Il genitore straniero che si occupa del minore ha diritto alla temporanea autorizzazione al soggiorno

11 Febbraio 2016

Con riguardo alla temporanea autorizzazione al soggiorno richiesta dal cittadino straniero di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, costituisce un pregiudizio grave per lo sviluppo psico-fisico del minore l'allontanamento dallo Stato del genitore, straniero e privo di permesso di soggiorno, che si occupa in prevalenza della cura del bambino a causa dell'abbandono da parte dell'altro genitore.
Massima

Con riguardo alla temporanea autorizzazione al soggiorno richiesta dal cittadino straniero di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, costituisce un pregiudizio grave per lo sviluppo psico-fisico del minore l'allontanamento dallo Stato del genitore, straniero e privo di permesso di soggiorno, che si occupa in prevalenza della cura del bambino a causa dell'abbandono da parte dell'altro genitore, sicché il genitore disponibile a prendersi cura continuativamente del minore ha diritto, nell'interesse di quest'ultimo, ad ottenere la temporanea autorizzazione al soggiorno nel territorio dello Stato.

Il caso

M.S., cittadina di nazionalità ucraina, entrata in Italia nel 2004 per ricongiungersi con la propria famiglia con la quale attualmente vive e che provvede al suo sostentamento, in data 27 febbraio 2013 dava alla luce una bambina. Il padre biologico non provvedeva al suo riconoscimento e la abbandonava senza fornire alcun tipo di supporto.

La donna, terminato il periodo di validità del permesso di soggiorno “per cure mediche” che le era stato concesso al momento della nascita della bambina, adiva il Tribunale per i Minorenni di Ancona chiedendo di essere autorizzata a permanere sul territorio dello Stato per un periodo di tempo determinato per gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico della minore.

Il Tribunale respingeva la domanda con provvedimento che veniva impugnato dinnanzi alla Corte d'Appello che del pari rigettava il gravame. Il Giudice di secondo grado motivava il rigetto con l'insussistenza del rischio di concreto pregiudizio per la minore conseguente all'allontanamento dalla madre anche in considerazione del fatto che la minore sarebbe potuta rimanere in Italia con gli altri parenti ritenendo peraltro che data l'età della bambina l'allontanamento dalla madre non avrebbe potuto determinare un disagio superiore a quello normalmente insito nel mutamento del contesto ambientale abituale.

Avverso detto provvedimento la S. proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi ed in particolare:

1) violazione dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 per avere il giudice dell'impugnazione interpretato in senso restrittivo il concetto di “gravi motivi”;

2) violazione del diritto all'unità familiare disciplinato dal titolo IV, d.lgs n. 286/1998 per avere il giudice di secondo grado conculcato tale diritto della minore;

3) violazione dell'art. 31 cit. nonché carenza ed illogicità della motivazione per avere il giudice di secondo grado deliberato una illegittima espulsione di fatto della minore.

La questione

La questione in esame attiene all'interpretazione dei “gravi motivi” di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, quale condizione legittimante lo straniero extracomunitario privo di permesso di soggiorno a permanere temporaneamente nel territorio dello Stato, allorché la domanda sia fondata sull'esigenza di scongiurare il rischio di un grave pregiudizio per lo sviluppo psico-fisico del minore conseguente all'allontanamento dal genitore dal territorio nazionale.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame la Corte, nel solco di una interpretazione estensiva dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, ritenendo fondato il primo motivo di ricorso, ha affermato che la “ratio” dell'istituto è la tutela del minore globalmente considerato, comprensiva tanto della salute fisica quanto di quella psichica e che sussistono i “gravi motivi” legittimanti la temporanea autorizzazione della madre al soggiorno allorché l'allontanamento del minore dalla madre o lo sradicamento della situazione attuale di vita determinino un pregiudizio ed un grave rischio per l'equilibrio psico-fisico del minore.

Nella fattispecie la Corte ha fondato l'accoglimento del ricorso sulla prognosi del grave pregiudizio che sarebbe derivato alla minore di anni due, che peraltro aveva già subito l'abbandono del padre, dall'allontanamento dalla figura materna e dallo sradicamento dalla situazione di vita attuale.

A riguardo giova premettere che secondo la giurisprudenza costituzionale l'esigenza della convivenza del nucleo familiare si radica negli artt. 29, 30, 31 Cost. che assicurano protezione alla famiglia ed in particolare, nell'ambito di questa, ai figli minori e che il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.) e perciò di tenerli con sé, ed il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell'unità della famiglia sono valori fondamentali della persona, che perciò spettano in via di principio anche agli stranieri.

