Nascituro, ammessa l’azione cautelare per l’accertamento di paternità

Redazione Scientifica
07 Giugno 2016

E' ammissibile l'azione cautelare da parte della madre del nascituro per accedere al materiale biologico del padre defunto, al fine di ottenere elementi di prova da utilizzare nel futuro giudizio di accertamento della paternità.

Il caso. La Sig. Y e Il Sig. X instauravano una relazione affettiva, durante la quale nascevano due figli. I due conviventi avevano deciso di rendere apposita dichiarazione anagrafica di residenza comune. Sfortunatamente, però, il sig. X decedeva nel novembre 2015 e veniva cremato; successivamente a tale data, nel dicembre dello stesso anno, la sig. Y veniva a conoscenza del proprio stato di gravidanza di sette settimane. La madre del nascituro proponeva, pertanto, un'azione cautelare per accedere al materiale biologico del defunto convivente «al fine di conservare elementi di prova da spendere nel futuro giudizio di paternità da instaurare ex art. 269 c.c.».

La convivenza. Nel giudizio instaurato di fronte al Tribunale di Milano, risulta provato che al momento del decesso, il Sig. X e la Sig. Y, insieme ai due figli, formavano una famiglia non fondata sul matrimonio. La convivenza di fatto ha, infatti, natura “fattuale” che i partners decidono di non esternare a mezzo di un vincolo civile formale. Senza dubbio, la «dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova», tuttavia non è elemento costitutivo della stessa ricavandosi ciò dall'art. 1 comma 36 della l. n. 76/2016. Il legislatore con la novella ha introdotto una definizione normativa per i conviventi «scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali». Riassumendo, convivere risulta essere un «“fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa».

Provvedimento improcrastinabile. Per quanto riguarda il reperimento del materiale biologico, bisogna puntualizzare che il Sig. X, dopo la morte, è stato cremato e non sarebbe, quindi possibile procedere a una esumazione della salma per gli accertamenti di paternità durante il giudizio ex art. 269 c.c.. Tuttavia, presso l'Azienda sanitaria sono custodite due provette di sangue. L'Azienda ha fatto sapere che i reperti in questione sono idonei alle indagini genetiche utili al giudizio, ma è necessario «agire con sollecitudine onde evitare di incorrere in alterazioni che possano renderli non più fruibili». Inoltre, aggiunge il Tribunale, l'urgenza non viene meno nemmeno se si ammette che il giudizio di paternità possa essere condotto anche a mezzo di prove diverse, beneficiando delle presunzioni. Si tratterebbe, infatti, di «paragonare una prova certa e principe (l'esame ematologico) a una dimostrazione probatoria indiretta e condizionata dalle variabili del processo». Inoltre l'anticipazione della tutela è giustificata dalla sussistenza di un rilevante diritto costituzionale quale è quello relativo alla conservazione dei legami familiari e alla identità personale».

Il quadro disegnato dalla descrizione dei fatti sopra riportati fa propendere il Giudice milanese per una qualificazione del ricorso introdotto come una istanza d'urgenza ex art. 700 c.p.c., comportando una anticipazione di atti provvedimentali «al fine di conseguire il risultato auspicato con la promozione del giudizio ex art. 269 c.p.c.».

In conclusione il Giudice, pronunciando ex art. 700 c.p.c., licenzia CTU, al fine di accertare se il defunto sia padre del nascituro.

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