla erronea interpretazione dell'art. 9, comma 1, l. n. 898/1970, ritenendo assorbiti tutti gli altri motivi del ricorso incidentale e del ricorso principale. Ponendosi nel solco dell'orientamento consolidato, infatti, i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato che «nel caso di mancata attribuzione dell'assegno divorzile, in sede di giudizio di divorzio, per rigetto o per mancanza della relativa domanda, la determinazione dello stesso può avvenire solo in caso di sopravvenienza di giustificati motivi, concernenti la indisponibilità di mezzi adeguati e la impossibilità oggettiva di procurarseli, ovvero le condizioni o il reddito dei coniugi».

La questione

La pronuncia in esame affronta l'ipotesi di domanda di assegno di divorzio in separato ed autonomo giudizio, successivo al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio; in particolare, il profilo di maggior interesse si concentra sulla rilevanza dei fatti pregressi al giudizio di divorzio e, di conseguenza, sulla valenza del relativo giudicato (cioè se essa copra solo “il dedotto” od anche “il deducibile”). La pronuncia, emessa prima della celebre sentenza Cass. n. 11504/2017, non riguarda i presupposti per l'assegno di divorzio, attenendo a profili di solo rito.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha accolto il secondo motivo del ricorso incidentale, negando la possibilità di avanzare domanda per l'assegno divorzile in separato autonomo giudizio successivo al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili ma basato su fatti e circostanze pregressi alla sentenza stessa. Tale decisione si fonda sulla interpretazione (corretta) letterale dell'art. 9, comma 1, l. n. 989/1970, che indica solo nella presenza di “giustificati” e “sopravvenuti” motivi, la possibile base fattuale di una richiesta di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio.

Una lettura sistemica dell'art. 5 e dell'art. 9 l. n. 898/1970, infatti, permette di individuare unicamente nel giudizio rivolto allo scioglimento (o alla cessazione degli effetti civili) la sede per avanzare la richiesta di assegno basata su fatti e circostanze relative alla vita coniugale e rispondenti ai parametri dell'art. 5, comma 6; diversamente, una volta passata in giudicato la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, che nulla dispone in merito all'assegno, sarà possibile richiedere una modifica delle condizioni patrimoniali solo sulla base di circostanze e fatti sopravvenuti.

Tale orientamento interpretativo costituisce linea tendenzialmente unitaria nella giurisprudenza della Suprema Corte, considerando la valenza del giudicato (della sentenza di divorzio) per tutte le domande proponibili, anche per quelle non fatte valere in concreto, ma astrattamente deducibili in giudizio. La Corte ha accolto le ragioni del ricorso incidentale, facendo propria la considerazione che «quando la pronuncia sul divorzio non dispone l'attribuzione di un assegno essa contiene una pronuncia implicita d'inesistenza degli obblighi patrimoniali di un coniuge nei confronti dell'altro. Al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all'assegno pertanto necessario procedere ai sensi dell'art. 9 ed alle condizioni ivi contenute».

Osservazioni

Come già evidenziato, la Corte di Cassazione accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, considerandolo assorbente degli altri (fra i quali anche quelli relativi alla consistenza patrimoniale ed agli obblighi di diclosure nell'ambito del giudizio di divorzio) e centrando l'attenzione sull'ammissibilità di una domanda volta a modificare le condizioni (patrimoniali) del divorzio basata su circostanze antecedenti alla sentenza dichiarativa dello stesso. Con una stringata motivazione, che si richiama ai consolidati precedenti in materia (Cass. civ. 29 dicembre 2011, n. 30033 e Cass. civ. 25 agosto 2005, n. 17320), i Giudici cassano la sentenza impugnata, riconoscendo erronea l'interpretazione della Corte d'appello, nella parte in cui ritiene ammissibile la domanda autonoma pur in assenza di deduzioni in merito a fatti e circostanze sopravvenuti.

