La mancanza della qualità di erede all’apertura della successione non impedisce agli altri coeredi di attribuirgli una quota

Redazione Scientifica
05 Maggio 2016

La mancanza della qualità di coerede al momento dell'apertura della successione non impedisce agli altri coeredi, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire lo scioglimento della comunione ereditaria attribuendogli una quota della stessa, avendo con ciò dato luogo non ad una vera e propria divisione ma ad un contratto plurilaterale, comunque vincolante ed efficace fra i contraenti.

Il caso. B.B. citava C. e M. davanti al tribunale di Pordenone, portando a conoscenza della Corte che nel 1978 il proprio genitore era mancato e che gli eredi , S. e i figli adottivi B. e M., avevano stipulato nel 1991 un atto notarile di divisione ereditaria, sul presupposto che «fra loro si fosse determinata una situazione di comunione dei beni del de cuius». M., però, all'apertura della successione, non era figlio adottivo dei coniugi B. ma un affiliato, essendo stato adottato dalla sola S., moglie del defunto, nel 1983. Pertanto l'attrice, sostenendo di esserne venuta a conoscenza solo nel 2000, chiedeva di annullare l'atto di divisione consensuale, in quanto M. era privo di diritti successori.

La decisione. Sia il Tribunale di primo grado che, successivamente, la Corte d'Appello rigettavano la domanda di B.B. in quanto la convezione sottoscritta non aveva ad oggetto diritti indisponibili, quale la qualità di erede, ma soltanto diritti patrimoniali, dei quali B.B. aveva disposto, comunque, nella piena consapevolezza che M. non fosse erede del padre.

B.B. ricorre in Cassazione, contestando, tra le altre cose, la legittimità della sentenza con riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 519 e 1966 c.c., sotto il profilo «dell'erronea dichiarazione di efficacia della convenzione- dichiarazione incidente su diritti indisponibili- e del mancato rispetto delle formalità di legge nell'atto di rinuncia all'eredità». B.B. contesta che la sentenza di secondo grado non ha rilevato la nullità della convenzione, in quanto avente ad oggetto lo status di figlio legittimo, e quindi erede, di B.M., status di cui questo era privo al momento determinante dell'apertura della successione».

La Cassazione ritiene il motivo infondato e rigetta il ricorso. Secondo la Suprema Corte il limite imposto dall'art. 1966 c.c., che sancisce la nullità della transizione avente ad oggetto diritti non lasciati alla disponibilità delle parti, come gli status personali, «sono certamente sottratti ad ogni potere di disposizione dei contraenti, inerendo alla qualificazione giuridica della persona nella collettività». Tali status sono, infatti, privi di patrimonialità e, pertanto, non possono costituire oggetto di un atto espressione dell'autonomia privata. «Sono, tuttavia, certamente negoziabili le situazioni soggettive patrimoniali che dagli status derivano». Quindi è transigibile la controversia insorta tra gli aventi diritto ad una quota dell'eredità nella successione del genitore che «non ponga in discussione lo status di figlio adottivo o affiliato di uno dei membri del nucleo familiare, ma soltanto […] la consistenza dei diritti patrimoniali che in quello status trovano la loro fonte»

Per quanto riguarda la questione della qualificazione della convenzione come rinuncia all'eredità, priva dei requisiti all'art. 519 c.c., la Corte di legittimità replica che la rinunzia all'eredità è, di norma, un negozio unilaterale recettizio; «ove, invece, la rinuncia all'eredità assuma struttura bilaterale, essendo volta altresì allo scopo ulteriore di fare acquistare ad un altro soggetto la quota che sarebbe spettata al rinunciante, e che il beneficiario dichiara di accettare, si dà luogo ad un negozio comunque del tutto lecito».

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