Il mancato riconoscimento legale delle coppie omoaffettive viola la Convenzione dei diritti dell’uomo

31 Agosto 2015

La Corte di Strasburgo esordisce indagando l'esatto perimetro applicativo dell'art. 8 CEDU e ricordando che questa norma può anche imporre a uno Stato determinate obbligazioni positive per assicurare un effettivo rispetto dei diritti protetti.
Massima

Poiché le coppie omosessuali sono capaci, come le coppie eterosessuali, di costituire relazioni stabili e impegnative e sono in una situazione assai simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda il loro bisogno di riconoscimento legale e di protezione della loro relazione, le stesse necessitano di un riconoscimento legale e della protezione della loro relazione.

La normativa italiana viola l'art. 8 CEDU: il Governo italiano nel libero esercizio del margine di apprezzamento degli interessi contrapposti ha mancato di adempiere il suo obbligo positivo di assicurare alle coppie omosessuali il rispetto della vita familiare e privata ossia uno specifico quadro legale che preveda il riconoscimento per la tutela delle loro unioni omosessuali.

Il caso

Il signor Oliari e il suo compagno richiedono all'Ufficiale dello Stato Civile di Trento di procedere alle pubblicazioni matrimoniali avendo i nubendi intenzione di sposarsi. Il funzionario adito respinge la richiesta. Il diniego viene impugnato dalla coppia dinanzi al Tribunale di Trento che rigetta l'impugnazione. La Corte di Appello, adita in sede di gravame, giudica rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme italiane vigenti, nella parte cui non consentono il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La Corte Costituzionale, (C. cost., sent., n. 138/2010), dichiara non fondata la questione sollevata stimando necessario un intervento del Legislatore italiano per riconoscere tutela alle same sex relationships. La Corte di Appello di Trento, conseguentemente, respinge l'atto di appello con decisione del 21 settembre 2010. Il sig. Oliari e il suo compagno ricorrono alla Corte dei Diritti dell'Uomo. Il giudice di Strasburgo stima fondate le doglianze e dichiara che, nel loro caso, l'Italia ha consumato una violazione dell'art. 8 CEDU (con motivazione essenzialmente contenuta nei paragrafi da 159 a 188).

La questione

La Corte di Strasburgo esordisce indagando l'esatto perimetro applicativo dell'art. 8 CEDU e ricordando che questa norma può anche imporre a uno Stato determinate obbligazioni positive per assicurare un effettivo rispetto dei diritti protetti. Secondo la Corte, pertanto, dall'art. 8 cit. germinano non solo obblighi negativi ma anche (e soprattutto) positivi: questi obblighi possono includere l'adozione di misure finalizzate ad assicurare il rispetto per la vita privata o la vita familiare anche nella sfera delle relazioni interindividuali. L'adempimento di queste obbligazioni positive può essere oggetto del sindacato giurisdizionale della Corte Edu: il Collegio ha cura di ricordare che questo sindacato non impatta con il “margine di apprezzamento” riservato ai singoli Stati, poiché si traduce in una sorta di controllo di coerenza e ragionevolezza che pone al centro della valutazione “il diritto protetto”. Esaminando il caso italiano, la Corte colloca il tema del riconoscimento delle unioni omosessuali nella situazione legislativa italiana ed appura che, in questo Stato, a tutt'oggi, due persone di sesso uguale non solo non possono unirsi in matrimonio ma nemmeno possono costituire una unione civile o accedere a una partnership registrata. Secondo la Corte, conseguentemente, la domanda a cui offrire soluzione è la seguente: se l'Italia abbia omesso di adempiere l'obbligo positivo per assicurare il rispetto della vita familiare e privata delle persone omosessuali in particolare attraverso la previsione di un quadro legale che consenta loro di avere una relazione riconosciuta e protetta ai sensi della legge nazionale.

Le soluzioni giuridiche

Nel tentativo di offrire una risposta convincente a questo interrogativo, la Corte EDU enuncia diversi snodi argomentativi.

1) Le coppie omosessuali sono capaci, come le coppie eterosessuali, di costituire relazioni stabili e impegnative e sono in una situazione assai simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda il loro bisogno di riconoscimento legale e di protezione della loro relazione (v. Schalk and Kopf, § 99, e Vallianatos, §§78 e 81, cit.). Ne segue che «le coppie omosessuali necessitano di un riconoscimento legale e della protezione della loro relazione». Questa necessità è stata espressa dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, che ha raccomandato che il Comitato dei ministri inviti gli Stati membri, tra l'altro, «ad adottare una legislazione che preveda le partnership registrate» già ben 15 anni fa e più recentemente dal Comitato dei ministri (nella sua raccomandazione CM/Rec 2010), che ha invitato gli Stati membri, ove legislazione nazionale non riconoscesse o non attribuisse diritti e obblighi alle partnership omosessuali registrate di considerare la possibilità di munire le coppie omosessuali di mezzi legali o di altro genere per risolvere i problemi pratici relativi alla realtà sociale in cui vivono.