Sul punto, peraltro, appare opportuno sottolineare come tale linea interpretativa costituisca orientamento tendenzialmente unitario, come confermato anche dalla (di poco) precedente Cass. civ., sez. VI, 12 gennaio 2017, n. 683 («nel procedimento per la modifica delle condizioni di divorzio, la richiesta dell'assegno divorzile, previsto dalla l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, è ammissibile anche ove esso non sia stato precedentemente chiesto, ma è pur sempre necessario che siano dedotte e dimostrate - evidentemente nel giudizio di merito - circostanze sopravvenute, rispetto alle statuizioni del divorzio operanti rebus sic stantibus, concernenti la indisponibilità di mezzi adeguati e la impossibilità oggettiva di procurarseli. La rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio di divorzio rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile»).

Partendo dal presupposto della cd. incontrovertibilità, relativa della sentenza di divorzio (il cd. giudicato rebus sic stantibus) e proprio in considerazione della eventualità di sopravvenienze e cambiamenti che possono interessare la vita degli ex-coniugi, l'art. 9, comma 1, l. n. 898/1970 prevede la possibilità di richiedere il mutamento delle condizioni del divorzio (patrimoniali e relative ai figli) «quando sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio»: la norma quindi evidenzia il valore preclusivo che la sentenza di divorzio spiega rispetto alla deducibilità dei fatti e delle circostanze precedenti alla stessa. Una tale ricostruzione, peraltro, si presenta perfettamente in linea con la ratio dell'intera normativa in tema di scioglimento del matrimonio, garantendo il principio di certezza delle situazioni giuridiche ed evitando il protrarsi di situazioni di indeterminatezza in ordine all'assetto patrimoniale tra gli ex-coniugi.

L'efficacia preclusiva del giudicato (Falzea) si proietta non soltanto in relazione alle domande fatte valere in concreto, ma a tutte le richieste astrattamente configurabili e relative a fatti antecedenti (Figone, Rimini, Bonilini); in questi termini, peraltro, il passaggio in giudicato della sentenza si configura come un presupposto processuale per l'azione di modifica delle condizioni patrimoniali (Cass. S.U. 27 luglio 1993, n. 8389) o della eventuale richiesta di assegno su di esse basata, proprio perché in pendenza del giudizio ben potrebbero farsi valere tutte gli elementi idonei a definire gli assetti patrimoniali tra i coniugi. Su queste considerazioni, peraltro, non sono mancate ipotesi problematiche, quali, la considerazione di fatti intervenuti prima del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ma dopo la precisazione delle conclusioni nel giudizio d'appello, stante la impossibilità di deduzione degli stessi nel giudizio di legittimità (Cass. civ., sez. I, 29 agosto 1996, n. 7953) oppure la richiesta avanzata a seguito di sentenza straniera (Cass civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n.1863, relativa a sentenza di divorzio pronunciata nella Repubblica Ceca).

