Il trasferimento unilaterale fissa la nuova residenza dei minori se perdura nel tempo senza contestazioni

11 Marzo 2016

La residenza abituale dei minori deve essere decisa dai genitori «di comune accordo»: è dunque illecito il trasferimento unilaterale della prole realizzato da un genitore senza il consenso dell'altro.
Massima

La residenza abituale dei minori deve essere decisa dai genitori «di comune accordo»: è dunque illecito il trasferimento unilaterale della prole realizzato da un genitore senza il consenso dell'altro. A seguito del trasferimento illecito il Tribunale della precedente residenza del minore è territorialmente competente per tutti i procedimenti che lo riguardano, a patto che la nuova residenza abituale del minore non si sia consolidata nel tempo per inerzia del genitore legittimato a dolersi del torto subito; in altri termini, ai soli fini dell'individuazione del Tribunale competente, il genitore che non ha espresso il consenso al trasferimento deve contestarlo senza indugio.

Il caso

Il padre, nell'ambito di un giudizio ex art. 316 bis c.c., adisce il Tribunale di Milano, città ove la madre e il figlio risultano anagraficamente residenti.

Tuttavia, come osservato dallo stesso padre, i predetti avevano spostato da ormai un anno la residenza di fatto presso altro comune, ove risiedono i nonni materni, ed ove, altresì, il figlio ha frequentato l'anno scolastico 2014/2015.

La questione

La questione in esame è la seguente: il trasferimento della residenza del minore, frutto di una scelta unilaterale di uno dei genitori, è idoneo a radicare la competenza del Tribunale del luogo di nuova dimora del figlio?

Le soluzioni giuridiche

La responsabilità genitoriale è un concetto giuridico complesso, che è al tempo stesso fonte di potere/diritto e di dovere/obbligo, ove il profilo del dovere assume una dimensione preponderante, nel senso che i poteri attribuiti ai genitori vengono conferiti al fine di permettere loro di adempiere ai doveri che la legge pone a loro carico in favore dei figli.

Come tale, dunque, la responsabilità genitoriale rappresenta una situazione giuridica indisponibile, onde il genitore che ne è titolare non ha la facoltà di rinunciarvi, né tanto meno di trasferirla in capo a soggetti terzi.

Di fronte all'inerzia, ovvero nell'ipotesi di contrasto su questioni di particolare importanza, a ciascun genitore è, pertanto, attribuito il potere ex lege di fare ricorso all'autorità giudiziaria, al fine di ottenere i provvedimenti diretti ad intervenire sulla responsabilità genitoriale e sulle modalità del suo esercizio, nell'esclusivo interesse dei figli minori.

In punto di competenza funzionale, interviene l'art. 38 disp.att. c.c., così come modificato dalla l. n. 219/2012, che determina in quali ipotesi l'adozione dei provvedimenti sopra richiamati sia riservata al Tribunale per i Minorenni e quando, invece, tale competenza è esclusa a favore del Tribunale ordinario.

Infine, sotto il profilo della competenza territoriale, la giurisprudenza è costante nell'attribuire la potestas decidendi al tribunale del luogo ove il minore ha la propria residenza (ex pluribus, Cass. civ., ord. 20 ottobre 2015, n. 21285). Tale soluzione, peraltro, trova conferma nella disciplina dettata per le controversie genitoriali transfrontaliere: l'art. 1, Conv. Aja 5 ottobre 1961, attribuisce al giudice del luogo di residenza abituale del minore la competenza ad adottare le misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni, in sintonia, fra l'altro, con quanto affermato dall'art. 8, Reg. (CE) n. 2201/2003, e dall'art. 8, Conv. Aja 25 ottobre 1980.

Il Tribunale di Milano, con la decisione in commento ha dichiato la propria incompetenza, in applicazione dei principi sopra richiamati.

Il giudice a quo, infatti, ha fatto propria la nozione di “residenza abitualedel minore uniformemente diffusa tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, la quale individua il dato di cui si discute non nella mera residenza anagrafica, bensì in un concetto di più vasta portata, avuto riguardo ad una serie di elementi oggettivi, quali la frequenza scolastica, la casa familiare ed il luogo di prevalente dimora.

