Superato il criterio del tenore di vita anche in sede di revisione dell'assegno

Sabina Anna Rita Galluzzo
05 Settembre 2017

La questione affrontata dalla Corte di cassazione ruota intorno alla definizione dei “mezzi adeguati”, ex art. 5 l. n. 898/1970, la cui mancanza fa sorgere il diritto all'assegno divorzile.
Massima

Il Giudice investito della richiesta, ex art. 9 l. n. 898/1970, di “revisione” dell'assegno divorzile che incida sulla stessa spettanza del relativo diritto, in ragione della sopravvenienza di “giustificati motivi” deve verificare se i sopravvenuti “motivi” dedotti giustifichino effettivamente, o no, la negazione del diritto all'assegno a causa della sopraggiunta "indipendenza o autosufficienza economica" dell'ex coniuge beneficiario, e non già con riguardo ad un “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

Il caso

La vicenda prende origine dal ricorso di un ex marito, che, ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/1970, chiedeva la revisione dell'assegno divorzile da lui dovuto alla ex moglie alla luce delle mutate condizioni economiche della stessa. La donna infatti, che al momento del divorzio non aveva redditi, da qualche anno percepiva una pensione.

L'assegno, già molto modesto, veniva nei due gradi di merito confermato ma ridotto. La Corte territoriale in particolare sottolineava come l'assegno dovesse essere mantenuto, in quanto permaneva tra i due ex coniugi un "evidente divario economico". L'uomo allora, ricorreva in Cassazione chiedendo di essere esonerato dall'obbligo. La Corte di legittimità con la sentenza in esame accoglie il ricorso.

La questione

La questione ruota intorno alla definizione dei “mezzi adeguati” di cui all'art. 5 l. n. 898/1970, mezzi la cui mancanza fa sorgere il diritto all'assegno divorzile.

Per quasi trent'anni l'orientamento più che consolidato della giurisprudenza di legittimità ha collegato il diritto all'assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale. A quest'orientamento si contrappone oggi una sentenza della Cassazione (sent. n. 11504/2017), seguita da quella in esame che considerano invece l'assegno divorzile dipendente da una mancata autosufficienza economica del coniuge che lo richieda. Dall'accoglimento di tale nuova interpretazione scaturisce altresì la questione relativa all'applicabilità del nuovo principio ai giudizi di revisione dell'assegno divorzile.

Le soluzioni giuridiche

La Corte, nel caso in commento, risolve positivamente la questione dichiarando non più dovuto l'assegno. Tale pronuncia è la prima sentenza di legittimità che segue il revirement della Cassazione dello scorso maggio (n. 11504/2017) contrapponendosi all'indirizzo interpretativo radicato da tempo nel nostro ordinamento e risalente a due interventi delle Sezioni Unite del 1990 (nn. 11490 e 11492) secondo il quale l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive va interpretata come insufficienza degli stessi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali e altre utilità a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.

Perché sorga il diritto all'assegno pertanto, secondo tale orientamento, non è necessario uno stato di bisogno dell'avente diritto, che può essere anche economicamente autosufficiente, ma rileva invece l'apprezzabile deterioramento delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio tra i coniugi. In presenza di tale presupposto sorge il diritto all'assegno, la cui quantificazione va poi effettuata sulla base dei criteri fissati dall'art. 5 l. n. 898/1970 (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), criteri che agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla (in tal senso anche Corte cost. n. 11/2015).

Negli anni tale orientamento si è consolidato arrivando ad affermare che l'adeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente va rapportata al tenore di vita c.d. potenziale, a quello cioè che le potenzialità economiche della famiglia possono offrire, senza invece considerare il modello di vita cui concretamente i coniugi improntano il loro ménage familiare, in ipotesi condotto all'insegna del risparmio (Cass. n. 6699/2009).

La sentenza in esame invece, richiamando la precedente Cass. n. 11504/2017, precisa come il parametro di riferimento cui rapportare il giudizio sulla adeguatezza, inadeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede l'assegno di divorzio e sulla possibilità o impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive va individuato nel raggiungimento della indipendenza economica del richiedente e non nella possibilità di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Questi principi, si dichiara, vanno applicati anche al giudizio di revisione dell'assegno divorzile ex art. 9 l. n. 898/1970. La Cassazione, in particolare, sulla linea della precedente sentenza, si rifà alla natura bifasica del giudizio relativo all'accertamento e quantificazione dell'assegno divorzile. In tal senso precisa che la prima fase riguardante l'an debeatur, è informata al principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi ed è finalizzata ad accertare la sussistenza o meno del diritto all'assegno divorzile; la seconda fase, riguardante il quantum debeatur, è invece improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persona economicamente più debole e riguarda la determinazione dell'importo dell'assegno stesso.

