La Consulta riconosce l’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche gravi

05 Novembre 2015

La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, l. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non consentono che anche le coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili gravi possano fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 32 Cost.
Massima

E' rilevante e fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, l. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non consentono che anche le coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili gravi possano fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 32 Cost.

Viola infatti il canone di ragionevolezza di cui all'art. 3, Cost., l'indiscriminato divieto, imposto dalle norme denunciate, ad accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e quindi alla diagnosi preimpianto, nei confronti delle coppie fertili affette o portatrici sane di gravi patologie genetiche ereditarie a fronte della possibilità delle medesime coppie di ricorrere al rimedio, ben più traumatico, della interruzione di gravidanza, ai sensi dell'art. 6, comma I, lett. b), l. 22 maggio 1978, n. 194, per le ipotesi in cui, dalle indagini prenatali, siano accertati processi patologici relativi a «rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna». La contraddizione cui danno luogo le disposizioni censurate, che non consentono di far acquisire “prima” alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere “dopo” una decisione pregiudizievole per la propria salute, conduce a ritenere che tali norme violino non solo l'art. 3, Cost., ma anche l'art. 32 Cost. della stessa Carta, per il mancato rispetto del diritto alla salute della donna.

Il caso

Due coppie di coniugi si sono rivolti al Tribunale ordinario di Roma con un procedimento “ante causam” ai sensi dell'art. 700 c.p.c., chiedendo di essere ammessi alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, con diagnosi preimpianto, al fine di evitare di trasmettere ai rispettivi figli la malattia genetica da cui, in entrambi i casi, uno dei due coniugi era risultato affetto a seguito degli esami effettuati in occasione di una precedente gravidanza, interrotta ai sensi dell'art. 6, l. 22 maggio 1978, n. 194. Il Tribunale adito, con identiche motivazioni, ha rilevato che l'accoglimento della richiesta di entrambe le coppie ricorrenti era ostacolato, in modo insuperabile, dagli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della l. 19 febbraio 2004, n. 40, che limitavano l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole coppie sterili o infertili; limite che non poteva essere superato né con una interpretazione adeguatrice delle norme in questione né con una diretta “disapplicazione” delle stesse, per contrasto con gli artt. 8 e 14 l. 4 agosto 1955, n. 848 della CEDU. In considerazione dunque della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale di Roma ha sollevato appunto questione di legittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, l. 40/2004, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 Cost., nonché con l'art. 117, comma 1, Cost. della stessa Carta, in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848.

La questione

La questione sottoposta alla Corte Costituzionale è la seguente: se gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, l. 19 febbraio 2004, n. 40, che consentono alle sole coppie sterili o infertili di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, e quindi alla diagnosi preimpianto - con conseguente impossibilità, per le coppie affette o portatrici di malattie gravi geneticamente trasmissibili di ricorrervi qualora esse non siano altresì infertili - non siano costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 2, 3 e 32, Cost., nonché dell'art. 117 Cost. della stessa Carta, con riferimento agli artt. 8 e 14 della CEDU, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 4.08.1955, n. 848.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia della Corte Costituzionale che si commenta è il risultato di una evoluzione della giurisprudenza interna e sovranazionale, oltre che della disciplina regolamentare in tema di diagnosi preimpianto e di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, che, vedendo prima il riconoscimento alla diagnosi preimpianto per le coppie infertili, ha poi visto l'estensione di tale diagnosi anche alle coppie non infertili, secondo le “tappe” che si delineano di seguito.

In virtù della formulazione letterale delle prime linee guida in materia di PMA con d.m. 21 luglio 2004, che limitava la diagnosi preimpianto al solo tipo ‘osservazionale' - così restringendo la portata dell'art. 13, l. n. 40/2004, che consente invece la ricerca e la sperimentazione e gli interventi necessari per finalità terapeutiche e diagnostiche se «volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione» - le primissime pronunce giurisprudenziali in materia escludevano l'ammissibilità della diagnosi preimpianto, anche qualora sussistesse il rischio che l'embrione fosse affetto da malattia genetica (Trib. Cagliari, 16 luglio 2005). Per questo motivo era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, l. 19 febbraio 2004, n.40, laddove esso faceva divieto di ottenere, su richiesta dei soggetti legittimati a ricorrere alla PMA, la diagnosi preimpianto sull'embrione, ai fini dell'accertamento di eventuali patologie, con riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost.

Tale questione era stata dichiarata manifestamente inammissibile per contraddittorietà della prospettazione stante che essa era stata sollevata con riferimento ad una specifica disposizione recante un precetto, benché secondo la stessa impostazione dell'ordinanza di remissione, tale divieto sarebbe stato desumibile anche da altri articoli della stessa legge non impugnati, nonché dall'interpretazione dell'intero testo legislativo recante la norma contestata (C. cost., 9 novembre 2006, n. 369).

Tale diagnosi è stata successivamente ammessa, nonostante il dato regolamentare che ne escludeva l'ammissibilità se non per motivi “osservazionali”, in presenza dei seguenti requisiti: i) fosse stata richiesta dai soggetti indicati nell'art. 14, comma 5, l. n. 40/2004; ii) avesse ad oggetto embrioni destinati all'impianto nel grembo materno; iii) fosse strumentale all'accertamento di eventuali malattie dell'embrione e finalizzata a garantire a coloro che avessero avuto legittimo accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita una adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare (Trib. Cagliari, 22 settembre 2007; Trib. Firenze, 17 dicembre 2007).

