Dieta vegana per il figlio. Chi decide?

Rita Rossi
10 Gennaio 2017

La questione affrontata dal tribunale di Monza si inscrive tra quelle relative al contrasto tra genitori sulle decisioni di maggiore importanza per il figlio minore, tra cui rientra la scelta di una dieta alimentare diversa da quella abituale.
Massima

Il minore può essere sottoposto a dieta vegana se questa non risulti inadeguata sulla base di specifico accertamento peritale e vengano effettuate, allorchè suggerite dal consulente tecnico, le integrazioni alimentari ed i controlli medici necessari.

Conseguentemente, il giudice può disporre che il Comune affidatario del minore comunichi alla scuola frequentata dal bambino la possibilità di praticare una dieta vegana, con le integrazioni raccomandate e controlli medici periodici.

Il caso

Protagonista passivo della decisione in commento è un bambino di otto anni, affidato ai Servizi Sociali e, ciò nonostante, al centro del contrasto tra i due genitori riguardo alla dieta alimentare.

I dati disponibili non consentono di ricostruire esattamente la vicenda. Così, non è dato sapere perchè l'Ente affidatario non sia stato contraddittore nel procedimento nè per quale ragione la controversia si sia svolta tra i due genitori, pur non essendo essi affidatari del figlio.

Ciò che invece si ricava chiaramente dal testo del provvedimento è che la madre si era rivolta al Tribunale ordinario per ottenere la modifica di una precedente decisione negativa del giudice minorile, che aveva negato l'autorizzazione alla dieta vegana.

Il tribunale si avvaleva di una CTU per accertare se la dieta vegana fosse o meno rispondente alle necessità di crescita del minore e al suo fabbisogno di apporti nutritivi.

Il consulente tecnico escludeva che taluni valori del sangue fuori range e l'età ossea inferiore all'età anagrafica fossero riconducibili a deficit alimentari, ma riscontrava una malnutrizione proteica ascrivibile all'alimentazione vegan cui già in passato il minore era stato sottoposto.

Da qui la constatazione del tribunale «che la dieta vegana così come è stata condotta sino ad ora non sia da ritenersi valida».

I giudici lombardi autorizzavano la dieta vegana, purchè integrata e bilanciata secondo le indicazioni date dal CTU e con un monitoraggio costante delle condizioni nutrizionali del bambino; e disponevano che il Comune affidatario del minore provvedesse a comunicare alla scuola la possibilità per il minore di seguire detta dieta; con prescrizione alle parti (i genitori) di sottoporre il minore a controlli sulla crescita, da effettuare in ambiente ospedaliero (semestrali per il primo anno, annuali in seguito), comunicandone l'esito all'Ente affidatario e con integrazione della dieta secondo le indicazioni e i suggerimenti del CTU.

La questione

La questione affrontata dal tribunale di Monza si inscrive tra quelle relative al contrasto tra genitori sulle decisioni di maggiore importanza per il figlio minore. Non vi è dubbio, infatti, che la scelta di una dieta alimentare diversa da quella abituale per la maggior parte della popolazione costituisca una decisione importante per la vita di un bambino, potendo incidere sulla sua crescita e salute.

In tal senso si esprimono, peraltro, due recenti decisioni romane (Trib. Roma, sez. I civ., 20 maggio 2016 e Trib. Roma, sez. I, 19 ottobre 2016) in cui si legge: «La decisione relativa al regime alimentare del figlio minore deve indubbiamente essere considerata di maggiore interesse, inerendo la salute del figlio».

La peculiarità del caso in esame è data dal fatto che il contrasto relativo alla dieta vegana era insorto tra genitori che, almeno in quel momento, non avevano l'esercizio della responsabilità genitoriale, essendo il bambino affidato al Comune.

Diversamente, nei due casi romani, la scelta relativa al regime alimentare per la figlia era oggetto di contrasto tra genitori in affidamento condiviso.