Detti principi, peraltro, sono affermati anche da alcune disposizioni di trattati internazionali ratificati dall'Italia, in particolare gli artt. 8, 12 CEDU, l'art. 10 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, e infine gli artt. 9 e 10 Conv. New York sui diritti del fanciullo.

Oggi la protezione dell'unità familiare è prevista anche dalle norme delle direttive comunitarie sul soggiorno dei comunitari e dei loro familiari (anche extracomunitari) e sul diritto al ricongiungimento familiare degli extracomunitari. In particolare il d.lgs. 8 gennaio 2007 n. 5, in attuazione della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al ricongiungimento familiare, ha introdotto nel d.lgs. n. 286/1998 disposizioni di favore. In particolare nell'art. 5 comma 5, d.lgs. n. 286/1998 si prevede che, per il rifiuto del rilascio, ovvero per la revoca o il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, nel caso di straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o di familiare ricongiunto, «si tiene conto anche della natura e dell'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, dell'esistenza di legami familiari e sociali con il Paese di origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del soggiorno nel medesimo territorio nazionale» (e analoga modifica è stata apportata, per quel che riguarda il provvedimento amministrativo di espulsione, all'art. 13 d.lgs. n. 286/1998, con l'inserimento del comma 2 bis).

Particolare tutela ricevono i diritti fondamentali del minore straniero. Infatti sulla base della Convenzione sui diritti del fanciullo, siglata a New York dall'Assemblea generale dell'ONU il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con la l. 27 maggio 1991, n. 176, lo Stato è impegnato a garantire una sempre più completa ed effettiva protezione del minore, prevedendo, tra l'altro, particolari forme di assistenza del bambino privo di una famiglia ed adottabile o del minore rifugiato e riconoscendo che il bambino non può essere separato dai genitori contro la sua volontà salvo che lo dispongano le autorità competenti nel suo interesse. La convenzione impegna ogni Stato a favorire il ricongiungimento familiare quando un membro della famiglia viva in uno Stato diverso da quello in cui vivono altri membri del nucleo familiare.

Una interpretazione delle norme sugli stranieri favorevole al minore e alla famiglia si impone ed è espressamente prevista dallo stesso testo unico delle norme in materia di immigrazione. Ed invero l'art. 28, comma 3 d.lgs. n. 286/1998 prevede che in tutti i procedimenti giurisdizionali e in tutti i procedimenti amministrativi finalizzati ad attuare il diritto all'unità familiare e riguardanti i minori deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'art. 3, comma 1,l. 27 maggio 1991, n. 176 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo.

Il vincolo familiare giustifica altresì la sottrazione del trattamento del migrante al regime generale sugli stranieri, emergendo l'intenzione del legislatore di conservare i legami affettivi, nel rispetto delle indicazioni imposte dal bilanciamento con le esigenze di tutela dello Stato.

Secondo la Suprema Corte, sez. VI, n. 17942/2015, il “diritto all'unità familiare”, infatti, non ha carattere assoluto, atteso che il legislatore, nel contemperamento dell'interesse dello straniero al mantenimento del nucleo familiare con gli altri valori costituzionali sottesi alle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri, può prevedere delle limitazioni bilanciando l'interesse dello straniero al mantenimento del nucleo familiare con gli altri valori costituzionali sottesi alle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri.

Con detta pronuncia la Corte interviene fornendo un importante chiarimento attorno ai presupposti richiesti dall'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 per la concessione di un provvedimento che autorizzi il familiare del minore all'ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale.

In particolare la Corte ha ritenuto che le situazioni a tal fine rilevanti devono essere di non lunga o indeterminata durata e non caratterizzate dalla tendenziale stabilità e che, pur non prestandosi ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, si devono comunque concretare in eventi traumatici e non prevedibili che trascendono il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare.

Alla stregua di detta interpretazione, la Corte rigettava il ricorso, atteso che nel caso di specie la situazione dedotta dalla ricorrente non era destinata a durare per un tempo determinato e temporaneo, con ciò risultando incompatibile con la natura dell'autorizzazione richiesta, dovendosi peraltro considerare che il danno che sarebbe derivato al minore non sembrava caratterizzato dai requisiti di effettività, concretezza e gravità.

La tematica affrontata risulta caratterizzata da una particolare problematicità, atteso che a fronte dell'interesse del minore si rileva un contrastante interesse dello Stato alla regolamentazione e limitazione del soggiorno da parte degli stranieri ove la soluzione si incentra appunto sull'interpretazione deigravi motiviche legittimano il familiare all'ingresso o alla permanenza in Italia.

