Scompare il riferimento al tenore di vita nella determinazione dell'assegno divorzile

Alberto Figone
10 Maggio 2017

Con la sentenza del 10 maggio 2017 la Corte di Cassazione opera una vera e propria rivoluzione copernicana dei presupposti e dei parametri di quantificazione dell'assegno divorzile.

Nuovi parametri per quantificare l'assegno divorzile. Con la sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017 la Corte di Cassazione opera una vera e propria rivoluzione copernicana dei presupposti e dei parametri di quantificazione dell'assegno divorzile. La pronuncia rivede l'orientamento tradizionale in base al quale detto assegno avrebbe natura assistenziale, siccome destinato a garantire al coniuge “debole” un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o che si sarebbe potuto fondare su ragionevoli aspettative maturate nel corso del matrimonio medesimo.

Nessuna ultrattività del vincolo matrimoniale La Cassazione muove dal presupposto che, a seguito del divorzio, i coniugi devono considerarsi nei rispettivi rapporti “persone singole”, con un superamento dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale propri del matrimonio. Ne consegue che un'interpretazione delle norme sull'assegno divorzile, secondo il diritto vivente, che produce «l'effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale» può tradursi «in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia, successiva alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell'individuo…che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 9)».

Ritiene la Suprema Corte non appagante riferire la natura pacificamente assistenziale dell'assegno divorzile (come tale affermata già da ben note sentenze a sezioni unite del 1990) al parametro del “tenore di vita”, cui peraltro l'art. 5 l. div. non fa riferimento. In altri termini, il giudizio sull'”adeguatezza-inadeguatezza” dei mezzi dell'ex coniuge richiedente l'assegno divorzile, come pure sulla ”possibilità-impossibilità” di procurarseli per ragioni oggettive deve essere rapportato al «raggiungimento dell'indipendenza economica del richiedente: se è accertato che quest'ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto». Aggiunge la Cassazione che il parametro dell'"indipendenza economica” è equivalente a quello di “autosufficienza economica", richiamando all'uopo il disposto dell'art. 337-septies c.c. sui limiti del dovere dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni. Di contro, il richiamo al tenore di vita matrimoniale si risolve in un'indebita prospettiva, di “ultrattività” del vincolo coniugale.

I criteri da seguire. La Cassazione enuclea quindi nuovi ed importanti principi di diritto, cui dovrebbe ispirarsi il giudice, richiesto di una domanda di assegno divorzile, nel presupposto di dover tener ferma la distinzione tra accertamento dell'an ed eventuale determinazione del quantum:

i) verificare, nella fase dell'an debeatur, se il richiedente sia dotato di indipendenza o autosufficienza economica, desunta dai principali indici «del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari o immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione»;

ii) tenere conto nella fase del quantum debeatur, informata al criterio di solidarietà economica dell'ex coniuge onerato, di tutti gli elementi di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, in conformità ai normali criteri che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova.

In altri termini, solo fondate ragioni di solidarietà economica potrebbero giustificare l'assegno divorzile, posto che altrimenti

«

l'eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della “mera preesistenza” di un rapporto matrimoniale ormai estinto».

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