È inammissibile la domanda di affidamento degli animali da compagnia

Redazione Scientifica
30 Settembre 2015

Pur dovendosi riconoscere all'animale da compagnia la qualifica di “essere senziente” e l'esistenza di un “diritto soggettivo all'animale da compagnia”, esso non può essere equiparato ai figli minori e, quindi, non è ammissibile una domanda ex artt. 316 comma 4 e 337bis c.c. in assenza di prole.

Il caso. Una coppia senza figli aveva condiviso, in costanza di rapporto, la passione per un cucciolo di cane e, una volta interrotta la relazione affettiva, si era accordata per goderne in modo turnario.

Con il ricorso introduttivo del procedimento, l'uomo denuncia una crisi di tali accordi in quanto disattesi dalla ex compagna con conseguente impossibilità per il ricorrente di beneficiare dell'animale in modo pieno e titolato: per questo motivo chiede al Tribunale di Milano di provvedere all'affidamento del cane, alla regolamentazione dei tempi di permanenza presso l'uno o l'altra nonché alla suddivisione delle spese sostenute nell'interesse del cucciolo.

Gli animali da compagnia non sono equiparabili ai figli minori. Il Tribunale ritiene che il ricorso sia inammissibile. Non è in dubbio il principio espresso dalla giurisprudenza di merito nel senso di riconoscere all'animale di compagnia la qualità di “essere senziente”, individuando un vero e proprio “diritto soggettivo all'animale di compagnia”. Ciò, tuttavia, non giustifica, al di fuori di una cornice disegnata dal legislatore, «l'istituzione di “diritti d'azione” inediti, non sorretti da una specifica previsione normativa».

Non è possibile, solo sulla base di queste premesse, giungere all'equiparazione dei figli minori agli animali da compagnia poiché solo i primi sono persone fisiche «sia nella trama codicistica di diritto interno che nella legislazione sovranazionale».

Non è, quindi, ammissibile una domanda ex artt. 316 comma 4 e 337-bis c.c. se mancano i figli, tanto più sulla base del disegno di legge 18 aprile 2013 (citato dal ricorrente) che non modifica l'ordinamento se non con il suo divenire diritto positivo.

Il Tribunale ricorda comunque che il titolare del diritto soggettivo non resta sfornito di protezione giuridica «potendo attingere al bacino delle azioni previste a tutela della proprietà e alle altre misure rimediali previste dalla Legge per l'esercizio di diritti su bene altrui o in comproprietà».

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