Grave disagio psico-fisico del minore illegalmente immigrato ed allontanamento del genitore

17 Marzo 2017

La Corte di cassazione deve decidere se il grave pregiudizio per lo sviluppo psico-fisico di un minore immigrato, derivante dalla perdita dell'unico genitore conseguente all'allontanamento dello stesso dal territorio nazionale, possa non essere ritenuto sussistente in considerazione della possibilità per il genitore espulso di portare con sé il figlio.
Massima

Il temperamento al divieto di espulsione dei minori degli anni 18, di cui all'art. 19, lett. a), d.l. n. 286/1998, che prevede il diritto per il minore a seguire il genitore e l'affidatario espulsi, è finalizzato alla realizzazione dell'interesse del minore. Ove si ritenesse che il grave disagio psico-fisico possa essere escluso mediante l'allontanamento dei genitori e del minore, l'efficacia del decreto espulsivo verrebbe meno e la deroga parziale produrrebbe un'eterogenesi non consentita dei fini rispetto al sistema costituzionale e convenzionale del diritto all'unità familiare e della preminenza dell'interesse del minore(nella fattispecie la Corte ha cassato il provvedimento della Corte territoriale, che aveva rilevato come il pregiudizio per il minore, derivante dal distacco dalla madre, espulsa dal territorio nazionale, avrebbe potuto essere evitato se la genitrice avesse portato con sé il figlio, per il quale non si sarebbero determinate apprezzabili conseguenze pregiudizievoli in caso di allontanamento dal territorio nazionale, essendo lo stesso recentemente entrato in Italia e scarsamente inserito nella realtà sociale).

Il caso

Tizia, immigrata in Italia con il figlio minore, raggiunta da un provvedimento di allontanamento, chiedeva al Tribunale per i minori territorialmente competente l'autorizzazione a rimanere in Italia nell'interesse del figlio minore, ai sensi dell'art. 31 d.l. n. 286/1998. Il T.M. respingeva l'istanza proposta e Tizia impugnava il relativo decreto. La Corte d'appello territoriale respingeva il reclamo, rilevando come il pregiudizio per il minore, derivante dal distacco dalla madre, espulsa dal territorio nazionale, avrebbe potuto essere evitato se la genitrice avesse portato con sé il figlio, visto che comunque lo stesso, anche per il suo recente ingresso in Italia, era scarsamente radicalizzato nella realtà sociale, con la conseguenza che il suo allontanamento dal territorio nazionale non avrebbe comportato apprezzabili conseguenze pregiudizievoli. Avverso tale provvedimento Tizia proponeva ricorso per Cassazione,motivato principalmente sulla base della violazione dell'art. 31, d.l. n. 286/1998. La Corte di Cassazione ritenuto fondato tale motivo, accoglieva il ricorso, cassava il provvedimento impugnato e rinviava alla Corte d'appello territoriale in diversa composizione.

La questione

La questione in esame è la seguente: se il grave pregiudizio per lo sviluppo psico-fisico di un minore immigrato, derivante dalla perdita dell'unico genitore conseguente all'allontanamento dello stesso dal territorio nazionale, possa non essere ritenuto sussistente in considerazione della possibilità per il genitore espulso di portare con sé il figlio, che, in quanto scarsamente radicalizzato, non subirebbe apprezzabili conseguenze pregiudizievoli per il distacco dal territorio nazionale.

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza è stata sempre attenta alla tutela degli interessi di ogni minore presente sul territorio italiano, con particolare riferimento anche alla salvaguardia della famiglia dello stesso, in quanto luogo privilegiato di sviluppo ed affermazione della personalità del bambino. Non potevano, pertanto, essere meno tutelati gli interessi dei minori immigrati, con la conseguente necessità che venisse soddisfatta anche la loro esigenza di crescita nel proprio ambiente familiare. Già prima dell'emanazione del Testo Unico sull'immigrazione, approvato con d.l. n. 286/1998, infatti,la Corte costituzionale, sent. n. 203/1997 e sent. n. 28/1995, aveva sottolineato la necessità che fossero applicati anche agli stranieri quei diritti fondamentali della persona, tra cui il diritto all'unità familiare, che dev'essere particolarmente garantito in presenza di figli minori, in ossequio al principio rinvenibile negli artt. 29 e 30 Cost. (cfr C. cost. n. 376/2000). A tali principi volti alla prioritaria protezione del minorenne si contrappongono le norme che disciplinano l'immigrazione, dettate da esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale, che comportano anche la rigorosa regolamentazione delle condizioni per l'ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio di ciascuno Stato. In tale ottica sempre la Corte costituzionale, con ord. n. 232/2001, ha sottolineato come possa essere legittimamente limitato il diritto al ricongiungimento, al fine di bilanciare l'interesse dell'immigrato all'unità familiare con gli altri valori costituzionali alla base delle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri, in quanto, se fosse sempre consentito il ricongiungimento all'immigrato coniugato e convivente con altro straniero, si aggirerebbero le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio dei valori costituzionali ad esse sottesi.