Il TAR Lazio ha poi dichiarato l'illegittimità, per vizio di eccesso di potere, del divieto di diagnosi preimpianto sulle condizioni di salute degli embrioni, previsto dalle linee guida introdotte con d.m. 21 luglio 2004 (che limitavano tali indagine al solo tipo ‘osservazionale'), in quanto tale divieto, introdotto da una norma regolamentare, riduceva la portata dell'art. 13, l. n. 40/2004 che, nel mantenere il generale divieto di sperimentazione su ciascun embrione umano, consentiva la ricerca a la sperimentazione e gli interventi necessari per finalità terapeutiche e diagnostiche se volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione (TAR Lazio, 21 gennaio 2008, n. 398).

Con una pronuncia, rimasta isolata, il Tribunale di Salerno ha poi ammesso l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche alle coppie (che rischiavano di generare figli affetti da gravi malattie a causa di patologie genetiche trasmissibili) non sterili e non infertili, e ciò ha ritenuto sulla base del ‘mutamento del quadro normativo' operato dalle linee guida emanate dal ministero della Salute con d.m. 11.04.2008, nonché del ruolo dominante assunto dalla salute della madre nel riassetto dato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 251/2009.

Al di la della ardita interpretazione “evolutiva” e costituzionalmente orientata della normativa sulla PMA data dal su menzionato giudice di merito, e pur considerando pacifica la possibilità di ricorrere alla diagnosi preimpianto per le coppie, infertili, portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rimaneva la contraddittorietà derivante dal sistema normativo complessivo, che da un lato consentiva l'accesso a tale diagnosi a coppie sterili o infertili, mentre prevedeva come unica soluzione prospettabile per le coppie, pure portatrici di gravi malattie genetiche, ma non infertili, il rimedio dell'interruzione, anche avanzata, della gravidanza.

Tale contraddizione non è sfuggita alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo che, con decisione del 28 agosto 2012, divenuta definitiva l'11 febbraio 2013, ha condannato l'Italia per violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all'art. 8,CEDU, laddove la normativa interna vietava alle coppie non infertili di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e quindi alla diagnosi preimpianto, all'asserito scopo di proteggere, tra gli altri, la salute del ‘bambino' e della madre, pur ammettendo che, in un momento successivo - quando l'embrione, divenuto feto, risultasse essere affetto da una patologia grave - venisse praticata l'interruzione della stessa gravidanza.

Il Tribunale di Roma, ritenuta vincolante anche per il giudice nazionale la decisione della Corte di Strasburgo del 2013, ha espressamente disapplicato l'art. 4, l. n. 40/2004, accogliendo con provvedimento d'urgenza la richiesta di una coppia fertile ma portatrice di malattie genetiche trasmissibili in via ereditaria di accedere alle tecniche di PMA e alla diagnosi preimpianto (Trib. Roma, 26 settembre 2013).

La Corte Costituzionale, con la decisione che si commenta, invece, secondo una concezione, preferibile, dei rapporti tra le Corti sovranazionali e quelle interne, alla luce della decisione della Corte di Strasburgo - vincolante sì per il giudice nazionale, ma non direttamente applicabile nell'ordinamento interno – escludendo la possibilità di disapplicare direttamente gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, l. 19 febbraio 2004, n. 40, ha ritenuto rilevante e fondata la questione di illegittimità costituzionale di tali norme sollevata dallo stesso Tribunale ordinario di Roma.

Osservazioni

Secondo la formulazione originaria, la finalità della l. n. 40/2004, indicata nel primo articolo della stessa legge, consisteva nel«favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana», quando non vi fossero altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità (art. 1, l. 19 febbraio 2004, n. 40).

Da tale norma emergeva che l'unica ed esclusiva finalità del ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita era quella di superare i problemi riproduttivi derivanti da documentata sterilità od infertilità; non era invece contemplata la possibilità che a tali tecniche si facesse ricorso per una personale scelta della coppia, in particolare per evitare il rischio di trasmettere al nascituro malattie genetiche e dunque ereditarie, come era invece previsto in numerosi ordinamenti attigui all'Italia (così in Germania, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Norvegia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia, Slovenia e Svezia, in Corte Europea Diritti dell'Uomo, 28 agosto 2012-11 febbraio 2013).

La Corte Costituzionale, con la decisione che si commenta, dopo una iniziale approccio di “chiusura” del Ministero della Salute e della giurisprudenza nazionale rispetto alle finalità della legge e alle condizioni di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ha finalmente dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, l. n. 40/2004, laddove essi non consentono che anche le coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili gravi possano fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 32 Cost.

Si può dunque concludere che, con l'estensione della platea dei soggetti legittimati a ricorrere alle tecniche di PMA e dunque alla diagnosi preimpianto, alla finalità propria della l.19 febbraio 2004, n. 40, sancita dal primo articolo della stessa legge, consistente nel «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana», si debba aggiungere quella di prevenire la trasmissibilità di malattie genetiche ereditarie – considerate gravi ai sensi dell'art. 6, l. 22 maggio 1978, n. 194 - di cui coppie, anche fertili, siano affette o portatrici sane, con contestuale uniformazione della normativa italiana a quella propria della maggior parte degli Stati europei.

Guida all'approfondimento

- Filippo Vari, Considerazioni critiche a proposito della sentenza Costa e Pavan della II sezione della Corte Edu, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei Costituzionalisti, 1.03.2013, n. 1/2013;

- P. Gori, Il ruolo del giudice ordinario dopo il parere della Corte di Giustizia C-2/13 del 18.12.2014, tra efficacia ed esecuzione delle sentenze CEDU, in Persona e danno e Europeanrights (http://www.europeanrights.eu/index.php?funzione=S&op=5&id=1093).

- F. Zanasi, Fecondazione assistita, in Persona e danno (rivista on line)

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