La prolungata convivenza come coniugi impedisce la delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale

Alberto Figone
09 Ottobre 2015

La “convivenza come coniugi”, protrattasi per almeno un triennio dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del vincolo, purché ritualmente eccepita nel giudizio davanti alla Corte d'appello e comprovata, ovvero non contestata dall'altra parte.
Massima

La “convivenza come coniugi”, protrattasi per almeno un triennio dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del vincolo, purché ritualmente eccepita nel giudizio davanti alla Corte d'appello e comprovata, ovvero non contestata dall'altra parte.

Il caso

La Corte d'appello di Bologna, adita dalla moglie, accoglie la domanda di delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale per incapacità di consenso del marito, il quale ad essa si era opposto, eccependo tra l'altro l'esistenza di una lunga convivenza fra i coniugi. Osservava la Corte l'insussistenza, nell'ordinamento, di dati significativi, atti a privilegiare il matrimonio-rapporto rispetto al matrimonio-atto. Avverso detta decisione ricorre per cassazione il marito. La Suprema Corte accoglie il ricorso, richiamando i principi elaborati dalla Sezioni Unite con la sentenza Cass., n. 16379/2014. Osserva così come il marito avesse tempestivamente eccepito la pregressa lunga convivenza tra i coniugi, che la moglie non aveva contestato, nel contempo ribadendo cosa debba intendersi per “convivenza come coniugi”, ostativa alla richiesta delibazione. Cassa quindi la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di delibazione.

La questione

La questione in esame è duplice: sostanziale (cosa debba intendersi per convivenza come coniugi e quale rilevanza assuma nel giudizio di delibazione di sentenza ecclesiastica) e processuale (quando ed in quali termini debba essere fatta valere la convivenza da parte del coniuge, che intende opporsi alla delibazione di pronuncia di nullità matrimoniale, resa dal giudice ecclesiastico).

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in esame si allinea alla giurisprudenza, inaugurata con la nota sentenza delle Sezioni Unite (Cass., 17 luglio 2014, n. 16379), ripresa e sviluppata in successive decisioni (cfr. per tutte, Cass., 28 gennaio 2015, n. 1621). Come è noto, il nostro ordinamento, in caso di matrimonio civile, attribuisce alla prolungata convivenza come coniugi effetti sananti rispetto a vizi del consenso, ovvero ad altre cause di invalidità dell'atto matrimoniale diverse dalla nullità per difetto di elementi essenziali (stato libero delle parti, rapporti di stretta parentela o affinità, sussistenza di impedimento da delitto) (cfr. Figone A., Commento agli artt. 117 ss. c.c., in a cura di Sesta M., Codice della famiglia, Giuffrè, 2015, 379 ss.). Si distingue così fra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto, evidenziandosi come l'instaurazione e la perduranza di un consorzio familiare, caratterizzato da assunzioni di reciproci diritti, doveri e responsabilità, prevalga sull'irregolarità del negozio matrimoniale. Ci si è chiesti se i medesimi principi possano valere in relazione ai matrimoni concordatari e dunque (ferma restando l'autonomia del giudice ecclesiastico nel dichiarare la nullità del matrimonio, anche dopo lungo tempo dalla celebrazione di quello che per l'ordinamento canonico è un sacramento, in difetto di termini decadenziali) se il giudice italiano possa o meno delibare pronunce di nullità per vizi genetici dell'atto matrimoniale, intervenute dopo l'instaurazione di una significativo consortium vitae. La Corte di cassazione aveva assunto in merito, negli ultimi anni, posizioni differenziate. Da un lato si è così affermato che la convivenza come coniugi rappresenterebbe manifestazione della volontà di accettare il rapporto matrimoniale, espressione di un principio di ordine pubblico, ostativo alla delibazione (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1780; Cass., 15 giugno 2012, n. 9844); dall'altro, invece, si è negata la configurabilità di un siffatto principio, con conseguente insussistenza di condizioni preclusive alla delibazione in forza della convivenza coniugale (Cass., 4 giugno 2012, n. 8926). A fronte del contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la decisione del 2014, già in precedenza richiamata.