Secondo la decisione in esame la competenza territoriale del Tribunale del luogo ove il minore ha il proprio domicilio originario non viene meno di fronte al trasferimento deciso unilateralmente, purché il genitore legittimato a dolersene lo faccia tempestivamente. Cosa che non è avvenuta nel caso di specie. Determinante dunque, è stata la valutazione dell'elemento temporale, ovverosia il tempo intercorso tra il momento in cui si è verificato il trasferimento della residenza del minore e la proposizione della domanda giudiziale.

Osservazioni

Al fine di risolvere la questione sollevata dal ricorrente, il giudice a quo fornisce un'analisi del concetto di residenza abituale del minore e di come qualsiasi decisione che ne afferisca vada affrontata dai genitori congiuntamente.

La nozione di residenza abituale del minore, infatti, è particolarmente controversa in ambito transfrontaliero, in relazione alla casistica avente ad oggetto la sottrazione di minore con genitori di nazionalità diverse.

In tale contesto, con una recente pronuncia a Sezioni Unite, avente ad oggetto un caso di minore figlio di un cittadino italiano e di una cittadina cubana, è intervenuta la Corte di legittimità, avendo cura di precisare che la residenza abituale corrisponde ad«una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione» (Cass. civ., S.U. 18 settembre 2014, n. 19664).

Facendo proprio tale concetto, dunque, il Tribunale di Milano ha correttamente inteso la residenza abituale come il luogo in cui il minore ha consolidato una rete di relazioni e di affetti che gli possano garantire un sano sviluppo psicofisico, non soffermandosi sul mero dato formale (comune di residenza anagrafica), bensì avendo riguardo ad una serie di elementi oggettivi quali la frequenza scolastica, la casa familiare, gli affetti, il luogo di prevalente dimora.

Osserva, tuttavia, il giudice a quo come, a norma dell'art. 316, comma 1, c.c., la residenza abituale del minore deve essere stabilita di comune accordo dai genitori, e così anche nell'ipotesi di affidamento monogenitoriale ai sensi dell'art. 337 quater, comma 3, c.c.. Unica eccezione sarebbe data dal caso del c.d. affido “super esclusivo”, in cui la responsabilità genitoriale viene concentrata in uno solo dei due genitori. Non è questo il caso.

Da tutto ciò, ne consegue che il trasferimento della residenza attuato su decisione esclusiva di uno dei genitori costituisce in linea di principio un atto illecito, inidoneo come tale ad incidere sulla competenza territoriale, con la conseguenza che la potestas decidendi permane in capo al Tribunale ove il minore ha la propria dimora (cfr. Cass. civ., S.U., 28 maggio 2014, n. 11915).

Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale ha basato la propria valutazione non solo sul dato fattuale, bensì anche sull'elemento temporale.

Il giudicante, infatti, ha inteso l'anno intercorso tra il trasferimento del minore ed il deposito del ricorso da parte del padre come un'inerzia, sintomo di un evidente disinteresse manifestato da quest'ultimo verso la scelta che ha investito il figlio.

In particolare, dalla decisione di cui si discute, emerge l'idoneità dell'elemento temporale ad incidere sull'elemento spaziale, esplicando il primo la propria efficacia sugli elementi oggettivi testé indicati e modificando in modo rilevante il dato relazionale decisivo ai fini del decidere.

Nel caso di specie, dunque, il Tribunale di Milano ha correttamente escluso la propria competenza nel decidere sul ricorso presentato dal padre, sulla scorta delle considerazioni appena esposte.

Inoltre, a mente della giurisprudenza che ha preceduto la pronuncia de qua (cfr. Cass. civ., S.U., 16 luglio 2012, n. 12104), il Tribunale di Milano ha ritenuto superflua l'instaurazione del contraddittorio tra le parti, atteso che il ricorso poteva esseredefinito tout court.

L'ulteriore attività giudiziale, infatti, non avrebbe certamente potuto comportare alcun beneficio in termini di definizione del procedimento nel merito, atteso che la comparizione delle parti non avrebbe in ogni caso permesso di superare le considerazioni di rito affrontate dal giudicante, ponendosi, invero, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo.

Guida all'approfondimento

- A. Zaccaria, Commentario Breve al diritto della famiglia, Padova, 2011, 916.

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