Violazione degli obblighi di mantenimento del figlio. La Cassazione distingue tra matrimonio e convivenza

Valentina Ventura
13 Aprile 2017

La questione in esame è la seguente: se la disciplina di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 possa trovare applicazione anche in ipotesi di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza.
Massima

All'ex convivente more uxorio che omette di versare la somma fissata dal giudice per il mantenimento del figlio minorenne non si applica la fattispecie di cui all'art. 3 l. 8 febbraio 2006, n. 54 ma può applicarsi la fattispecie di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p.

Il caso

Tizio è stato condannato dalla Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal tribunale di Trieste, per il delitto di cui all'art. 81 cpv c.p. e art. 3 della l. 8 febbraio 2006, n. 54 per aver versato alla propria ex compagna (dal marzo 2010 al dicembre 2011) solo una modesta parte della somma indicata dal tribunale per i minorenni per il mantenimento del figlio minorenne (Euro 150,00 mensili a fronte della somma di Euro 350,00 mensili stabilita) e per aver omesso di versare la quota dovuta per la contribuzione alle spese mediche e straordinarie sostenute in favore del minore (stabilita nella metà delle somme integralmente versate per tali necessità). Nella sentenza di condanna la concessione della sospensione condizionale della pena è stata subordinata al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale in favore della parte civile.

Avverso la sentenza di condanna è ricorso personalmente l'imputato deducendo, in primo luogo, violazione di legge con riferimento alla sussistenza del reato di cui è stato ritenuto responsabile, sul piano sia soggettivo che oggettivo e, in secondo luogo, la mancata assunzione di prova decisiva della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo del soggetto agente.

A seguito della fissazione dell'udienza per il giudizio di legittimità, il difensore nominato di fiducia dall'imputato ha poi depositato atto contenente quattro nuovi motivi di impugnazione. La difesa ha lamentato vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.) in ordine al giudizio di attendibilità della persona offesa nonché in ordine alla valutazione complessiva degli elementi istruttori; ha dipoi lamentato la mancata assunzione di prova decisiva per la negata escussione di un teste addotto dalla difesa (art. 606, comma 1, lett d) c.p.p.) ed infine ha lamentato violazione di legge in ordine alla sussistenza del dolo nella commissione del reato ascritto all'imputato (art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p.).

La questione

La questione in esame è la seguente: se la disciplina di cui all'art. 3 legge 8 febbraio 2006, n. 54 possa trovare applicazione anche in ipotesi di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza.

Le soluzioni giuridiche

La vicenda in esame impone preliminarmente una approfondita valutazione della disciplina contenuta nella l. n. 54 del 2006, recante «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli».

Tale normativa (art. 1) ha introdotto significative modifiche al codice civile (artt. 155 e ss.c.c.) prevedendo specifici interventi a tutela dei minori in ipotesi di separazione personale dei coniugi, tra cui, per esempio, che il giudice che pronuncia detta separazione adotti i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della stessa e valuti prioritariamente la possibilità che i figli siano affidati a entrambi i genitori. Sono state altresì introdotte significative disposizioni in tema di affidamento dei figli, di assegnazione della casa familiare, di ascolto del minore.

La legge ha altresì introdotto modifiche al codice di procedura civile (art. 2) e disposto (art. 3) che in caso di violazione degli obblighi di natura economica trovi applicazione l'art. 12-sexies della l. 1 dicembre 1970, n. 898 (recante la «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio»).

Per espressa previsione legislativa, le disposizioni della legge in esame trovano applicazione anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati (art. 4, comma 2).

Nel caso oggetto della pronuncia in esame, la suprema Corte si è pronunciata nel senso di ritenere che l'art. 3 l. n. 54/2006 non possa trovare applicazione in ipotesi di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio.

A fondamento della pronuncia vi è l'analisi della portata dell'art. 4, comma 2, della l. n. 54/2006, a norma del quale, come sopra riportato, le disposizioni di detta normativa si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Ad avviso della suprema Corte, tale precisazione è diretta a chiarire che la l. n. 54/2006 si applica non tanto in ipotesi di figli di genitori non coniugati ma, piuttosto, ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Ne consegue che in ipotesi di separazione di genitori coniugati o di scioglimento o cessazione degli effetti civili ovvero infine di nullità del matrimonio trovano applicazione in toto le previsioni di cui alla legge n. 54/2006, mentre per quanto attiene ai figli di genitori non coniugati il riferimento ai procedimenti relativi di cui all'art. 4 l. n. 54/2006 deve intendersi nel senso di limitare il ricorso alla legge in parola ai soli procedimenti di cui all'art. 2 della medesima legge, vale a dire alle sole controversie in materia di esercizio della potestà genitoriale e di affidamento.