Viene, pertanto, in considerazione - oltre alla praticabilità della dieta vegana per un bambino in età scolare - anche la questione di quale sia il soggetto chiamato a decidere, se cioè la decisione spetti ai genitori pur non esercenti la responsabilità genitoriale e, in caso di loro contrasto, al giudice o, piuttosto, all'Ente affidatario.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, nel caso di separazione, le decisioni relative a questioni importanti spettano ad entrambi i genitori che siano affidatari in via condivisa del figlio minore. E, difatti, il figlio minore - secondo quanto prevede il comma 1 dell'art. 337-ter c.c. - ha diritto di ricevere cura da entrambi i genitori, mentre la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi e le decisioni di maggior interesse tra cui quelle afferenti la salute sono assunte di comune accordo (art. 337-ter, comma 3, c.c.). In caso di disaccordo tra gli affidatari la decisione è rimessa al giudice (art. 337-ter, comma 3, c.c.) (Trib.Roma, sez. I, 3 agosto 2015).

Tale ultima previsione deve essere letta in coordinamento con l'art. 709-ter, comma 1, c.p.c., norma che indica le modalità procedimentali per superare il contrasto. Detta norma prevede un intervento di natura mediatoria da parte del giudice, e, in ultima istanza, la sua decisione sostitutiva.

Ciò è quanto avvenuto nelle due fattispecie decise dal tribunale di Roma (con i citati provvedimenti del 20 maggio 2016 e 19 ottobre 2016). Nel contrasto tra i genitori in affidamento condiviso, il Collegio ha disposto che la minore segua una dieta priva di restrizioni alimentari e che la scuola faccia seguire alla bambina la dieta ordinariamente adottata per gli altri alunni.

La decisione del giudice potrebbe anche consistere nel demandare la scelta in contesa ad un soggetto terzo, così come deciso da una decisione reggiana (Trib. Reggio Emilia, sez. I, 11 giugno 2015): «si ritiene di attribuire le decisioni di maggior rilievo involgenti il percorso riabilitativo e di sostegno predisposto in ragione delle condizioni di salute di (omissis), alla corresponsabilità della Neuropsichiatria infantile e del Centro autismo della (omissis). Appare altresì opportuno demandare alla vigilanza del Servizio sociale l'attuazione del suddetto percorso».

Fin qui la normativa appare chiara, e può concludersi che il Legislatore della riforma sull'affidamento condiviso (l. n. 54/2006) si è preoccupato di offrire ai genitori uno strumento attivabile nei casi di disaccordo non superabile riguardo ad una questione importante per la vita della prole.

Può verificarsi, peraltro, l'ipotesi di affidamento del figlio della coppia separata a terzi. Tale possibilità si trova contemplata nel comma 2 dell'art. 337-ter c.c. in base al quale il giudice «adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare».

La previsione di possibile affidamento a terzi, da parte del giudice della separazione, è stata introdotta, nella disciplina uniforme sui rapporti genitoriali, dal d.lgs. n. 154/2013. Ma già prima della previsione normativa suddetta, la Corte di Cassazione (Cass., sez. I, 10 ottobre 2008, n. 24907) aveva espressamente affermato la possibilità per il giudice della separazione o del divorzio di affidare il minore ai Servizi Sociali.

Allorchè venga disposto, l'affidamento del minore ai Servizi Sociali ex art. 337-ter c.c. determina una limitazione o una sospensione (il più delle volte temporanea) dell'esercizio della responsabilità genitoriale in capo ai genitori. Ciò significa, in concreto, che le decisioni importanti da assumere per il minore sono demandate all'ente affidatario, e ciò vale anche per le decisioni afferenti la salute.

La decisione del Tribunale di Monza in commento non si limita, tuttavia, a rimettere la decisione all'Ente affidatario del minore, ma affronta il merito della questione dibattuta tra i due genitori (non affidatari) e decide se il bambino possa o meno seguire la dieta vegana, voluta da uno di essi.