Secondo l'interpretazione maggioritaria, la mancata previsione di disposizioni in ordine all'assegno (in assenza di richiesta o in diniego delle stesse) indicherebbe una implicita affermazione della inesistenza di obblighi di corresponsioni economiche tra le parti in riferimento alla situazione patrimoniale degli ex-coniugi al momento della sentenza di divorzio. Né potrebbe distinguersi tra l'ipotesi della mancata presentazione della domanda da parte del coniuge regolarmente costituito, e l'ipotesi del coniuge contumace nel giudizio di divorzio, poiché, in diverse occasioni, la Cassazione ha sottolineato come debba valere per entrambi il medesimo effetto preclusivo (Cass. civ. 29 dicembre 2011, n. 30033 e Cass. civ. 25 agosto 2005, n. 17320). La domanda diretta al riconoscimento del diritto all'assegno ed alla liquidazione dello stesso può, pertanto, essere autonoma rispetto al giudizio di divorzio, pur mantenendo sempre una connessione funzionale con esso, ma qualora sia presentata dopo il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio deve fondarsi unicamente su fatti successivi, a nulla rilevando ogni circostanza pregressa; l'effetto preclusivo spiegato dal giudicato, pertanto, non può intendersi riferito alla proponibilità della domanda diretta ad ottenere l'assegno (negato o non richiesto in sede di giudizio di divorzio), ma solo alla deducibilità dei fatti posti a fondamento della richiesta. In presenza di una successiva domanda indirizzata alla attribuzione e liquidazione di assegno di divorzio, l'analisi del giudice, non potrà che appuntarsi su fatti successivi e sopravvenuti alla sentenza di divorzio (Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2006, n. 2338 «la possibilità, espressamente prevista dall'art. 9 citato, di revisione delle disposizioni in materia di divorzio relative alla misura dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 della medesima legge (a favore dell'ex coniuge o dei figli, rispettivamente) è basata sulla sopravvenienza di giustificati motivi, sicchè deriva dallo stesso sistema la necessità di verificare, sino al momento della decisione del Giudice di merito, anche in sede di reclamo, se tali motivi siano o meno sopravvenuti»). Come già più volte sottolineato tale orientamento costituisce la linea tendenzialmente maggioritaria della Corte di Cassazione: tra i precedenti in senso contrario può tuttavia ricordarsi la già citata Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1863 che ha ammesso la domanda successiva ed autonoma, «atteso che la contestualità fra la decisione sullo status e quella sull'assegno non è imposta dall'art. 5 l. n. 898/1970, né, a maggior ragione, può costituire preclusione processuale qualora la sentenza di divorzio provenga da un ordinamento che prevede la possibilità di introdurre separatamente le relative domande» ed aggiungendo che la domanda relativa all'assegno «si configura come domanda (connessa ma) autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio, e, pertanto, la parte che, nel corso del giudizio divorzile, non l'abbia ritualmente avanzata ben può proporla successivamente, senza che, a ciò, sia di ostacolo la (ormai intervenuta) pronuncia di scioglimento del vincolo di coniugio, operando il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi (come appunto, quella di riconoscimento dell'assegno rispetto a quella di divorzio), che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso giudizio». Tale ricostruzione, tuttavia, desta più di una perplessità perché, in assenza di ogni riferimento temporale, finirebbe per determinare una situazione di generale incertezza sugli assetti patrimoniali; peraltro, anche in riferimento a sentenza di divorzio pronunciata in diverso ordinamento, si consideri la recente pronuncia Trib. Modena, sez. II, 7 febbraio 2017, n. 769, che ha affermato, in relazione a sentenza di divorzio pronunciata in Ucraina, la competenza del giudice italiano a «valutare, ai sensi degli artt. 337-quinquies c.c., 5 e 6 l. n. 898/1970, il sopravvenuto mutamento delle circostanze, ai fini della richiesta revisione», con un riferimento costante alle sopravvenienze e non alle circostanze pregresse.

Guida all'approfondimento

F. Danovi, G. Bonilini (a cura di) Il procedimento di divorzio, in Trattato di diritto di famiglia, vol. III, Torino, 2016, 2578 ss.

A. Figone, Ferrando (a cura di) Le controversie successive alla separazione ed al divorzio, in Separazione e divorzio in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 2003, 903 ss.

G. Pagliani, I procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, Milano, 2006

M. Pittalis, M. Sesta (a cura di), sub art. 9 legge 1 dicembre 1970, n. 898, in Codice delle successioni e donazioni – Leggi Collegate, Milano, 2011, 3948

C. Rimini, L. Balestra (a cura di), sub art. 9 legge 1dicembre 1970, n.898, in Il diritto di famiglia. Leggi collegate in Commentario Gabrielli, Torino, 2010, 772 ss.

E. Serrao, Il giudizio di modificabilità delle condizioni di separazione e delle condizioni di divorzio, in Giur. Merito, 2013, 2114 ss.

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