Inammissibile l'addebito nella separazione consensuale o su richiesta congiunta dei coniugi

Alberto Figone
09 Dicembre 2016

I coniugi, in sede di ricorso per separazione consensuale, ovvero nelle conclusioni congiunte, rassegnate all'interno di un procedimento per separazione giudiziale, poi convertito in consensuale, possono negozialmente riconoscere la responsabilità della crisi matrimoniale ad uno di essi (ma anche ad entrambi), oppure si rende sempre necessario un accertamento giudiziale?
Massima

É inammissibile la richiesta di addebito della separazione ad uno dei coniugi, all'interno di un procedimento di separazione consensuale, ovvero quando una iniziale separazione giudiziale venga definita su conclusioni congiunte.

Il caso

Un marito propone domanda di separazione chiedendo l'addebito della stessa alla moglie, oltre alla regolamentazione dell'affido della figlia minore con collocamento della stessa presso di sé. Nel costituirsi in giudizio, la moglie avanza, in buona sostanza, domande speculari. Nel corso del procedimento, i coniugi raggiungono un accordo e chiedono che il tribunale voglia accogliere conclusioni, precisate in forma congiunta di questo tenore: addebito alla separazione alla moglie, affidamento condiviso della figlia minore alla madre, con un contributo paterno al mantenimento di lei. Il Tribunale afferma l'indisponibilità della pronuncia di addebito e dichiara inammissibile la relativa domanda; accoglie invece tutte le altre.

La questione

La questione dibattuta può così sintetizzarsi: i coniugi, in sede di ricorso per separazione consensuale, ovvero nelle conclusioni congiunte, rassegnate all'interno di un procedimento per separazione giudiziale, poi convertito in consensuale, possono negozialmente riconoscere la responsabilità della crisi matrimoniale ad uno di essi (ma anche ad entrambi), oppure si rende sempre necessario un accertamento giudiziale?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, l'art. 151, comma 2, c.c. prevede che il giudice, pronunciando la separazione, ove richiesto, possa dichiarare a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione. L'addebito (strettamente imparentato con la “colpa”, che prima della riforma del 1975 costituiva il presupposto della separazione) rappresenta, in buona sostanza, una sanzione per quel coniuge che, con il proprio comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio, abbia determinato la crisi coniugale. La pronuncia di addebito rappresenta un capo autonomo rispetto a quello sullo status e richiede necessariamente la prova di un nesso di causalità fra condotta antidoverosa ed intollerabilità della convivenza. Gli effetti della declaratoria di addebito sono di natura patrimoniale: il coniuge “colpevole” perde il diritto al mantenimento (potendo vantare solo gli alimenti, se in stato di bisogno: art. 156 c.c.), come pure i diritti successori per il caso di premorienza dell'altro (artt. 548 e 545 c.c.). Il diritto al mantenimento è disponibile, già nell'an debeatur, ben potendo il coniuge, che pure ne abbia titolo, rinunciare ad esso, con un'espressa dichiarazione in sede processuale, ovvero con una rinuncia implicita o indiretta (ossia senza formulare in giudizio la relativa domanda, ovvero formulandola irritualmente, quando sia già intervenuta una decadenza); a maggior ragione esso è disponibile anche nel quantum. Altrettanto non vale invece per le rinunce ai diritti successori che possono spettare in relazione ad una successione che non si è ancora aperta, a fronte del disposto di cui all'art. 458 c.c., che vieta i patti successori.

Assai raramente si è affrontato, nello specifico, il tema oggetto della sentenza in esame. Più frequentemente, come del resto ricorda lo stesso Tribunale di Caltanissetta, la giurisprudenza ha invece affermato che, ai fini dell'addebitabilità della separazione, proprio vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto ex art. 2730 c.c., potendo se mai essere utilizzate dal giudice quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili (Cass. civ., 4 aprile 2014, n. 7998; Cass. civ., 6 dicembre 2004, n. 22786). Nel contempo, innovando ad un indirizzo ormai risalente, è oggi pacifico come non sia ammissibile, successivamente alla separazione senza addebito, ovvero all'omologazione della separazione consensuale, chiedere il mutamento del titolo della separazione stessa (e quindi richiedere l'addebito), sia per fatti sopravvenuti, sia per fatti antecedenti la separazione, ma emersi successivamente; solo il giudice della separazione è legittimato ad emettere la pronuncia di addebito (per tutte, Cass. civ., 20 marzo 2008, n. 7450; Cass. civ., 29 marzo 2005, n. 6625). Ciò nell'ambito di un procedimento contenzioso.

Proprio l'indisponibilità dei diritti successori che conseguono alla pronuncia di addebitabilità ha indotto il Tribunale di Caltanissetta a respingere la domanda di addebito della separazione alla moglie, formulata in forma congiunta dai coniugi, e nel contempo a dichiarare inesistente un diritto della moglie a percepire un contributo al mantenimento dal marito, stante la disponibilità del relativo diritto. Ricorda al riguardo la sentenza come sia «nullo ogni atto con il quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi…»; da detta premessa deriva che «la convenuta a mezzo della richiesta di addebito a proprio carico della separazione (richiesta contenuta, come già osservato, nell'atto di precisazione congiunta delle conclusioni) sostanzialmente – benchè in misura indiretta – intende disporre, rinunziandovi, ai diritti che le potrebbero spettare su una successione non ancora aperta, ossia sulla successione del marito: tutto in violazione del citato art. 458 c.c. che sanziona con la nullità ogni accordo in tal senso».

Osservazioni

La sentenza in commento non può che essere condivisa. In sede di separazione consensuale (ovvero in un procedimento definitosi su conclusioni congiunte), l'autonomia negoziale delle parti non può spingersi oltre quelli che sono i diritti disponibili dei coniugi. In questo senso già si giustifica il controllo del Giudice sulla rispondenza degli accordi all'interesse dei figli, soggetti che non sono parti in senso processuale (ma solo sostanziale del procedimento). Il divieto dei patti successori (ed in particolare di rinuncia ad una successione non ancora aperta) osta alla disponibilità convenzionale dell'attribuzione dell'addebito della separazione stessa. Solo il giudice potrà stabilire, ove richiesto, se e a quale dei due coniugi (o eventualmente ad entrambi) sia da imputare la crisi coniugale; a detto accertamento conseguirà, come effetto legale, anche la perdita di futuri diritti successori. É di tutta evidenza come i principi or ora esaminati devono trovare applicazione pure quando i coniugi intendessero definire la separazione a seguito di convenzione di negoziazione assistita. Ove si ammettesse che i coniugi fossero legittimati a stabilire convenzionalmente a chi sia addebitabile la separazione, vi sarebbe il timore che i coniugi stessi (specie in un momento peculiare e delicato quale quello della separazione) possano essere indotti a compiere atti giuridici, dei quali (proprio per l'inattualità degli effetti), non siano in grado di valutare appieno benefici e svantaggi.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.