L’esistenza di un cospicuo patrimonio ereditario non legittima la dichiarazione di interdizione del soggetto affetto da disabilità

29 Gennaio 2016

L'ambito di applicazione dei due istituti dell'interdizione e dell'amministrazione di sostegno deve essere individuato avendo riguardo non già al diverso grado d'infermità o d'impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, in ipotesi più intenso per l'interdizione, ma alla maggiore idoneità dell'amministrazione di sostegno ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa.
Massima

L'ambito di applicazione dei due istituti dell'interdizione e dell'amministrazione di sostegno deve essere individuato avendo riguardo non già al diverso grado d'infermità o d'impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, in ipotesi più intenso per l'interdizione, ma alla maggiore idoneità dell'amministrazione di sostegno ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. La sussistenza di un ingente patrimonio e l'atteggiamento oppositivo manifestato verso il tutore non giustificano l'esclusione, necessariamente collegata alla pronuncia di interdizione, delle capacità di compiere autonomamente gli atti necessari per il soddisfacimento delle esigenze di vita quotidiana, ma solo l'imposizione del supporto di un amministratore di sostegno ed eventualmente dell'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore ai fini della gestione del predetto cospicuo patrimonio.

Il caso

Tizia, madre di Caia, chiedeva che la figlia venisse dichiarata interdetta a causa dell'infermità di mente che la rendeva incapace di provvedere alla cura dei propri interessi, anche in considerazione dell'ingente patrimonio ereditato dal padre che rendeva necessario l'esperimento di complesse pratiche amministrative; nonché in ragione della sua manifesta oppositività ad eventuali misure di protezione.

Il Tribunale, all'esito dell'istruttoria esperita anche tramite CTU medico-legale, pronunciava l'interdizione di Caia, la quale appellava la sentenza.

La Corte d'Appello accoglieva il gravame revocando la pronuncia d'interdizione e rimettendo gli atti al Giudice Tutelare per la nomina di un amministratore di sostegno.

Avverso la pronuncia di secondo grado proponeva ricorso Tizia.

In motivazione:

«Questa Corte ha già avuto modo di sottolineare come dalla disciplina dettata dalla legge n. 6/2004 emerga incontrovertibilmente l'intento del legislatore di salvaguardare nella massima misura possibile l'autodeterminazione del soggetto in difficoltà, attraverso il superamento concettuale del momento autoritativo, tradizionalmente connesso al divieto di compiere una serie più o meno ampie di attività, in correlazione all'accertato grado di incapacità, a favore di un'effettiva protezione della sua persona, che si attua prestando la massima attenzione alla sua sfera volitiva ed alle sue esigenze, in conformità al principio costituzionale del rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo».

La questione

In caso di soggetto affetto da menomazioni e/o infermità incidenti sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi, che sia altresì in possesso d'ingente patrimonio, tale da rendere necessario il compimento di atti di amministrazione particolarmente complessi e, oltretutto, oppositivo nei confronti della misura di protezione, è opportuno ricorrere alla misura di protezione giuridica dell'interdizione o deve comunque privilegiarsi quella, meno invasiva, amministrazione di sostegno?

Le soluzioni giuridiche

Relativamente al discrimen tra amministrazione di sostegno ed interdizione, era stato inizialmente delineato dai primi commentatori della legge n. 6/2004 un criterioquantitativo”, correlato dunque al diverso grado di incapacità manifestato dal soggetto: ad una minore gravità della patologia invalidante corrispondeva la meno invasiva misura dell'amministrazione di sostegno; ad una maggiore gravità dell'infermità, l'interdizione.

La giurisprudenza di legittimità ha ben presto ridimensionato detto criterio, precisando che rispetto ai tradizionali istituti di protezione dei soggetti incapaci, quali l'inabilitazione e l'interdizione, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno andasse individuato con riguardo non tanto e comunque non solo al diverso e minore grado d'infermità o d'impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, quanto alla maggiore capacità del nuovo strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in ragione della sua flessibilità ed della maggiore agilità nella relativa procedura applicativa, dovendo quindi il giudice di merito valutare la conformità di tale misura alle suindicate esigenze in considerazione del tipo di attività che doveva essere compiuta per conto del beneficiario e considerando, oltre alla gravità della malattia, tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie concreta (Cass. civ. n. 13584/2006, confermata dalle successive sentenze nn. 25366/2006, 9628 e 17421/2009 e 4866/2010).

