La natura assistenziale dell’assegno divorzile

Marta Rovacchi
30 Giugno 2017

I giudici della Suprema Corte sono stati chiamati ancora una volta a pronunciarsi sulla questione della natura dell'assegno divorzile e sulla analisi dei presupposti di legge, di cui all'art. 5, l. n. 898/1970, che giustificano l'attribuzione di una somma a favore del richiedente.
Massima

L'assegno divorzile ha natura assistenziale e deve permettere a chi non dispone di redditi sufficienti di condurre un'esistenza libera e dignitosa.

Il caso

In un procedimento relativo alla cessazione degli effetti civili di matrimonio, il Tribunale di Catania, con sentenza 26 marzo 2007, aveva rigettato la domanda della moglie volta ad ottenere un assegno divorzile in quanto la stessa non aveva adeguatamente provato il suo stato di disoccupazione.

La “ex” moglie proponeva impugnazione avverso la suddetta decisione avanti la Corte di appello di Catania la quale ha riformato la sentenza del giudice di prime cure attribuendo alla moglie un assegno divorzile di € 200,00 mensili e ponendo a carico del convenuto anche le spese di lite del grado di giudizio.

I giudici della Corte territoriale, consideravano, infatti, che se da una parte la ricorrente non aveva presentato la dichiarazione dei redditi poiché aveva lavorato solo qualche mese in un call center, il marito risultava dipendente a tempo indeterminato con uno stipendio mensile di circa € 2.500,00.

Nel suo reclamo, la moglie aveva evidenziato che tale situazione economica era immutata dal tempo della separazione, sede nella quale le era stato riconosciuto un assegno di mantenimento.

A questo ultimo proposito all'organo giudicante preme sottolineare che dalla natura prettamente assistenziale dell'assegno divorzile non consegue la automatica riproduzione, nel divorzio, delle statuizioni patrimoniali adottate in sede di separazione, avendo l'assegno di mantenimento in quest'ultimo giudizio funzione differente.

Nella fattispecie in esame, tuttavia, veniva in rilievo il fatto che la appellante vivesse con le figlie nella casa dei suoi genitori e che il marito, oltre a percepire il reddito da lavoro dipendente, aveva anche possidenze immobiliari e si era anche formato una nuova famiglia che appariva perfettamente in grado di mantenere. Tali circostanze sono state ritenute dalla Corte di appello sufficienti per giustificare il riconoscimento a favore della moglie di un assegno divorzile.

Tale decisione veniva impugnata avanti la Suprema Corte di Cassazione dal marito che nel proprio ricorso lamentava: 1) che non fosse stata tenuta in adeguato conto la natura assistenziale dell'assegno divorzile che richiede la prova della inesistenza assoluta di possibilità di lavoro, laddove l'ex coniuge, cinquantenne ed in possesso di diploma magistrale, avrebbe, a suo dire, potuto trovare una occupazione redditizia; 2) che non fosse stata fatta dalla corte di merito una adeguata comparazione dei redditi e delle potenzialità reddituali delle parti, dal momento che anche la ex moglie aveva possidenze immobiliari, non aveva provato il proprio stato di disoccupazione e lui aveva addirittura formato una nuova famiglia gravosa economicamente; 3) che la condanna a suo carico al pagamento delle spese processuali fosse illegittima non risultando, egli, di fatto soccombente anche in considerazione del fatto che la richiesta della moglie di attribuzione di un assegno di € 1.200,00 mensili, non era stata accolta né in primo né in secondo grado.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, respinge il ricorso avanzato dall'ex coniuge attraverso un breve esame della natura dell'assegno divorzile applicandolo alla concreta situazione delle parti così come emersa nei due gradi di giudizio.

La questione

I giudici della Suprema Corte sono stati chiamati ancora una volta a pronunciarsi sulla questione della natura dell'assegno divorzile e sulla analisi dei presupposti di legge, di cui all'art 5, l. n. 898/1970, che giustificano l'attribuzione di una somma a favore del richiedente.

È, infatti, dalla risposta a tali quesiti che l'organo giudicante, nella sua bifasica valutazione, potrà valutare la sussistenza concreta, caso per caso, dei suddetti presupposti sia dal punto di vista dell'esistenza del diritto in capo al coniuge più debole, sia da quello della quantificazione in denaro.