Come è noto, le Sezioni Unite, dopo aver ribadito la fondatezza dell'ormai consolidata distinzione fra matrimonio, atto e rapporto, e ricondotto in questo secondo ambito, la situazione di “convivenza come coniugi”, hanno evidenziato come detta particolare convivenza trovi una precisa valorizzazione sia nella Costituzione (artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost.), sia nelle Carte europee dei diritti (art. 8 CEDU ed art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea). Con una vera e propria opera di creazione del diritto, più che di interpretazione analogica, il periodo minimo di convivenza, dotato di efficacia sanante dei vizi del volere, viene individuato in tre anni dalla celebrazione delle nozze; ciò sulla scorta dell'art. 6, l. 4 maggio 1983, n. 184, come novellato con l. 28 maggio 2001, n. 149, sull'adozione di minorenni, che consente ai coniugi, sposati da almeno un triennio (computandosi anche un periodo di convivenza more uxorio, purché gli stessi risultino coniugati al momento della domanda) di accedere all'adozione stessa (nazionale, ovvero internazionale). Si tratta di un termine (originariamente coincidente con quello minino necessario per chiedere il divorzio dopo la separazione, prima delle modifiche, apportate all'art. 3, l. n. 898/1970, dall'art. 1, l. 6 maggio 2015, n. 55 ) tale da far presumere stabilità e coesione della coppia.

La pronuncia qui in commento, conformandosi alle Sezioni Unite, ribadisce cha la convivenza come coniugi (espressione di un principio di ordine pubblico in favore del mantenimento del vincolo, come tale ostativa alla delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale) è situazione «caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all'esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima» (nei confronti dei coniugi reciprocamente, ma pure di eventuali figli). Al riguardo, già le Sezioni Unite avevano a precisare come fosse onere del coniuge, che intendesse opporsi alla delibazione di sentenza ecclesiastica in ragione della prolungata convivenza nei termini or ora rappresentati, dedurre tale eccezione tempestivamente nella comparsa di costituzione, da depositarsi davanti alla Corte d'appello. Ciò nel presupposto che si tratterebbe di eccezione in senso stretto, come tale non rilevabile d'ufficio dal giudice, né deducibile dal pubblico ministero, chiamato solo ad intervenire nel procedimento di delibazione (cfr. Cass., 1 aprile 2015, n. 6611, che ha precisato doversi delibare la sentenza ecclesiastica, in difetto dell'eccezione afferente la convivenza, per non essersi il coniuge convenuto costituito in giudizio davanti alla Corte d'appello); coerentemente si è escluso potersi rigettare la domanda di delibazione, avanzata congiuntamente da entrambi i coniugi (Cass., 13 febbraio 2015, n. 2942). Il coniuge interessato è tenuto altresì ad un onere di allegazione e di prova dei fatti e degli specifici comportamenti delle parti, sui quali l'eccezione si fonda, anche tramite puntuale indicazione di pertinenti elementi, che potrebbero emergere dalla decisione delibanda, fatti evidentemente salvi i diritti di prova contraria della controparte.

Nel caso di specie, la sentenza in commento, riformando la pronuncia impugnata e decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di delibazione di sentenza ecclesiastica, avanzata dalla moglie. A tale conclusione è pervenuta osservando come il marito avesse «validamente eccepito», nel corso del giudizio, davanti alla Corte bolognese come «il rapporto si era protratto per un periodo considerevole superiore al decennio». Nessun onere specifico di prova da parte del convenuto viene richiesto, posto che la moglie aveva ritenuto di non contestare le circostanze dedotte dal marito, a conferma delle perduranza del rapporto matrimoniale, nei termini già enucleati dalla stessa Corte di cassazione.

Osservazioni

A seguito dell'intervento delle Sezioni Unite si è consolidato un orientamento giurisprudenziale che valorizza il matrimonio-rapporto rispetto al matrimonio-atto e, dal punto di vista dell'ordinamento italiano, tende a parificare gli effetti delle cause di invalidità del matrimonio concordatario (trascritto nei registi dello stato civile) a quelle del matrimonio civile. Si tratta di una linea di tendenza, che merita di essere condivisa, in nome delle protezione di quei profili di solidarietà e di comunione, che sono venuti a legare i coniugi, a prescindere da possibili vizi genetici dell'atto di matrimonio; in passato infatti troppo spesso le sentenze di nullità ecclesiastiche venivano delibate, nella ricorrenza dei presupposti di legge, anche in presenza di matrimoni, connotati dalla prolungata convivenza tra i coniugi e magari allietati dalla nascita di figli. Ciò avveniva spesso, per di più, al fine dell'esenzione dal contributo al mantenimento, che il giudice della separazione o del divorzio avrebbe potuto disporre in favore del coniuge economicamente più debole.

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