Alla luce di ciò nel giudizio di revisione, richiesto in ragione della sopravvenienza di giustificati motivi, va confermata innanzitutto la sussistenza del diritto all'assegno (an debeatur) e in un secondo momento, solo in caso di accertamento del diritto, va riesaminata la quantificazione. Il diritto all'assegno però, si precisa, va valutato, alla luce dei nuovi criteri introdotti dalla sentenza n. 11504, e dunque non più come mancanza di mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, bensì alla luce del principio “dell'indipendenza o autosufficienza economica” del coniuge che richieda l'assegno. Non conta più, secondo tale linea interpretativa, il divario economico tra i due coniugi o la possibilità del più debole di mantenere il tenore di vita coniugale, ma solamente la sua autosufficienza.

La sentenza richiama a questo proposito gli indici,elencati da Cass. n. 11504/2017, e finalizzati a valutare l'indipendenza economica del coniuge richiedente l'assegno: il possesso di redditi di qualsiasi specie o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, la capacità e possibilità effettive di lavoro personale, anche in relazione alla salute, all'età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo, nonché la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Tali indici, si precisa, sono da valutare osservando le allegazioni, le deduzioni e le prove offerte dall'obbligato, in capo al quale comunque resta l'onere della prova. Nella specie invece mancavano documenti bancari e fiscali e la Corte territoriale non aveva motivato in ordine al comportamento omissivo della parte inottemperante.

La Cassazione, pertanto, considerando erroneo fondare il diritto all'assegno di mantenimento sulla permanenza di un divario economico tra le due parti e addirittura “fuorviante” il criterio del tenore di vita in linea con quello goduto durante la convivenza matrimoniale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello perché si uniformi al principio di diritto esposto.

Si evidenzia altresì che la Corte ritiene di non rimettere la questione alle Sezioni Unite, rigettando così la richiesta del PM che reputava necessario esaminare l'impatto dei nuovi principi sugli assegni in corso. La Cassazione invece, considerando l'orientamento precedente ormai obsoleto e non conforme alla realtà attuale, precisa che tale nuova linea interpretativa non necessita di un'eventuale pronuncia delle Sezioni Unite.

Osservazioni

La Corte con la sentenza in commento si conforma così al nuovo orientamento nato sulla base della considerazione secondo cui è mutata la concezione del matrimonio inteso oggi come luogo degli «affetti e di effettiva comunione di vita in quanto tale dissolubile» (Cass. n. 11504/2017). Dopo la pronuncia di divorzio il rapporto matrimoniale, secondo tale linea interpretativa, si estingue definitivamente e non si può dunque continuare ad attribuirgli una sorta di ultrattività.

In questa linea di pensiero si inseriscono già alcuni provvedimenti di merito (Trib. Varese 17 giugno 2017; App. Salerno 26 giugno 2017, Trib. Milano, ord., 22 maggio 2017). Altri invece restano fedeli all'interpretazione precedente (Trib. Udine 1 giugno 2017).

Si sottolinea peraltro che nella specie la revoca del diritto all'assegno di divorzio è stata giustificata dalle mutate condizioni di fatto. In tal senso potrebbe sorgere un'ulteriore questione relativa alla possibilità di individuare nei “giustificati motivi” che consentono la revisione dell'assegno un nuovo orientamento interpretativo. Com'è noto, l'art. 9 l. n. 898/1970 consente in ogni tempo la revisione delle condizioni di divorzio, in quanto in questo ambito il giudicato è sempre rebus sic stantibus, ossia modificabile in caso di successive variazioni. La giurisprudenza peraltro ha da sempre identificato tali variazioni ossia i “giustificati motivi” in fatti nuovi quali a mero titolo esemplificativo la perdita del lavoro, la nascita di un figlio, condizioni di salute particolari, eredità, ecc. tutte situazioni che possono alterare l'equilibrio stabilito in sede di giudizio di divorzio. Difficilmente pertanto i giustificati motivi che permettono la revisione dell'assegno possono essere individuati in un mutamento di orientamento giurisprudenziale.

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