Attorno al concetto di gravi motivi di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. cit. si sono tradizionalmente registrate contrastanti interpretazioni nell'ambito della stessa giurisprudenza di legittimità. L'orientamento risalente, nella prospettiva di salvaguardare il territorio nazionale da una immigrazione non regolamentata a sostanziale svantaggio del “superiore interesse del fanciullo”, ha interpretato restrittivamente il concetto di gravi motivi, ritenendo che questo richiedesse l'accertamento di situazioni di emergenza di natura eccezionale e contingente, di situazioni, cioè, che non siano normali e stabilmente ricorrenti nella crescita del minore.

In seguito alla pronuncia della Cass., S.U., n. 22216/2006, ha tuttavia cominciato a farsi strada una interpretazione estensiva dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore, non limitati dai requisiti dell'eccezionalità e contingenza, ma strettamente connessi allo sviluppo del fanciullo in modo da prendere in considerazione il preminente interesse del minore stesso in relazione alle varie circostanze del caso concreto, quali l'età, le condizioni di salute (anche psichiche) nonché il pregiudizio che potrebbe a questi derivare dall'allontanamento dei familiari.

In linea con la tutela specifica assicurata ai minori e nell'ottica del loro “superiore interesse” si esprime anche Cass., sez. VI, n. 17819/2015, che ha statuito che il padre straniero di un minore di sei mesi, che abbia provveduto al riconoscimento del figlio, ha diritto ad ottenere il permesso di soggiorno temporaneo, ai sensi dell'art. 19, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 286/1998, trattandosi di una disposizione finalizzata alla tutela del rapporto genitoriale nell'ottica di una crescita armoniosa del bambino nei mesi immediatamente successivi alla sua nascita.

Il principio della tutela privilegiata garantita alla famiglia ed in particolare al minore si desume “a contrario” da Cass., sez. VI, n. 14610/2015, ove si afferma che l'espulsione dello straniero che convive in Italia con un parente, non implica la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, la cui tutela, sancita anche dall'art. 8 CEDU, non è incondizionata, essendo consentita quale misura necessaria ai fini della sicurezza nazionale, del benessere economico del Paese, della difesa dell'ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute e della morale e della protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Osservazioni

La pronuncia in commento ove si evidenzia che «..il profilo assorbente non è tanto il superiore interesse del minore in senso generico ma nella specie la prognosi del grave disagio psico-fisico che conseguirebbe alla minore dall'allontanamento anche dalla figura materna a soli due anni di età o dallo sradicamento dalla situazione di vita attuale..» sottolinea come il giudice investito della domanda di autorizzazione alla temporanea permanenza dello straniero sul territorio dello Stato, debba non tanto fare richiamo a generiche esigenze di tutela del minore, quanto piuttosto formulare un giudizio prognostico, basato sulle sue concrete condizioni di vita (quali emergenti dall'età, dalla famiglia ecc.) in ordine alla possibilità che l'allontanamento dal territorio dello Stato del genitore richiedente il permesso di soggiorno possa creare un rischio di grave pregiudizio per l'equilibrio psico-fisico del minore.

Dalla lettura dell'ordinanza emerge che nel caso di specie circostanze di fatto ritenute rilevanti e fondanti i “gravi motivi” sono, nell'iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte, che la minore aveva solo due anni e che per di più già era stata abbandonata alla nascita dal padre biologico che non aveva provveduto al suo riconoscimento.

Da tale rilievo, che testimonia come la valutazione richiesta debba estrinsecarsi “in concreto”, si pone all'interprete il quesito se alla stessa soluzione era possibile pervenire ove la minore non fosse stata di così tenera età, ovvero nel caso in cui il padre l'avesse riconosciuta e comunque si fosse reso disponibile a collaborare alla cura della medesima.

In altri termini, va chiarito se, pur nell'ambito di un'interpretazione estensiva del concetto di “gravi motivi”, la tutela accordata al minore riguardi solo ipotesi “estreme” o viceversa si sostanzi in una piena tutela dello sviluppo della personalità del minore che tenga conto anche degli stadi evolutivi legati all'età, quali enucleati dalle scienze psicologiche.

La scelta di una delle due opzioni avrebbe in ogni caso una ricaduta sull'interpretazione del dato letterale normativo finendo per dilatare o restringere le ipotesi applicative secondo una scelta dell'interprete che, pur nell'ambito della norma cogente, corre il rischio di essere meramente discrezionale.

Non vi è dubbio, pertanto, che la lettura dei “gravi motivi” di cui all'art. 31, comma 3 d.lgs n. 286/1998 richieda all'interprete un attento e consapevole esame della fattispecie posta alla sua attenzione nel difficile bilanciamento tra i contrapposti interessi della tutela della sicurezza dello Stato e di tutela della famiglia e dei minori figli di stranieri extracomunitari.

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