2) Nel caso dell'Italia, il sig. Oliari e il suo compagno, non avendo la possibilità di sposarsi, non hanno avuto modo di accedere ad un quadro giuridico specifico come quello delle unioni civili o delle partnership registrate, in grado di munirli del riconoscimento del loro stato e di garantire loro determinati diritti rilevanti per una coppia che si trovi in una relazione stabile e duratura. L'attuale status dei due “nubendi”, «nel contesto legale interno può essere considerato soltanto una unione “de facto”, che può essere regolata da certi accordi contrattuali privati dallo scopo limitato». Infatti, la Corte rileva come questi accordi del tutto privatistici e di coabitazione, non possono regolare inter alia, i diritti e gli obblighi reciproci che i partners hanno l'uno nei confronti dell'altro inclusi l'assistenza morale e materiale, le obbligazioni alimentari ed i diritti ereditari. Ne segue che gli stessi non possono essere considerati come accordanti il riconoscimento e la tutela indispensabile per le unioni same-sex.

3) Il “diritto giurisprudenziale” italiano è oggettivamente contraddittorio e dominato da evidenti aporie: dalla giurisprudenza portata all'attenzione della Corte, traspare che il riconoscimento di determinati diritti è stato rigorosamente sostenuto, ferma la necessità di assicurare protezione per le coppie omosessuali e di evitare un trattamento discriminatorio, ma «solo sollevando numerose identiche questioni presso le Corti nazionali». Insomma: un diritto di protezione che è meramente affermato ma che vive e si attualizza solo a seguito di una decisione di un tribunale (se favorevole). Un diritto fondamentale che, insomma, nasce solo nelle Aule di Giustizia e a seconda dell'orientamento del giudice adito. Un Diritto “enunciato” ma non seriamente costruito. La Corte EDU “bacchetta” anche il meccanismo di tutela proposto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 138/2010: in casi analoghi, un trattamento deteriore può essere oggetto di scrutinio davanti alla Consulta. Ma per la Corte EDU, questo vuol dire costringere la persona “discriminata” ad accedere al sistema Giustizia, con il rischio di non arrivare mai alla Corte delle Leggi o di arrivarci dopo tre gradi di giurisdizione interna. A questo proposito la Corte EDU ha anche notato che il Governo «ha esercitato con ostinazione il suo diritto a opporsi alle domande delle persone omosessuali (vedi per esempio l'appello contro la decisione del Tribunale di Grosseto) così mostrando uno scarso appoggio per le decisioni dalle quali esse dipendono».

All'esito del suo scrutinio, la Corte EDU accerta che la tutela attualmente disponibile in Italia per le unioni omoaffettive «non soltanto appare carente di contenuto, in quanto omette di provvedere per le necessità basilari che sono rilevanti per una coppia in una relazione stabile e duratura, ma è anche non sufficientemente stabile - dipende dalla coabitazione, come anche dall'atteggiamento del giudice o talvolta dell'autorità amministrativa nel contesto di un Paese che non è vincolato dal sistema del precedente giudiziario» (v. Torri and Others v. Italy, (dec.), nos. 11838/07 and 12302/07, § 42, 24 gennaio 2012). Alla luce delle superiori considerazioni la Corte ritiene che, in assenza del matrimonio, le coppie omosessuali hanno un interesse specifico ad ottenere la facoltà di costituire una forma di unione civile o partnership registrata, dal momento che questo sarebbe il modo più appropriato in cui potrebbero vedere legalmente riconosciuta la loro relazione e che garantirebbe loro la rilevante tutela - nella forma dei diritti fondamentali spettanti ad una coppia in una relazione stabile ed esclusiva -, senza ostacoli non necessari. Questo riconoscimento comporterebbe inoltre un senso di legittimazione alle coppie omosessuali. Secondo la Corte EDU, l'obbligo di provvedere al riconoscimento non infrangerebbe il margine di apprezzamento riservato agli Stati membri: infatti, «il caso di specie concerne esclusivamente la necessità generale di un riconoscimento giuridico e la protezione essenziale delle coppie omosessuali. La Corte ritiene che questi ultimi siano aspetti dell'esistenza e dell'identità di un individuo a cui dovrebbe applicarsi il relativo margine di apprezzamento».