Le soluzioni giuridiche

Quando si fa riferimento alla natura assistenziale dell'assegno di divorzio, che cosa si intende esattamente?

È la prima risposta che la Corte fornisce in questa sentenza specificando che lo scopo dell'assegno è quello di consentire al coniuge richiedente di condurre un'esistenza libera e dignitosa laddove non possieda redditi sufficienti a garantirgliela.

Ma la quantificazione e la misura di tale somma devono essere tali da evitare illegittime locupletazioni e finalità parassitarie.

Errato, pertanto, segnala la Suprema Corte, sostenere che la norma richieda la incontrastata prova da parte del richiedente della assoluta impossibilità di trovare o effettuare qualsiasi lavoro, come avanzato dall'ex marito nel proprio ricorso per Cassazione, in quanto la natura assistenziale dell'assegno divorzile deve essere interpretata, conformemente alla legge, nel significato testè enunciato.

Nel caso di specie, dunque, gli elementi, per di più processualmente incontestati, che la Corte di Cassazione ha valutato sono: a) la ex moglie non ha un impiego fisso e non dispone di un reddito regolare; b) la stessa non beneficia neppure dell'abitazione sede della casa familiare, vivendo con le figlie in un immobile messole a disposizione dai suoi genitori; c) ha ammesso di essersi adoperata per trovare un lavoro e, all'uopo, di essere stata occupata per alcuni mesi in un call center; d) l'ex marito percepisce uno stipendio medio mensile di circa € 2.500,00 ed è titolare di intestazioni immobiliari; e) la circostanza che la ex moglie sia proprietaria di un quarto della casa dove vive il marito, peraltro titolare per l'intero del resto della casa, altro non fa, a parere dei giudici, che confermare la enorme disparità reddituale tra le parti e lo squilibrio delle conseguenti capacità patrimoniali tra le stesse.

L'assegno divorzile di € 200,00 mensili posto a carico del convenuto a favore della moglie da parte della Corte di appello, dunque, è apparso, per quanto modesto, motivatamente riconosciuto ed adeguato ai parametri normativi in ordine alla quantificazione dello stesso.

È stato altresì respinto dalla Cassazione anche il motivo di impugnazione avanzato dall'ex marito in punto spese processuali. Ricordiamo, a questo proposito, che il Tribunale di merito aveva disposto la compensazione delle spese e la Corte territoriale aveva condannato il convenuto al pagamento di quelle relative a tale grado di giudizio.

Chiariscono, infatti, i giudici che il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto interamente vittoriosa non può essere condannata al pagamento delle spese.

Nel caso di specie, tale circostanza non si è verificata e, pertanto, esula dal sindacato della Corte di Cassazione valutare l'opportunità o meno di compensare o meno le spese di lite sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella di concorso con altri giusti motivi, e, quindi, provvedere alla loro quantificazione, rientrando tale valutazione nel potere discrezionale del giudice di merito.

Osservazioni

Non si può non evidenziare che la sentenza in esame succede di un solo giorno a quella della stessa Corte di Cassazione n. 11504 che tanto ha fatto discutere e che ha avuto una significativa eco mediatica per avere ridotto l'ambito dei presupposti idonei a giustificare l'attribuzione dell'assegno divorzile e, conseguentemente, la possibilità per il coniuge più debole di vedersi riconosciuto tale diritto.

Ad una lettura superficiale, potrebbe sembrare, dunque, che la sentenza dell'11 maggio 2017, oggetto del presente contributo, sia in contrasto con la pronuncia immediatamente precedente.

In realtà, non è così.

Il comune denominatore di entrambe le decisioni è costituito dalla natura dell'assegno divorzile che viene riportato al suo originario alveo di prestazione esclusivamente assistenziale in favore dell'ex coniuge economicamente più debole.

Ciò significa che, nella fase durante la quale il giudice deve valutare se sussistono le condizioni oggettive per l'attribuzione dell'assegno, il focus è rivolto alla presenza in capo al richiedente di “mezzi adeguati” o delle effettive possibilità di procurarseli da sé.

