Adozione all'estero da parte di coppia omogenitoriale: riconosciuta a tutti gli effetti

07 Giugno 2017

La sentenza in esame pone all'attenzione dell'interprete non soltanto la questione della adozione di minorenni da parte di coppie omossessuali...
Massima

Non è in contrasto con l'ordine pubblico il provvedimento di adozione emesso all'estero in favore di una coppia composta da due uomini di cittadinanza italiana, che pertanto può essere riconosciuto ad ogni effetto anche in Italia.

Il caso

Due cittadini italiani dello stesso sesso, uniti da una relazione affettiva e residenti nel Regno Unito, adottano due bambini, secondo la legislazione inglese. Successivamente, chiedono che il Tribunale per i minorenni di Firenze riconosca effetti in Italia a questo provvedimento di adozione ai sensi dell'art. 36, l. n. 184/1983.

In virtù di tale disposizione normativa l'adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente in quello Stato e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, è riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione del 29 maggio 1993 firmata all'Aja per la cooperazione in materia di adozioni internazionali.

Non si tratta quindi dell'adozione internazionale che viene pronunciata all'estero in favore di cittadini italiani residenti in Italia, cui segue l'ingresso in Italia del minorenne straniero. Il caso fiorentino riguarda la diversa questione del riconoscimento in Italia dei provvedimenti che si formano nello Stato estero in favore di soggetti che, pur non essendo cittadini di quello Stato, vi avevano fissato la loro abituale residenza, e ai quali è stata quindi applicata la legislazione dello Stato di residenza.

La questione

Avendo diritto all'applicazione della legge inglese da parte di una Corte inglese, i ricorrenti hanno beneficiato della possibilità di adottare, risultato che in Italia non avrebbero mai potuto conseguire, perché la legislazione italiana, pur non vietando espressamente l'adozione alle coppie omosessuali la consente però soltanto alle coppie coniugate e non anche ai conviventi di fatto o alle persone unite civilmente. Si deve infatti ricordare che, in virtù delle innovazioni introdotte dalla l. n. 76/2016, le coppie omossessuali in Italia hanno diritto a contrarre unione civile, ma non possono accedere al matrimonio e che, se hanno contratto matrimonio all'estero, la loro unione produce in Italia gli effetti di una unione civile (d.lgs. n. 7/2017).

La questione problematica è sulla interpretazione dell'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983 e cioè se il riconoscimento in Italia di sentenze straniere di adozione, pronunciate in base alla legislazione dello Stato estero, presupponga l'esistenza dei requisiti per la validità dell'adozione nazionale, tra cui il requisito di essere “coniugi uniti in matrimonio”. L'ultimo arresto in materia della Corte di Cassazione ritiene infatti che l'art. 36 non ha introdotto alcuna deroga al principio generale enunciato nell'art. 35, comma 3, della legge n. 184/1983 secondo il quale la trascrizione nei registri dello stato civile italiano dell'adozione di un minore pronunciata all'estero con effetti legittimanti non può avere mai luogo ove "contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori" e tra questi quello secondo cui l'adozione c.d. legittimante è consentita solo "a coniugi uniti in matrimonio" (Cass. civ., 14 febbraio 2011, n. 3572). La l. n. 218/1995 prevede infatti che i provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia a condizione che non siano contrari all'ordine pubblico.

E' allora da valutare se deve farsi riferimento all'ordine pubblico interno ed in questo caso assumerebbe rilievo la violazione di una norma imperativa interna quale è il divieto di adozione per le coppie non coniugate (siano esse eterosessuali o omosessuali) oppure se deve farsi riferimento all'ordine pubblico internazionale; si deve inoltre valutare, per espressa disposizione dell'art 36 l. n. 184/1983, se il provvedimento è conforme ai principi della Convenzione dell'Aja del 1993 e cioè in primo luogo al principio della prevalenza del best interest del minore.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale fiorentino ritiene non applicabile al caso di specie la disciplina generale sull'adozione, e di conseguenza i limiti dati dalla legislazione italiana, perché questa si riferisce ai residenti in Italia e non ai cittadini italiani residenti all'estero che adottano un bambino nel Paese estero di residenza e secondo la legislazione di quel Paese.