La Corte EDU non manca pure di evidenziare la insanabile contraddizione che in Italia si è creata tra realtà sociale e realtà giuridica e, al riguardo osserva che: a) le statistiche nazionali ufficiali dimostrano che ci sono circa un milione di omosessuali (o bisessuali) nella sola Italia centrale; b) è ormai pacifica la tendenza al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali che ha continuato a svilupparsi rapidamente in Europa dal giudizio della Corte Schalk and Kopf. Attualmente una stretta maggioranza degli Stati del consiglio d'Europa ha legiferato in favore di tale riconoscimento e della relativa tutela; l'esigenza di riconoscimento riflette i sentimenti della maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato da statistiche ufficiali le quali indicano che c'è nella popolazione italiana un'accettazione da parte della gente comune delle coppie omosessuali come anche un appoggio popolare per il riconoscimento della loro tutela.

La Corte EDU non può poi non rilevare come «a dispetto di alcuni tentativi lungo tre decenni il legislatore italiano è stato incapace di approvare la relativa normativa» e, inoltre, «ha volontariamente o in difetto della necessaria determinazione lasciato inascoltati i ripetuti appelli delle Supreme Corti d'Italia». E, al riguardo, come dar torno alla Corte EDU: basti ricordare che il Presidente della Corte costituzionale stesso, nella relazione annuale della Corte, ha lamentato la mancanza di una risposta da parte del legislatore alla pronuncia della Corte costituzionale proprio nel caso Oliari. È interessante il rilievo che svolge la Corte di Strasburgo al riguardo: «la Corte ritiene che questa ripetuta omissione del legislatore di tenere conto delle pronunce della Corte costituzionale o delle raccomandazioni che in esse si riferivano alla coerenza con la Costituzione, per un significativo periodo di tempo, potenzialmente indebolisce le responsabilità del potere giudiziario».

In conclusione, nell'assenza di un interesse prevalente della comunità allegato dal Governo italiano contro il quale equilibrare i fondamentali interessi delle coppie omosessuali, e alla luce delle conclusioni delle Corti nazionali sulla materia, che sono rimaste inascoltate, la Corte EDU ritiene che «il Governo italiano ha ecceduto il suo margine di apprezzamento ed ha mancato di adempiere il suo obbligo positivo di assicurare che ai ricorrenti fosse disponibile uno specifico quadro legale che prevedesse il riconoscimento per la tutela delle loro unioni omosessuali». Vi è conseguentemente stata violazione dell'art. 8 CEDU.