La Corte precisa che detta soluzione non lede la posizione dei figli di genitori non coniugati, nei confronti dei quali sul piano civile è sempre possibile il ricorso a tutte le azioni civili approntate dal nostro ordinamento, mentre sul piano penale rimane ferma l'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 570, comma 2, c.p.

Come noto, l'art. 570 c.p., rubricato «Violazione degli obblighi di assistenza familiare», sanziona la condotta di chi, abbandonando il domicilio domestico o serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge (primo comma) ovvero di chi malversa o dilapida i beni dei figli minori o del coniuge ovvero infine di chi faccia mancare ai discendenti di età minore i mezzi di sussistenza (secondo comma).

Nel caso di specie, la suprema Corte esclude che il fatto ascritto all'imputato possa essere riqualificato a norma del citato art. 570, comma 2, c.p. per due ordine di ragioni. In primo luogo, ritiene discutibile la possibilità di una riqualificazione del fatto ad opera del giudice di legittimità, non rientrando detto potere tra quelli espressamente attribuiti a tale giudice; in secondo luogo, la Corte evidenzia come sin dalla fase delle indagini preliminari all'imputato sia stata contestata una fattispecie assai meno grave di quella di cui alla disciplina codicistica, rimanendo dunque preclusa una condanna ultra petita.

La sentenza impugnata è stata dunque annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Osservazioni

L'interpretazione letterale offerta dalla suprema Corte sembra ineccepibile, tuttavia, non si comprende perché, in definitiva, la Corte valuti come più grave la fattispecie di cui all'art. 570, comma 2, c.p., nella quale – a suo dire – potrebbe ricondursi la condotta dell'imputato.

Invero, l'art. 3 l. n. 54/2006 richiama l'art. 12-sexies l. n. 898/1970, il quale, a sua volta, fa espresso richiamo all'art. 570 c.p., richiamo da intendersi riferito al capoverso della predetta norma codicistica qualora si tratti, come nel caso di specie, di inadempimento di obblighi di assistenza familiare di contenuto economico (cfr. Cass. pen., sez. VI, 13 giugno 2013, n. 34080).

Insomma, che si tratti di genitore divorziato, separato o ex convivente, la fattispecie di riferimento per colpire la violazione degli obblighi economici di mantenimento del figlio minore pare essere sempre l'art. 570, comma 2, c.p. Del resto, diversamente opinando, si creerebbero disparità di trattamento fra genitori inadempienti in ragione della sussistenza o meno di un precedente vincolo matrimoniale, disparità che sarebbe difficilmente giustificabile sotto il profilo costituzionale.

Deve inoltre osservarsi che la soluzione adottata dalla Corte di legittimità in ordine all'annullamento della sentenza di appello per mancata previsione del fatto come reato lascia perplessi.

In primo luogo, la Corte sembra contraddirsi giacché poco prima di disporre l'annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ha invece affermato che il fatto può essere riqualificato ai sensi dell'art. 570, comma 2, c.p.

In secondo luogo, non si comprende il riferimento finale alla modesta entità dell'inadempimento addebitato all'imputato, posto che il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare risulta integrato anche quando il genitore ometta solo parzialmente il versamento in favore dei figli minori, a prescindere da ogni accertamento sulla sufficienza della somma prestata in concreto (cfr. Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2011, n. 16458). Ove si ritenga invece che tale riferimento allude ad una possibile tenuità dell'offesa ai sensi dell'art. 131-bis c.p., ancora non si comprende come si possa affermare che il fatto – anziché non punibile – non è previsto dalla legge come reato.

Ad avviso di chi scrive, nel caso di specie la Corte avrebbe potuto riqualificare il fatto senza annullare con rinvio la sentenza impugnata (dato che la fattispecie ritenuta prevede lo stesso trattamento punitivo di quella contestata) o, al più, avrebbe potuto rimettere al giudice del merito la decisione in ordine alla qualificazione del fatto storico ai sensi dell'art. 570 c.p. in ipotesi di dubbio sul fatto che la violazione commessa potesse integrare la fattispecie codicistica (e in tal senso forse potrebbe intendersi il riferimento all'esiguità dell'importo dell'inadempimento).

Guida all'approfondimento

F. Caringella, M. De Palma, S. Farini, A. Trinci, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Roma, 2016.

* Fonte www.ilpenalista.it

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