I giudici toscani hanno quindi ritenuto, discostandosi motivatamente dal precedente arresto della Corte di Cassazione, di valutare non già la compatibilità del provvedimento con la legislazione nazionale in tema di adozione ma facendo riferimento al concetto di ordine pubblico internazionale e cioè quel complesso di principi e regole di carattere universale che tutelano i diritti fondamentali dell'uomo (Cass. civ., 22 agosto 2013, n. 19405).

La più recente giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. civ., 30 settembre 2016, n. 19599) ha affermato infatti che il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l'ordine pubblico dell'atto straniero, i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia a norma della legge n. 218/1995, deve verificare non se l'atto straniero sia in contrasto con le norme imperative interne, ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, ricavabili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.

Richiamando i principi espressi dalla Corte di cassazione nella citata sentenza, il Tribunale afferma che dal complessivo esame delle fonti sovranazionali citate, in particolare dall'esame dell'art. 8 CEDU (diritto alla vita privata e familiare) letto in relazione all'art. 14 della stessa Convenzione (divieto di discriminazione) e dell'art. 7 della Carta di Nizza, si evince che il diritto alla vita privata e familiare non può subire restrizioni di tutela in ragione dell'orientamento sessuale, sicchè non può ritenersi che l'adozione da parte di coppia omosessuale violi un principio di ordine pubblico internazionale. Come riconosciuto da plurime sentenze della Corte EDU ed anche dalla nostra stessa Corte Costituzionale, anche la relazione omosessuale costituisce relazione familiare e anche i legami familiari de facto, pur in assenza di legame biologico tra genitori e figli sono rilevanti (Corte cost., 14 aprile 2010, n. 138; Corte EDU 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria; Corte EDU, 24 giugno 2014, Menesson c. Francia).

A tale controllo deve poi unirsi quello della compatibilità del riconoscimento del provvedimento con il superiore interesse del minore: qui il giudice fiorentino evidenzia l'interesse del minore a conservare lo status di figlio, riconosciutogli da un atto validamente formato in un altro paese dell'UE. Diversamente si darebbe luogo ad una incertezza giuridica sullo status del minore, e ciò sarebbe in contrasto con il diritto del minore a mantenere i suoi legami familiari.

Di conseguenza il provvedimento di adozione viene riconosciuto a tutti gli effetti e ne viene ordinata anche la trascrizione nei registri dello stato civile.

Osservazioni

La sentenza in esame pone all'attenzione dell'interprete, ancora una volta, non soltanto la questione della adozione di minorenni da parte di coppie omossessuali, ma più in genere la spinosa questione dei legami limping (zoppicanti) con ciò intendendosi quegli status giuridici, che, sebbene regolarmente acquisiti secondo la legislazione di uno Stato, non sono riconosciuti in un altro Stato. Queste relazioni zoppicanti sono il risultato della diversità degli ordinamenti giuridici nazionali: i criteri di collegamento variano da paese a paese, così come la concezione di ordine pubblico. Tuttavia un'interpretazione eccessivamente restrittiva del diritto internazionale privato, per effetto della quale non sia riconosciuto lo status legalmente acquisito in un altro Stato, può entrare in conflitto con le norme relative ai diritti dell'uomo che sono vincolanti per il paesi firmatari della CEDU (Corte EDU, 28 giugno 2007, Wagner and J.M.W.L. c. Lussemburgo).

All'interno dell'UE la questione dei legami limping è ancora più delicata. L'Unione non ha competenze legislative in materia di diritto sostanziale della famiglia e gli Stati membri hanno legislazioni autonome ed anche sensibilmente differenti nel settore del diritto di famiglia e dei minori. L'Europa è tuttavia uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali e quindi anche un luogo d'esercizio di libertà fondamentali, non solo per l'individuo ma anche per il suo nucleo familiare. Non avrebbe senso alcuno, pertanto, garantire la libertà di circolazione del singolo se non venisse riconosciuta, in ogni paese europeo, anche la valenza dei legami familiari, acquisiti in altro Stato membro.

Guida all'approfondimento

A. Schillaci, "Una vera e propria famiglia": da Firenze un nuovo passo avanti per il riconoscimento dell'omogenitorialità, in articolo29.it

A. Figone, Figlio di due madri: la Cassazione lo ammette, in ilFamiliarista.it

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