In seguito, è stato posto sempre di più l'accento sulla necessità di valutare l'applicabilità dell'uno o dell'altro istituto in ragione della concreta idoneità della misura protettiva, caso per caso, in applicazione di un criterio “funzionale” che non può prescindere da un'istruttoria attenta e approfondita, necessaria al fine di individuare le specifiche necessità del soggetto debole relativamente agli atti da compiere a sua tutela e, correlativamente, lo strumento giuridico più idoneo per garantirgli adeguata tutela.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità aveva finora posto l'accento, al fine della scelta dell'istituto da applicare, sul tipo di attività da compiere in favore della persona necessitante protezione, ritenendo in particolare che a fronte della cospicua entità del patrimonio del soggetto debole (e della conseguente complessità della gestione dei suoi beni) e della sua attitudine a porre in discussione i risultati dell'attività di sostegno fosse opportuno optare per il più invasivo ma più protettivo strumento dell'interdizione.

La sentenza in commento afferma invece che anche in caso di patrimonio consistente e di soggetto oppositivo debba comunque preferirsi l'amministrazione di sostegno (quantomeno in prima battuta e salvo ogni successivo accertamento sull'idoneità protettiva dell'istituto) qualora il soggetto abbia dimostrato di mantenere una certa sfera di autonomia, pur limitata agli affari più semplici e quotidiani della propria vita.

Cambia dunque, in questa ultima pronuncia della Suprema Corte, l'oggetto della valutazione dell'organo giudicante: ciò che occorre accertare in via prioritaria non sarebbe tanto la tipologia dell'attività da compiere, quanto la sussistenza di una residua autonomia del soggetto necessitante tutela.

Osservazioni

Al fine di decidere in merito all'applicazione dell'interdizione o dell'amministrazione di sostegno occorre dunque comprendere prima di ogni ulteriore circostanza, tramite idonea attività istruttoria, se sussistano eventuali, residui spazi di autonomia volitiva e gestionale: ove presenti, dal momento che questi spazi necessitano di essere in ogni caso preservati, non dovendo subìre la persona alcuna compromissione alla propria sfera di libertà che non sia strettamente necessaria per la sua protezione, non potrà adottarsi l'interdizione trovando invece idoneo spazio applicativo l'istituto dell'amministrazione di sostegno, adeguatamente modulato e modellato in base alle specifiche necessità protettive.

Allo scopo di ricercare dette residue capacità, il giudice dovrà in primo luogo ricostruire lo stile di vita della persona necessitante tutela giuridica, valutandone ad esempio il curriculum di studio e/o di lavoro, la sfera affettiva e di relazione, la capacità di gestirsi autonomamente e di provvedere adeguatamente a sé e alla propria casa ecc...; queste residue autonomie, una volta accertate, andranno preservate, demandando all'assistenza o alla rappresentanza dell'amministratore di sostegno soltanto quegli atti che il soggetto non sia effettivamente in grado di comprendere e/o di compiere.

In tale valutazione, il giudicante non potrà esimersi da un'analitica e approfondita attività istruttoria: oltre al fondamentale esame del soggetto interessato, si dovranno sentire gli eventuali familiari nonché eventualmente anche altri soggetti a conoscenza dei fatti (es.: medico di base, psichiatra del centro di salute mentale di riferimento, assistente sociale, amici di lungo corso, ecc.) disponendo infine ove necessario CTU medico-legale utile al fine di comprendere la tipologia della menomazione/infermità e la relativa incidenza sulla sfera volitiva e gestionale della persona.

Una volta accertata la sussistenza di sfere di autonomia e la loro precisa individuazione si dovrà privilegiare il più malleabile strumento dell'amministrazione di sostegno, delineandosi le modalità per il compimento delle attività in cui dovrà intervenire l'amministratore di sostegno (in assistenza ovvero in rappresentanza della persona beneficiaria) anche avallato, in caso di questioni particolarmente complesse, da professionisti e/o esperti ed eventualmente prevedendo espressamente ex art. 411 c.c. che determinati effetti, limitazioni o decadenze sancite dalla legge per l'interdetto o l'inabilitato si estendano anche al beneficiario.

In caso di particolare oppositività del soggetto, del resto, sarà sempre possibile ricorrere al giudice tutelare ex artt. 410 comma 2 e 413 c.c. il quale potrà anche, nei casi più gravi, informare il PM affinché promuova l'interdizione, istituto ormai residuale.

Ciò consente di ottenere un adeguato livello di protezione del soggetto debole senza limitare, ove non strettamente necessario, la capacità di agire della persona ed anzi valorizzandola nelle proprie autonomie e residue potenzialità, nel pieno rispetto dello spirito e della ratio della l. n. 6/2004.

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