Nell'intento di contemperare tali interessi, si erano formati diversi indirizzi interpretativi dell'art. 31, comma 3, T.U. Imm., nella parte in cui prevede la possibilità di autorizzare temporaneamente l'ingresso o la permanenza nel territorio italiano del familiare del minore immigrato che si trovi in situazione di grave disagio psico-fisico: una parte della giurisprudenza, infatti, sottolineando le esigenze di legalità e sicurezza sottese all'espulsione, riteneva “eccezionale” la disposizione di cui all'art. 31, comma 3, T.U. Imm., e come tale applicabile solo in situazioni di emergenza o di estremo pericolo per la sola salute fisica del bambino. Tale indirizzo restrittivo (già temperato dalla pronuncia della Sezioni Unite n. 22216/2006, in cui si differenziava l'ipotesi dell'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore)si contrapponeva ad un'altra interpretazione della giurisprudenza di legittimità che, al contrario, collegava la temporanea autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore non solo a tali eccezionali situazioni di emergenza, potendo essere connessa anche solo alla tenera età, tenuto conto del sicuro danno all'equilibrio psico-fisico che avrebbe determinato in tale situazione l'allontanamento o la mancanza di uno dei genitori. Dirimendo tale contrasto interpretativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 21799/2010 hanno puntualizzato come a fondamento dell'autorizzazione alla permanenza del familiare ex art. 31 TU Imm. non debbano necessariamente sussistere situazioni di emergenza o circostanze contingenti ed eccezionali collegate alla salute del bambino, rientrando nei gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile e obbiettivamente grave che, in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, sia derivabile al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto.

Recentemente la Suprema Corte, con ordinanza n. 1824/2016, ricordando che le Sezioni Unite nella citata sentenza n. 21799/2010 hanno ribadito come il concetto di grave danno di cui all'art. 31 d.l. 286/1998 non ricomprenda la mera possibilità che i minori crescano nel territorio italiano separati dai genitori espulsi dal Paese - in quanto in tal caso verrebbe di fatto vietata l'espulsione degli stranieri che abbiano figli minorenni-, ha precisato che il pregiudizio alla salute psico - fisica del minore deve essere di volta in volta dimostrato esistente tramite un giudizio prognostico che tenga conto di una serie di fattori(tra cui l'età e il radicamento nel territorio),essendo sufficiente che la gravità del disagio psico-fisico possa riscontrarsi in uno di essi.

In un'ottica contraria si pone l'ordinanza in commento, in cui si ritiene non legittimo - poichè contrastante con il divieto di espulsione dei minori stranieri derivante in particolare dall'art. 19 lett. a), d.l. n. 286/1998 - il diniego della Corte d'appello al rilascio dell'autorizzazione ex art. 31 TU Imm. alla genitrice di un minore straniero, basato sulla possibilità per lo stesso seguire la madre nel paese natìo. Nella motivazione la Suprema Corte, precisando che nella specie il grave pregiudizio per lo sviluppo psico-fisico del minore si debba cogliere nella perdita dell'unico genitore, conseguente al suo allontanamento, osserva altresì come il temperamento del divieto di espulsione nei confronti dei minori sia finalizzato alla realizzazione dei loro interessi. E ciò nonostante la Corte d'appello territoriale avesse effettuato un giudizio prognostico in base al quale non appariva ravvisabile un grave danno psico-fisico derivabile al minore dal suo abbandono del territorio nazionale insieme al familiare, alla luce di fattori quali il breve tempo decorso dal suo ingresso in Italia e il suo scarso inserimento nella realtà sociale.

Osservazioni

Di scottante attualità, essendo attualmente al vaglio del Parlamento due contemporanee proposte di legge per la tutela dei minori stranieri non accompagnati e per il contrasto all'immigrazione illegale, il tema della tutela psico-fisica e del diritto all'unità familiare dei minori immigrati, sia pur illegalmente, non smette di suscitare contrasti anche interpretativi, nel tentativo di bilanciare - come già visto - i sottesi interessi contrapposti. Nel caso di specie tali contrasti interpretativi riguardano l'ambito di applicabilità degli artt. 19 e 31 TU Imm. e l'individuazione dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore su cui fondare l'autorizzazione del familiare alla permanenza nel territorio dello Stato.

In merito è doveroso considerare che, pur essendo indubbio che dall'allontanamento forzato dei familiari possa derivare un grave pregiudizio al minore che rimanga sul territorio nazionale in virtù del divieto di allontanamento sancito dall'art. 19 d.l. n. 286/1998, è altrettanto realistica l'argomentazione per cui per l'elusione della rigorosa normativa sulla permanenza del territorio dello stato dei cittadini immigrati basterebbe l'esistenza di un figlio minore nel nucleo familiare, con le conseguenti intuibili strumentalizzazioni a cui si presterebbe tale interpretazione.

Appare, pertanto, singolare la decisione della Corte di Cassazione nell'ordinanza in commento, in cui, nonostante la Corte territoriale avesse effettuato un giudizio prognostico negativo (basato su fondamentali circostanze quali il radicamento dello stesso nel territorio nazionale e il breve tempo ivi trascorso) sul pregiudizio alla salute psico-fisica del minore derivabile dal possibile distacco dal territorio nazionale insieme al genitore, non è stata considerata finalizzata al suo interesse la possibilità di seguire il familiare legittimamente espulso e si è identificato il grave pregiudizio per il bambino, ex art. 31 TU Imm., nella perdita dell'unico genitore, conseguente al suo forzoso allontanamento. E ciò anche in considerazione della difformità della fattispecie da quella trattata dalle pronunce Cass. n. 25508/2014 e n. 24476/2015, pur citate a conforto nell'ordinanza in commento, riguardanti situazioni in cui è acclarata la radicalizzazione del minore nel territorio italiano, con la conseguenza che in tali casi il minore avrebbe dovuto comunque subire un danno derivante dal distacco dal familiare o dall'abbandono di un territorio in cui si era integrato, nell'ipotesi in cui avesse deciso di seguire il genitore allontanato.

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