Osservazioni

È opportuno – seppur brevemente – tracciare l'attuale “diritto vivente” (italiano) in materia di unioni tra persone dello stesso sesso, al lume di una legislazione che, di fatto, è inesistente in materia: che si tratti di estendere il matrimonio alle coppie same-sex o che si tratti di prevedere, in loro favore, una forma diversa di riconoscimento, il Parlamento resta silente, ignorando gli stessi moniti della Corte Costituzionale e del Legislatore europeo. Giova premettere che il costume giurisprudenziale italiano, in materia di matrimonio è stato tradizionalmente orientato a postulare la diversità dei sessi quale requisito implicito imprescindibile per assegnare a una unione l'importante aggettivazione: «familiare». La realtà sociale e giuridica europea ed extraeuropea ha, tuttavia, progressivamente influenzato questa corrente di pensiero in quanto sempre più Stati – soprattutto dell'UE – hanno introdotto legislazioni volte a riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso riconducendole, con differenti strumenti giuridici, al concetto di famiglia vuoi fondata sul matrimonio, vuoi fondata su una convenzione civile (in Europa, v.: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia). Sotto la spinta degli innegabili mutamenti sociali, la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 138/2010 ha infine ricondotto l'unione omosessuale alle formazioni sociali tutelate dall'art. 2 Cost. affermando, tuttavia, la riserva del Parlamento con riguardo alla individuazione delle forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni tra persone dello stesso sesso. A poco tempo di distanza dalla pronuncia della Consulta Italiana, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (sentenza 24 giugno 2010, caso Schalk e Kopf contro Austria) ha mutato indirizzo proprio in materia di unione omosessuale statuendo che, la coppia formata da persone dello stesso sesso, convivente con una stabile relazione di fatto «rientra nella nozione di vita familiare, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione». La pronuncia della Corte EDU ha dunque conclusivamente riconosciuto alla coppia omosessuale la qualifica di “famiglia”, ai fini dell'applicazione dell'art. 8 CEDU («Diritto al rispetto della vita privata e familiare»), con una linea di pensiero confermata con la sentenza del 7 novembre 2013 (Vallianatos e altri c/ Grecia). La “nuova” giurisprudenza dei Diritti ha influenzato le Corti interne provocando, di fatto - anche in questo livello pretorile - un ripensamento dei principi di diritto regolatori della materia: infatti la Corte di Cassazione, con la sentenza 15 marzo 2012 n. 4184, melius re perpensa, ha affermato che il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso non può ritenersi inesistente o invalido ma semplicemente improduttivo di effetti nell'ordinamento giuridico italiano; così, tuttavia, introducendo nella teoria generale del negozio giuridico una fattispecie inedita, priva di coerenza sistematica con le categorie concettuali della inefficacia e della validità. Il diritto vivente risultante dagli interventi giurisprudenziali italiani ha avuto l'effetto di innalzare gratificanti principi giuridici a sostegno delle unioni same-sex, senza tuttavia, creare alcun tipo di effettiva e concreta tutela giuridica: l'unione, all'interno dello Stato, non è consentita; l'unione, se formata all'esterno dello Stato, non è riconosciuta. Si assiste, così, nell'Ordinamento giuridico italiano a quello che, i medioevali, chiamerebbero “insolubilia” e che, semplificando, potremmo definire un paradosso logico o negativo: le premesse di ragionamento che dovrebbero condurre alla soluzione sono, invero, da essa contraddette. La coppia omoaffettiva è “famiglia” ed è tutelata costituzionalmente: ma non può contrarre matrimonio e non ha accesso ad alcuna forma di unione civile; la coppia omoaffettiva può formarsi all'estero e creare degli status nel rispetto della legalità straniera: ma questi atti non hanno effetto in Italia (sia consentito richiamare, in questi termini: Buffone, Quella grave assenza di certezze giuridiche sulla omogenitorialità in Guida al Diritto, 2015, 1). In questa rete di insolubilia si è imbattuta la Corte EDU (con la presenza di un giudice italiano, peraltro): e la conseguenza è apparsa scontata ai più. Violazione di diritti umani delle persone omossessuali. Siamo in Italia. Ed è il 2015.

La pronuncia Oliari è dirompente e particolarmente severa. La Corte dei Diritti scatta una fotografia del sistema legale italiano, in materia di unioni omoaffettive, che lascia perplessi: un legislatore “incapace” di legiferare; le più Alte Corti italiane “inascoltate; i diritti fondamentali delle persone omosessuali abbandonati “nell'incertezza giuridica”; il Governo italiano impegnato a contrastare le pretese delle stesse “con ostinazione”. Ma che effetti pratici? Attualmente, per effetto della sentenza Oliari, le norme italiane in materia di unioni tra persone dello stesso sesso (rectius: le “non – norme”) sono incostituzionali nella parte in cui non consentono il riconoscimento della coppia same-sex. Ne consegue una violazione dell'art. 117 Cost., per strappo dell'art. 8 CEDU. Una violazione non più “potenziale” ma attuale. Quid juris? Persistendo l'inerzia del legislatore è ipotizzabile un nuovo intervento della Corte Costituzionale: infatti, come noto, l'inerzia del legislatore (antidoverosa di fronte a una norma costituzionalmente “necessaria”) può provocare una nuova reazione delle Corte delle Leggi sulla scorta di quel fenomeno giurisprudenziale che la Dottrina qualifica come “omissione legislativa incostituzionale” o come “cd. legislatore negativo”. D'altro canto, la Consulta non può comunque “creare un istituto nuovo”: da qui, la possibilità di una pronuncia analoga a quella di cui alla sentenza n. 170/2014 (in materia di cd. divorzio imposto in caso di rettifica del sesso), di “accertamento” della incostituzionalità delle disposizioni in materia di matrimonio (allo stato, l'unica forma di tutela civile di una unione) nella parte in cui non sono accessibili alle coppie di persone dello stesso sesso in assenza di un'altra forma di riconoscimento; con conseguente reazione della Suprema Corte, con pronuncia analoga alla n. 8097/2015: ossia, in attesa dell'intervento del Legislatore, facoltà per le coppie omosessuali di unirsi in matrimonio. Insomma: confetti bianchi per tutti. Anzi, per chi vuole: arcobaleno.

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