Il coordinatore genitoriale: terzo genitore o mediatore?

11 Luglio 2017

Come si dirime la conflittualità genitoriale? Come fanno due genitori fragili a gestire l'affidamento senza ricorrere continuamente al giudice?
Massima

La conflittualità tra genitori non è di per sè ostativa all'affidamento condiviso. Nel caso in cui genitori mostrino consapevolezza di dovere migliorare le proprie competenze, il giudice, al fine di garantire una sana e armoniosa crescita del minore, può nominare un coordinatore genitoriale che, operando nell'ambito di un progetto messo a punto da esperti, aiuti i genitori a risolvere i possibili conflitti e a trovare soluzioni al di fuori del processo.

Il caso

X e Y sono genitori, non coniugati, di una bambina di sette anni (nata nel 2009) che l'autorità giudiziaria ha già in precedenza affidato ad entrambi con collocamento presso la madre. Il padre contribuisce al suo mantenimento con un assegno mensile di euro 450,00 e sebbene sia previsto un regolare diritto di visita non è soddisfatto delle condizioni di affidamento. Si rivolge al Tribunale lamentando che la madre ostacola il suo diritto di visita, che opera scelte in materia di salute della bambina non adeguate e chiede il collocamento della minore presso di sè, o comunque più adeguati tempi di permanenza ed una riduzione dell'assegno di mantenimento. La madre si costituisce e risponde che il suo comportamento è sempre stato ineccepibile, che le scelte terapeutiche sono state assunte affidandosi a professionisti di chiara fama, che è piuttosto il padre a non essere adeguato e chiede l'affidamento esclusivo della bambina, oltre che un aumento dell'assegno di mantenimento. Il Tribunale, per una più accurata verifica delle competenze genitoriali, dispone una consulenza tecnica dalla quale emerge che entrambi i genitori hanno delle fragilità emotive, non riescono a gestire la conflittualità, ma sono entrambi molto legati alla figlia che, dal canto suo, è legata ad entrambi ma manifesta un certo timore a differenziarsi dai genitori per paura di un allontanamento o di una perdita.

La questione

Si tratta, in definitiva, di genitori che non riescono a dialogare e a collaborare nell'interesse della minore, superando i loro personali conflitti. Un chiaro indice di questa incapacità di collaborare è la risposta data dalla madre alla contestazione di scelte terapeutiche inadeguate: la signora risponde -probabilmente anche in buona fede- che ella si affida a professionisti di chiara fama; non considera che prima di affidarsi a questi professionisti dovrebbe consultare l'altro genitore, investito al pari di lei del pieno esercizio della responsabilità genitoriale. Il dovere di concordare le scelte di maggiore interesse in regime di affidamento condiviso è infatti uno dei doveri primari imposti ai genitori dall'art. 337-ter c.c.. Di contro, il padre ha un evidente interesse a ridurre il contributo al mantenimento, tanto che chiede al Collegio di anticipare la decisione sul punto, anche a prescindere dall'esito della domanda di modifica delle condizioni di affidamento; a questa istanza il Collegio non può che rispondere ricordando il principio già espresso dalla Suprema Corte nel previgente regime di riparto delle competenze tra giudici ordinari e minorili, (Cass., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8362), e cioè che le decisioni sull' affidamento e sul mantenimento si adottano contestualmente.

La situazione non pare tuttavia connotata da particolare gravità perchè i genitori, nel corso della consulenza, hanno capito di dovere modificare i loro atteggiamenti per non mettere a rischio la sana ed armoniosa crescita della loro bambina.

Come si dirime, allora, la conflittualità genitoriale? e come fanno due genitori fragili a gestire l'affidamento senza ricorrere continuamente al giudice?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza della Corte di Cassazione è ormai consolidata nell'affermare che la conflittualità non è di per sè ostativa alla applicazione dell'affidamento condiviso (Cass., sez. I, 3 dicembre 2012, n. 21591; Cass., sez. I, 31 marzo 2014, n. 7477); al tempo stesso afferma cheesso è fondato sul “pieno consenso di gestione” vale a dire sulla condivisione delle scelte (Cass., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1777). Antinomia apparentemente irrisolvibile: infatti, una volta concluso il processo in sede di cognizione, disponendo l'affidamento condiviso della prole, il problema si sposta in sede di attuazione, con innumerevoli ricorsi ex art. 709-ter c.p.c. o anche richieste di modifica delle condizioni di affidamento, che nascono dalla incapacità dei genitori di trovare quel pieno consenso di gestione che l'affidamento condiviso richiede. La questione è particolarmente delicata quando si tratta di attuare, ed eventualmente adattare alla mutevolezza della vita, il calendario di incontri tra il genitore che non vive con il minore e quest'ultimo. I comuni fatti della vita quotidiana, come l'ingresso a scuola o il trasferimento di residenza, spesso, in un contesto conflittuale, divengono ostacoli alla piena attuazione del diritto di visita. La questione è trattata anche dalla giurisprudenza sovranazionale: nelle plurime condanne che la Corte EDU ha comminato all'Italia per violazione dell'art. 8 CEDU, si rimarca il dovere dello Stato di predisporre un adeguato arsenale di misure idonee a garantire il diritto di visita del genitore non convivente - solitamente il padre - con la prole minorenne. Misure che, ricorda la Corte di Strasburgo, non possono essere nè stereotipate nè automatiche; in particolare si censura il mancato ricorso alla applicazione di sanzioni, nonché il mancato il ricorso alla mediazione o comunque a strumenti idonei a facilitare la collaborazione tra le parti (Corte EDU, 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Corte EDU, 17 dicembre 2013, Santilli c. Italia; Corte EDU, 15 settembre 2016, Giorgioni c. Italia).