Osservazioni

Il tema oggetto del provvedimento esaminato è giunto recentemente alla ribalta giurisprudenziale ed è stato affrontato pressochè contestualmente anche dal Tribunale di Roma con due decisioni di segno opposto (v. decreto 20 maggio 2016 e del 19 ottobre 2016).

L'alimentazione vegana, seguita oggigiorno da un numero crescente di persone, non trova considerazione unanime, mancando in essa nutrienti di origine animale. E ciò rende, pertanto, possibili contrasti tra genitori separati che abbiano opinioni divergenti sull'adeguatezza di tale dieta per un figlio in età scolare.

Dev'essere senz'altro apprezzato l'approccio seguito dal tribunale di Monza, di verificare mediante un consulente tecnico la praticabilità, nel caso concreto, di detto stile alimentare.

E altrettanto condivisibile è la decisione assunta di autorizzare la dieta vegana con i correttivi suggeriti dal consulente.

É singolare, peraltro, che mentre la prescrizione di integrare la dieta vegana viene rivolta ai genitori, l'onere della comunicazione alla scuola dell'autorizzazione a detto tipo di dieta venga demandata all'Ente affidatario.

La decisione, infatti, da un lato dispone che l'Ente affidatario comunichi all'istituto scolastico il benestare alla dieta vegana; dall'altro, prescrive ai genitori di integrare la dieta secondo le indicazioni e i suggerimenti del consulente tecnico e di sottoporre il figlio a controlli medici periodici al fine di testare gli effetti del regime alimentare (comunicandone quindi l'esito all'Ente affidatario).

Tale divaricazione di prescrizioni potrebbe comportare rischi per il bambino, qualora - come accade non di rado - tra ente affidatario e genitori nonchè tra i genitori stessi vi siano pertanto difetti comunicativi. Per altro verso, il provvedimento porta a riflettere sulla legittimazione attiva alla domanda che ha dato vita al procedimento.
Dalla motivazione risulta, infatti, che il procedimento era stato introdotto da uno dei genitori, nonostante l'affidamento del figlio al Comune. Mancando gli estremi identificativi del genere di procedimento instaurato, deve presumersi che si sia trattato o di un ricorso per modifica della precedente regolamentazione (dei rapporti tra genitori e figlio) disposta dal giudice minorile o, di un ricorso ex art. 709-ter, comma 1, c.p.c.. Il soggetto affidatario e, perciò stesso, esercente la responsabilità genitoriale era, infatti, il Comune, talchè la decisione relativa alla possibilità del bambino di seguire la dieta vegana a scuola avrebbe dovuto essere assunta da detto ente. Si è visto, infatti, nel precedente paragrafo, che la scelta della dieta, o meglio, di una dieta particolare, rientra tra le decisioni di maggiore importanza per il figlio minore. E dunque, il contrasto tra i genitori in ordine alla dieta avrebbe dovuto rimanere irrilevante, non avendo essi l'esercizio della responsabilità genitoriale. Più lineari, invece, dal punto di vista procedurale, le due decisioni romane, dato che il contrasto sul regime alimentare della figlia coinvolgeva i due genitori affidatari. Nel merito, dette due pronunce optano per una scelta alimentare di tipo tradizionale (ovverossia, una dieta senza restrizioni), ritenendo che, a prescindere dalle convinzioni di ognuno, il giudice chiamato a decidere nel contrasto tra i genitori, deve «riferirsi alle condotte normalmente tenute dai genitori nella normalità dei casi per la cura e l'educazione dei figli». Mentre, dunque, il giudice di Monza decide opportunamente all'esito di un'istruttoria volta ad accertare la praticabilità o meno della dieta vegana, il tribunale di Roma compie una scelta di 'normalità', o, per meglio dire, di prevalenza statistica, di fatto privilegiando la dieta tradizionale.

Guida all'approfondimento

M. Velletti, Affidamento a terzi, Il Familiarista

L. Ambrosini, Dalla "potestà" alla "responsabilità": la rinnovata valenza dell'impegno genitoriale, in Dir. Fam. Pers., 2015, 687, fasc. 2

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