In questo senso le due sentenze non paiono in contrasto, pur avendo fornito due soluzioni differenti sulla base delle diversità del caso di specie oggetto delle pronunce: innanzi tutto entrambe le decisioni sanciscono l'autonomia dal rapporto matrimoniale, ossia da quanto, almeno sotto il profilo patrimoniale, era stato stabilito in sede di separazione.

In secondo luogo, entrambe precisano che la solidarietà economica sulla quale si fonda la natura dell'assegno divorzile, non deve risolversi in una illegittima locupletazione.

Nel caso di specie, il fatto che la ex moglie non percepisse un reddito, se non saltuario ed irrisorio e non disponesse della casa familiare, abitando con le figlie presso un immobile di proprietà dei genitori, è stato ritenuto dai giudici costituire il richiesto presupposto della “inadeguatezza dei mezzi economici” di cui alla natura assistenziale dell'assegno come sopra esplicata.

In questo senso la sentenza in esame non sembra collidere con il principio sancito dalla pronuncia del 10 maggio secondo cui l'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi ma il raggiungimento della indipendenza economica.

Ciò che può essere rilevato, a parere di chi scrive, è che, se è vero che la sentenza della Cassazione quivi in esame ha applicato rigorosamente l'interpretazione restrittiva dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 suddividendo il giudizio nelle due fasi costituite, rispettivamente, dall'eventuale riconoscimento del diritto (an debeatur) e dalla eventuale successiva determinazione quantitativa dell'assegno (quantum debeatur), è anche vero che gli stessi giudici di legittimità, in detta pronuncia, sanciscono che la misura di tale assegno deve essere idonea a permettere a chi non ha mezzi adeguati, di condurre una vita libera e dignitosa.

Il dubbio che la somma di € 200,00 attribuita a tale titolo dai giudici alla ex moglie istante nella fase del quantum debeatur sia troppo esigua ed inadeguata a realizzare il principio normativo della solidarietà economica post divorzile, anche rapportata alle capacità economiche dell'ex marito, pare, a chi scrive, fondato proprio in considerazione del fatto che, a fronte di una comprovata assenza di incolpevole attività lavorativa e, quindi, di assenza di reddito, il rapporto tra il diritto a condurre una vita dignitosa e quello della quantificazione di € 200,00 a tale titolo, appare decisamente penalizzante.

Indubbiamente, le recenti pronunce giurisprudenziali in tema di assegno divorzile, si discostano dalla radicata tradizione antidivorzista, precedente alla introdotta legge sul divorzio del 1978, che tendeva a offrire un sistema di garanzie economiche in favore del coniuge più debole tale per cui i criteri indicati dalla norma fossero interpretati come coesistenti ed egualmente rilevanti ai fini sia dell'attribuzione che della commisurazione dell'assegno” e si ritenesse sufficiente che il giudice comparasse la situazione economica dei due coniugi per accertare se ad uno di essi fosse derivato un deterioramento apprezzabilmente rilevante. Come noto, dal 1987 il legislatore ha puntato l'attenzione sull'inadeguatezza dei mezzi o dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive quale presupposto per il riconoscimento o meno dell'assegno divorzile.

A tale riforma, è succeduta, tuttavia, una altalenante giurisprudenza che, pur predicando la funzione esclusivamente assistenziale, ha di fatto interpretato l'assegno divorzile come un mezzo per assicurare a uno dei coniugi, seppur tendenzialmente, la conservazione del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.

La pronuncia della Suprema Corte in esame, unitamente a quella del 10 maggio delle, dimostrano di avere, invece, riportato la interpretazione della natura dell'assegno divorzile e la sua concreta attuabilità, allo stretto legame tra il riconoscimento del diritto ed i presupposti di legge, tra i quali non è annoverato né considerato il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio.

Ulteriore recente conferma di tale principio ci perviene dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione, 22 giugno 2017, n. 15481, vincolando la decisione del giudice al rigoroso onere probatorio incombente sul richiedente, ha accolto il ricorso di un coniuge volto ad ottenere la modifica delle condizioni di divorzio ai sensi dell'art. 9, l. n. 898/1970 proprio sulla base del principio dell'autosufficienza economica che andrà valutata attraverso una indagine giudiziale che non dovrà avere riguardo ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

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