Questo, in sintesi, il quadro problematico che si è presentato all'attenzione del Tribunale milanese.

La soluzione è per certi versi già collaudata, nel senso che si conferma l'affidamento condiviso e si elabora un percorso di sostegno alla genitorialità. Il Tribunale aggiunge una misura nuova e cioè il ricorso alla figura del coordinatore genitoriale. Si tratta di una pratica di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) e consiste nell'incarico dato dal giudice ad un terzo imparziale che aiuta le parti a mettere in pratica un adeguato programma di genitorialità, per arginare la conflittualità e prevenire il ricorso a provvedimenti giudiziali facilitando la risoluzione delle contese tra genitori, con poteri che variano da caso a caso. Il Tribunale milanese, prendendo atto della valutazione concordemente effettuata dal consulente d'ufficio, dai consulenti di parte e dagli stessi genitori, rende disposizioni assai dettagliate, adattate al caso di specie, sugli incontri tra il padre e la figlia e sulle modalità di attuazione del provvedimento di affidamento. Dispone inoltre l'avvio di una terapia psicomotoria per la minore e di percorsi terapeutici individuali per i genitori e assegna al coordinatore, scelto dalle stesse parti, il compito di coadiuvare i genitori ad attuare il programma, di operare una funzione di raccordo tra gli operatori, di salvaguardare la relazione tra i genitori, effettuando delle "raccomandazioni" e svolgendo comunque funzioni di vigilanza, eventualmente segnalando alla autorità giudiziaria la necessità di talune modifiche al programma di sostegno, ovvero anche condotte pregiudizievoli.

Osservazioni

La coordinazione genitoriale nasce negli USA negli anni 90 ed è stata teorizzata, in particolare, dalla psicologa Debra K. Carter, in Italia recepita dalle psicologhe Claudia Piccinelli e Silvia Mazzoni. L'obiettivo è quello di "educare" i genitori affinchè evitino il ricorso al giudice, così abbassando i costi delle separazioni ed evitando di gravare sul sistema giustizia. Non trova un riscontro normativo diretto nel nostro ordinamento, salvo a volerla riferire al polivalente potere del giudice di adottare "ogni altro provvedimento relativo alla prole" (c.d. provvedimenti atipici nell'interesse del minore) ricordato dall'art. 337-ter,comma 2, c.c.. Non è infatti direttamente riconducibile alla mediazione familiare contemplata dall'art. 337-octies, comma 2, c.c. che disegna il ruolo del giudice quale quello di un advisor che spiega alle parti cos'è la mediazione, ne illustra i benefici e - se ottiene il consenso di entrambi - sospende il processo per dare ai genitori il tempo di intraprendere il percorso di mediazione e trovare un accordo nell'interesse dei figli. Il mediatore non è un ausiliario del giudice e non riceve da esso il suo potere, non impone sui genitori la sua autorità: diversamente la coordinazione genitoriale richiede che si attribuisca al coordinatore la maggiore autorità possibile, la cui fonte è il provvedimento del giudice, ovvero il consenso delle parti o entrambi. Nel caso in esame, i poteri di intervento, tutti rigorosamente extraprocessuali, sono stati attributi dal giudice ma prendendo atto dell'accordo tra le parti, che hanno anche individuato la persona che in concreto è stata chiamata a svolgere questa funzione.

Nel primo precedente edito in questa materia (Trib. Civitavecchia, 20 maggio 2015) invece, il coordinatore genitoriale è stato individuato nella persona di una assistente sociale del servizio pubblico, ma pur sempre muovendo dalla considerazione che il piano genitoriale è stato elaborato dagli stessi genitori nel corso della consulenza tecnica d'ufficio.

Più problematica invece appare la imposizione di un coordinatore genitoriale contro la volontà delle parti. Allo stato della nostra legislazione è infatti consentito al giudice, ex art. 333 c.c., di adottare provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, quale sarebbe ad esempio quello di attribuire a terzi il potere di assumere decisioni sulla vita del minore (salute educazione etc.), sovrapponendosi ai genitori, ma non di imporre all'adulto trattamenti terapeutici e sanitari, come la psicoterapia, perchè ciò lede il principio di autodeterminazione (Cass., sez. I, 1 luglio 2015, n. 13506).

Guida all'approfondimento

D. K. Carter, S. Mazzoni, Coordinazione genitoriale: una guida pratica per i professionisti del diritto di famiglia, Milano, 2014

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