Maternità surrogata: inammissibile l'impugnazione di una stepchild adoption da parte della procura generale presso la Corte d'Appello

Comitato Scientifico
Comitato scientifico
28 Novembre 2016

La Corte d'appello di Roma dichiara inammissibile l'impugnazione proposta dal Procuratore Generale avverso una sentenza del locale Tribunale minorile, che aveva dichiarato l'adozione in casi particolari a favore del compagno del genitore biologico di un bimbo, nato all'estero con la tecnica della maternità surrogata; quella sentenza, infatti, non era stata impugnata dal Pubblico Ministero presso il Giudice a quo, unico soggetto legittimato.

Il caso. Per realizzare un progetto di genitorialità condivisa, una coppia di uomini conviventi (che già avevano contratto matrimonio all'estero) ricorre alla maternità surrogata in uno dei Paesi in cui questa tecnica è disciplinata per legge. Uno dei due uomini mette così a disposizione il proprio seme, con il quale si procede ad una fecondazione in vitro e l'embrione viene impiantato nell'utero della donna, che partorisce un bimbo. Dopo il rientro in Italia, il compagno del genitore biologico del bimbo inoltra domanda di adozione ex art. 44 lett. d) l. n. 184/1983, che il Tribunale minorile di Roma accoglie; la sentenza non viene impugnata nei termini dalla Procura minorile e passa in giudicato. L'ufficiale di stato civile procede alla relativa annotazione nell'atto di nascita. La Procura generale presso la Corte d'appello, assumendo un potere di legittimazione concorrente all'impugnazione insieme con il P.M. presso il Giudice a quo, interpone appello, deducendo di essere ancora in termini, per non esserle stata notificata la sentenza. La Corte d'appello dichiara inammissibile l'impugnazione.

La legittimazione all'impugnazione della Procura Generale. La Corte d'appello evidenzia come la struttura del pubblico ministero in sede civile diverga da quella del rito penale. I poteri del P.M. in sede civile sono delineati, infatti, dall'art. 72 c.p.c., senza che possa estendersi la disciplina di cui all'art. 570 c.p.p.. Di regola, nei procedimenti civili in cui il P.M. non ha potere di azione, questi può comunque interporre impugnazione, a prescindere dalla posizione processuale delle parti private legittimate, solo ed esclusivamente in ordine alle cause matrimoniali (anche in relazione a declaratorie di efficacia o meno in Italia di pronunce estere sul vincolo), con l'eccezione di quelle di separazione personale. Il comma 5 dell'art. 72 c.p.c. stabilisce poi che il potere di impugnare spetta in concreto – nelle cause di cui ai commi 3 e 4 e soltanto in quelle – «sia al pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato la sentenza e sia a quello presso il giudice competente a decidere sull'impugnazione». Nelle altre cause, invece, il potere di impugnare spetta solo al P.M. presso il giudice che ha pronunciato la sentenza, spettando invece al P.G. presso il giudice dell'impugnazione, il potere di compiere gli atti del giudizio impugnatorio, come più volte affermato dalla Suprema Corte.

In particolare, sulla legittimazione della Procura Generale all'impugnazione di sentenze di adozione. Osserva la Corte capitolina che «in mancanza di una previsione contraria che abiliti anche il P.G. presso la Corte d'Appello all'impugnazione delle sentenze in materia adozionale pronunciate in primo grado non potrà che trovare applicazione la regola generale precedentemente esposta di cui all'art. 72 c.p.c.». Il Procuratore Generale è dunque privo di legittimazione ad impugnare una sentenza di adozione in casi particolari, la cui disciplina specifica (art. 56 l. n. 184/1983) in nulla deroga alla regola generale dell'art. 72 c.p.c.. E ciò pure quando si controverta di materie così sensibili quali l'attribuzione dello status, a seguito di nascite con ricorso alla maternità surrogata.

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