Anche il convivente beneficia delle detrazioni delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio

13 Aprile 2017

L'Agenzia delle Entrate ribadisce il principio secondo cui al convivente more uxorio, ancorché non possessore o non detentore dell'immobile nel quale si esplica il rapporto di convivenza e sul quale vengono effettuati i lavori, deve essere riconosciuta la possibilità di fruire della detrazione per le spese di recupero del patrimonio edilizio.

L'Agenzia delle Entrate con la Circolare 7 aprile 2017, n. 8/E («Chiarimenti interpretativi relativi a quesiti posti in occasione di eventi in videoconferenza organizzati dalla stampa specializzata») ribadisce il principio secondo cui anche al convivente more uxorio, ancorché non possessore o non detentore dell'immobile nel quale si esplica il rapporto di convivenza e sul quale vengono effettuati i lavori, deve essere riconosciuta la possibilità di fruire della detrazione per le spese (dallo stesso convivente effettivamente sostenute e rimaste a suo carico) di recupero del patrimonio edilizio [art. 16-bis d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR)], precisando però che essa trova applicazione per le spese sostenute a partire dal 1 gennaio 2016.

In linea generale, la detrazione in parola spetta (se hanno sostenuto le spese in questione e queste sono rimaste a loro carico) al proprietario o al nudo proprietario dell'immobile, al titolare di un diritto reale sullo stesso (uso, usufrutto, abitazione), nonché all'inquilino e al comodatario in quanto detentori dell'immobile.

Con la Circolare n. 121/1997 è stato chiarito che la detrazione compete anche al familiare del possessore o detentore dell'immobile sul quale vengono effettuati i lavori, purché sia convivente e sostenga le spese. In tal caso, il titolo che attesta la disponibilità dell'immobile (requisito richiesto per fruire della detrazione) è costituito dalla condizione di familiare convivente e, pertanto, non è richiesta l'esistenza di un sottostante contratto di comodato.

In tale contesto, al convivente che non fosse anche familiare (intendendosi per “familiari”, a norma dell'art. 5, comma 5, TUIR, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado) che avesse sostenuto le spese per gli interventi in questione sulla “casa familiare” era preclusa la possibilità di beneficare della detrazione di cui all'art. 16-bis TUIR, a meno che non risultasse detentore dell'immobile in base ad un contratto di comodato.

Per effetto della l. 20 maggio 2016, n. 76 il quadro normativo di riferimento è significativamente mutato, per cui l'Amministrazione finanziaria ha ritenuto opportuno riconsiderare le istruzioni fornite con la precedente prassi.

Infatti, la l. n. 76/2016 - pur non avendo equiparato le convivenze di fatto alle unioni basate sul matrimonio - ha, in ogni caso, attribuito una specifica rilevanza giuridica a tale formazione sociale e, in questo contesto, ha evidenziato l'esistenza di un legame concreto tra il convivente e l'immobile destinato a dimora comune.

Pertanto, all'indomani dell'entrata in vigore della l. n. 76/2016 l'Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 64/E del 28 luglio 2016 ha chiaramente affermato che il convivente more uxorio che sostiene le spese di recupero del patrimonio edilizio, nel rispetto delle condizioni previste dal richiamato art. 16-bis TUIR, può fruire della detrazione alla stregua di quanto chiarito per i familiari conviventi.

Ai fini della detrazione di cui all'art. 16-bis TUIR, pertanto, la disponibilità dell'immobile da parte del convivente risulta insita nella convivenza che si esplica ai sensi della legge n. 76/2016 senza necessità che trovi titolo in un contratto di comodato.

Dunque, la Circolare n. 8/2017, considerato che la l. n. 76/2016 è entrata in vigore il 5 giugno 2016 ed atteso il principio della unitarietà del periodo d'imposta, ritiene che l'orientamento espresso con la risoluzione n. 64/2016 trovi applicazione per le spese sostenute a partire dal 1 gennaio 2016.

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